La Repubblica 10.12.08
Un saggio di Massimo Teodori e un'antologia curata da Michele Ciliberto
Il declino dei laici dal dopoguerra in poi
di Nello Ajello
Sugli integralismi confessionali è uscito anche "Contro l´aldilà" di Franco Crespi
Dove sono, nella politica e nella società italiana, i liberali, quelli veri, cioè in pari tempo antifascisti e anticomunisti? Che ne è di loro? Chi ha congiurato per ridurli al silenzio? Ecco le domande che circolano nel volume di Massimo Teodori, Storia dei laici (Marsilio, pagg. 364, euro 19,50). Il lettore vi troverà il racconto di un´assenza, la diagnosi d´un disinganno. La parabola attraversata da quella corrente di pensiero che animò tante figure di alto rilievo, è nota per sommi capi a chiunque abbia in mente i capitoli salienti della recente vicenda italiana. Ora Teodori li percorre, quei capitoli, in pagine così ricche di eventi, date e personaggi da offrire sul tema un promemoria ragionato.
Le avventure che ha incontrato la cultura laica nel nostro Paese coinvolgono, a volerle storicamente inseguire, tutto un mondo che risale indietro nei secoli offrendo insegnamenti sempre attuali. In un gioco di progeniture e di rimandi ideali verranno così alla luce i più disparati saperi e valori, volta per volta difesi o contestati: dalla religione al diritto, dalla vita associata alla tutela dell´individuo. E´ appena apparso, per fare un esempio, in edizione Laterza e a cura di Michele Ciliberto, un volume intitolato Biblioteca laica, con un sottotitolo esplicativo, Il pensiero libero dell´Italia moderna. Vi si raccolgono, in una stimolante antologia tematica, testi che vanno dal Rinascimento agli albori dell´Unità: da Leon Battista Alberti (per citare solo alcuni degli autori), attraverso Machiavelli e Guicciardini, fino a Manzoni, Cavour e Cattaneo. Una lettura prelibata e, a tratti, di sorprendente freschezza. In un teso dissenso dai nuovi e vecchi integralismi confessionali appare schierato un altro saggio anch´esso recentissimo, Contro l´aldilà, di Franco Crespi (Il Mulino.)
Diversa, per tono e intenzione, è ovviamente la ricerca di Teodori, avendo egli scelto come suo sfondo iniziale i decenni politici che vanno dal primo Novecento alla caduta del fascismo. Già con l´introduzione, nel 1919, del sistema proporzionale, che impone sulla scena i movimenti cattolico e socialista, appare incrinata la supremazia di quella classe dirigente elitaria che, fatta l´Italia, sembrava indefinitamente destinata a governarla. Poi il regime littorio, con la sua demagogia intollerante, sposterà la società italiana in una dimensione di massa impraticabile dagli esponenti dell´universo liberale. Molte personalità istituzionali sono costrette al ritiro. Altre, da Matteotti ad Amendola, da Gobetti a Carlo Rosselli, pagheranno con la vita la fedeltà agli ideali.
L´antifascismo non totalitario ha così perso i propri leader più ispirati, e già si prepara ad essere incluso in quella categoria dell´«Italia di minoranza» che gli procurerà i mesti elogi di Giovanni Spadolini.
