il Fatto 4.4.10
La valanga vaticana
La stampa Usa moltiplica le accuse sugli insabbiamenti dei casi di pedofilia nella Chiesa: ultimo caso a Tucson
di Angela Vitaliano
Il futuro Pontefice fece passare 12 anni prima di cacciare il reverendo dell’Arizona Teta
In una domenica di Pasqua assolata e primaverile, molti cattolici, da questa parte dell’oceano, si recheranno in Chiesa augurandosi, silenziosamente, pace prima di tutto per sé stessi, da settimane sotto il fuoco incrociato di tutta la stampa, a partire dal New York Times, per gli scandali legati alla pedofilia e “coperti” da chi aveva il compito di intervenire e punire. Una situazione estremamente difficile, aggravata, ieri, da due nuovi cicloni che hanno travolto il Vaticano e inasprito il disappunto di molti fedeli e, questa volta, anche dell’intera comunità ebraica offesa per il paragone, avanzato durante la messa del venerdì Santo, dal predicatore papale Rainero Cantalamessa che ha messo sullo stesso piano gli “attacchi” a papa Ratzinger alle persecuzioni contro gli ebrei. Un intervento che il portavoce Vaticano, padre Federico Lombardi, ha definito “non in linea con la posizione della Chiesa” ma che qui, negli Stati Uniti, è stato recepito come un vero e proprio oltraggio, soprattutto nella settimana in cui gli ebrei celebrano il Passover (per commemorare la fuga dall’Egitto e la fine della loro schiavitù).
Alan Elsner, giornalista che ha dedicato parte della sua carriera alla ricerca delle storie delle persecuzioni naziste sugli ebrei, scriveva ieri nel suo blog “per favore lasciate gli ebrei fuori dalle storie di abusi sui bambini dei cattolici”. Insomma, un autogol non da poco che diventa una vera e propria goleada se si considera che nelle stesse ore, l’Associated Press, riferisce, documenti alla mano, di due casi di abusi, avvenuti in Arizona e che, l’allora cardinale Joseph Ratzinger avrebbe fatto scivolare nel dimenticatoio per un decennio. La storia riportata dall’Ap, si riferisce all’episodio avvenuto a Tucson e riguardante l’allora reverendo Michael Teta, responsabile di abusi sessuali su due bambini di 7 e 9 anni che frequentavano la diocesi per prepararsi alla prima comunione. Nel 1990, un tribunale ecclesiastico aveva riscontrato la responsabilità di Teta, descritto come un uomo “con qualità sataniche nel suo agire nei confronti di ragazzi e bambini”. Il tribunale riferì dell’accaduto all’allora responsabile della Congregazione della Dottrina della Fede, cardinal Ratzinger, futuro papa che, però, impiegò 12 anni per intervenire con la scomunica ufficiale di Teta, passo che solo il Vaticano può compiere. Nonostante una lettera datata 8 giugno 1992, fornita all’Associated Press dall’avvocato delle due vittime di abusi Lynne Cardigan, in cui Ratzinger, informava l’allora vescovo di Tucson, Manuel Moreno, che premeva per la risoluzione del caso, che si sarebbe occupato rapidamente della questione, nessun passo venne compiuto e Teta, sebbene sospeso dalle sue funzioni dal vescovo, continuò per anni a essere retribuito e a occuparsi di ragazzi, fuori dalla chiesa. Moreno, continuò a scrivere periodicamente chiedendo l’intervento di Ratzinger; in una lettera del 10 febbraio 2003, facendo riferimento ad un articolo dell’Arizona Daily Star in cui si descriveva Teta alla guida di una Mercedes con interni in pelle e un rosario appeso allo specchietto retrovisore, implorò l’intervento del Vaticano così come, dopo il suo pensionamento per cause di salute, fece il suo successore Girald Kicanas. La laicizzazione di Teta avvenne solo nel 2004.
Quello di Tucson, tuttavia, è solo l’ultimo di una serie di casi denunciati, in prima istanza dal New York Times che in un’inchiesta a firma di Laurie Goodstein, ha portato alla luce lo scandalo dei 200 bambini sordi