Mascherato, sotto il regime fascista, dalla supremazia culturale del crocianesimo fra le menti libere e poi dall´interesse rivolto dal filosofo al formarsi dei nuclei antifascisti nati, spesso in suo nome, sulla propria sinistra, il declino liberale diventerà esplicito fin dai primi confronti elettorali del dopoguerra, aggravandosi ancora negli anni della Guerra Fredda. Nato appunto da una costola di Croce, il partito d´Azione se ne differenzia ora su un punto decisivo: la continuità del nuovo assetto politico con l´Italia prefascista. Questo disconoscimento di paternità, da una parte, e dall´altra le critiche mosse dal pensatore abruzzese alla fumosità ideologica di quel nobile partito di intellettuali che s´è forgiato nella lotta armata, creano una delle tante dicotomie destinate a sfoltire le file liberaldemocratiche. Fra i notabili «vecchio stile» e i borghesi rivoluzionari del nuovo partito si leva una barriera. E´ solo la scarsa rispondenza popolare il dato che accomuna le due parti. Al suicidio del partito d´Azione fa riscontro il tenue richiamo esercitato da quello liberale in un mondo dominato da un drastico manicheismo: i comunisti all´assalto e i democristiani al contrattacco, con il supporto di una borghesia più interessata alla conservazione che ai destini della Fede. Quando, alle elezioni del 1946, i liberali si presentano sotto l´insegna di un´Unione democratica nazionale, è facile appiopparle la sigla «ONB», in ricordo dell´Opera nazionale balilla, utilizzando le iniziali di Orlando, Nitti e Bonomi con un derisorio richiamo alla loro grave età.
Al polo opposto dello schieramento c´è quel «partito nuovo», al quale Togliatti imprime una strategia di movimento. Il frontismo, che il Pci capeggia nel 1948 - «annus horribilis», lo definisce l´autore - indossa «una rassicurante maschera semiborghese» e cerca di «confondersi tra la folla», come denunzia già da tempo, sul Risorgimento liberale quel Mario Pannunzio che nessuno potrà accusare di maccartismo. Con l´avanzare della prima Repubblica, le tecniche del Pci nel fare incetta di intellettuali diventano più raffinate, sulle ali di uno slogan capzioso ed efficace: «i veri liberali siamo noi».
Sono proprio i laici, o ciò che ne resta, le vittime principali di una simile tattica. «Siamo certamente in una penosa situazione», chioserà Croce. «Da una parte i preti, "ingorda e crudele canaglia", come li chiama Ariosto, e dall´altra i comunisti che, oltre ad essere comunisti e russi, sono sempre pronti a negoziare e accordarsi con i loro avversari ai danni della libertà d´Italia». Ma anche le masse cattoliche subiscono, da sinistra, una vivace offensiva concorrenziale, alla quale tuttavia essi trovano nel proprio integralismo la forza per reagire; mentre le avance del Pci nella sfera religiosa si racchiudono in una quartina a firma di Mino Maccari: «L´articolo sette - Togliatti ce lo dette, - disse al marito la moglie, - e guai a chi ce lo toglie».
I liberali passano intanto da una scissione all´altra, e il campo anticomunista è sempre più lacerato: l´anticomunismo fascistoide, o confessionale - strumentalizzato e insieme arginato da De Gasperi al vertice della Dc vittoriosa - finisce per avere la meglio su quello, assai meno orecchiabile, praticato dalla sinistra liberaldemocratica, lamalfiana e terzaforzista, della quale nel libro si sottolinea la nobiltà nella sconfitta.
La parte celebrativa del volume si nutre di medaglioni biografici più o meno corposi, intestati a Mario Pannunzio e Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e Vittorio De Caprariis, Adriano Olivetti, Nicola Matteucci, Altiero Spinelli; fino ai radicali di varia specie e perciò a Marco Pannella i cui rilevanti meriti storici in materia laica sembrano talvolta appannarsi di fronte a quella religione di sé che al laicismo poco somiglia. Con il dovuto rispetto ci si sofferma su una casistica politico-culturale che va dal Mondo all´Espresso, da Nord e Sud al Mulino e a Comunità, dall´Associazione per la Libertà della Cultura di Ignazio Silone a Tempo presente di Nicola Chiaromonte. Istituzioni, queste ultime, a proposito delle quali l´autore s´impegna a contestare quei supposti legami con l´Intelligence americana che, anche se provati, non scandalizzerebbero ormai nessuno o quasi. Ciò che conta è, comunque, l´assunto centrale di quest´opera, eloquente elegia su un mondo scomparso o frantumato.
Un saggio di Massimo Teodori e un'antologia curata da Michele Ciliberto
Il declino dei laici dal dopoguerra in poi
di Nello Ajello
Sugli integralismi confessionali è uscito anche "Contro l´aldilà" di Franco Crespi
Dove sono, nella politica e nella società italiana, i liberali, quelli veri, cioè in pari tempo antifascisti e anticomunisti? Che ne è di loro? Chi ha congiurato per ridurli al silenzio? Ecco le domande che circolano nel volume di Massimo Teodori, Storia dei laici (Marsilio, pagg. 364, euro 19,50). Il lettore vi troverà il racconto di un´assenza, la diagnosi d´un disinganno. La parabola attraversata da quella corrente di pensiero che animò tante figure di alto rilievo, è nota per sommi capi a chiunque abbia in mente i capitoli salienti della recente vicenda italiana. Ora Teodori li percorre, quei capitoli, in pagine così ricche di eventi, date e personaggi da offrire sul tema un promemoria ragionato.
Le avventure che ha incontrato la cultura laica nel nostro Paese coinvolgono, a volerle storicamente inseguire, tutto un mondo che risale indietro nei secoli offrendo insegnamenti sempre attuali. In un gioco di progeniture e di rimandi ideali verranno così alla luce i più disparati saperi e valori, volta per volta difesi o contestati: dalla religione al diritto, dalla vita associata alla tutela dell´individuo. E´ appena apparso, per fare un esempio, in edizione Laterza e a cura di Michele Ciliberto, un volume intitolato Biblioteca laica, con un sottotitolo esplicativo, Il pensiero libero dell´Italia moderna. Vi si raccolgono, in una stimolante antologia tematica, testi che vanno dal Rinascimento agli albori dell´Unità: da Leon Battista Alberti (per citare solo alcuni degli autori), attraverso Machiavelli e Guicciardini, fino a Manzoni, Cavour e Cattaneo. Una lettura prelibata e, a tratti, di sorprendente freschezza. In un teso dissenso dai nuovi e vecchi integralismi confessionali appare schierato un altro saggio anch´esso recentissimo, Contro l´aldilà, di Franco Crespi (Il Mulino.)
Diversa, per tono e intenzione, è ovviamente la ricerca di Teodori, avendo egli scelto come suo sfondo iniziale i decenni politici che vanno dal primo Novecento alla caduta del fascismo. Già con l´introduzione, nel 1919, del sistema proporzionale, che impone sulla scena i movimenti cattolico e socialista, appare incrinata la supremazia di quella classe dirigente elitaria che, fatta l´Italia, sembrava indefinitamente destinata a governarla. Poi il regime littorio, con la sua demagogia intollerante, sposterà la società italiana in una dimensione di massa impraticabile dagli esponenti dell´universo liberale. Molte personalità istituzionali sono costrette al ritiro. Altre, da Matteotti ad Amendola, da Gobetti a Carlo Rosselli, pagheranno con la vita la fedeltà agli ideali.
L´antifascismo non totalitario ha così perso i propri leader più ispirati, e già si prepara ad essere incluso in quella categoria dell´«Italia di minoranza» che gli procurerà i mesti elogi di Giovanni Spadolini.
Mascherato, sotto il regime fascista, dalla supremazia culturale del crocianesimo fra le menti libere e poi dall´interesse rivolto dal filosofo al formarsi dei nuclei antifascisti nati, spesso in suo nome, sulla propria sinistra, il declino liberale diventerà esplicito fin dai primi confronti elettorali del dopoguerra, aggravandosi ancora negli anni della Guerra Fredda. Nato appunto da una costola di Croce, il partito d´Azione se ne differenzia ora su un punto decisivo: la continuità del nuovo assetto politico con l´Italia prefascista. Questo disconoscimento di paternità, da una parte, e dall´altra le critiche mosse dal pensatore abruzzese alla fumosità ideologica di quel nobile partito di intellettuali che s´è forgiato nella lotta armata, creano una delle tante dicotomie destinate a sfoltire le file liberaldemocratiche. Fra i notabili «vecchio stile» e i borghesi rivoluzionari del nuovo partito si leva una barriera. E´ solo la scarsa rispondenza popolare il dato che accomuna le due parti. Al suicidio del partito d´Azione fa riscontro il tenue richiamo esercitato da quello liberale in un mondo dominato da un drastico manicheismo: i comunisti all´assalto e i democristiani al contrattacco, con il supporto di una borghesia più interessata alla conservazione che ai destini della Fede. Quando, alle elezioni del 1946, i liberali si presentano sotto l´insegna di un´Unione democratica nazionale, è facile appiopparle la sigla «ONB», in ricordo dell´Opera nazionale balilla, utilizzando le iniziali di Orlando, Nitti e Bonomi con un derisorio richiamo alla loro grave età.
Al polo opposto dello schieramento c´è quel «partito nuovo», al quale Togliatti imprime una strategia di movimento. Il frontismo, che il Pci capeggia nel 1948 - «annus horribilis», lo definisce l´autore - indossa «una rassicurante maschera semiborghese» e cerca di «confondersi tra la folla», come denunzia già da tempo, sul Risorgimento liberale quel Mario Pannunzio che nessuno potrà accusare di maccartismo. Con l´avanzare della prima Repubblica, le tecniche del Pci nel fare incetta di intellettuali diventano più raffinate, sulle ali di uno slogan capzioso ed efficace: «i veri liberali siamo noi».
Sono proprio i laici, o ciò che ne resta, le vittime principali di una simile tattica. «Siamo certamente in una penosa situazione», chioserà Croce. «Da una parte i preti, "ingorda e crudele canaglia", come li chiama Ariosto, e dall´altra i comunisti che, oltre ad essere comunisti e russi, sono sempre pronti a negoziare e accordarsi con i loro avversari ai danni della libertà d´Italia». Ma anche le masse cattoliche subiscono, da sinistra, una vivace offensiva concorrenziale, alla quale tuttavia essi trovano nel proprio integralismo la forza per reagire; mentre le avance del Pci nella sfera religiosa si racchiudono in una quartina a firma di Mino Maccari: «L´articolo sette - Togliatti ce lo dette, - disse al marito la moglie, - e guai a chi ce lo toglie».
I liberali passano intanto da una scissione all´altra, e il campo anticomunista è sempre più lacerato: l´anticomunismo fascistoide, o confessionale - strumentalizzato e insieme arginato da De Gasperi al vertice della Dc vittoriosa - finisce per avere la meglio su quello, assai meno orecchiabile, praticato dalla sinistra liberaldemocratica, lamalfiana e terzaforzista, della quale nel libro si sottolinea la nobiltà nella sconfitta.
La parte celebrativa del volume si nutre di medaglioni biografici più o meno corposi, intestati a Mario Pannunzio e Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e Vittorio De Caprariis, Adriano Olivetti, Nicola Matteucci, Altiero Spinelli; fino ai radicali di varia specie e perciò a Marco Pannella i cui rilevanti meriti storici in materia laica sembrano talvolta appannarsi di fronte a quella religione di sé che al laicismo poco somiglia. Con il dovuto rispetto ci si sofferma su una casistica politico-culturale che va dal Mondo all´Espresso, da Nord e Sud al Mulino e a Comunità, dall´Associazione per la Libertà della Cultura di Ignazio Silone a Tempo presente di Nicola Chiaromonte. Istituzioni, queste ultime, a proposito delle quali l´autore s´impegna a contestare quei supposti legami con l´Intelligence americana che, anche se provati, non scandalizzerebbero ormai nessuno o quasi. Ciò che conta è, comunque, l´assunto centrale di quest´opera, eloquente elegia su un mondo scomparso o frantumato.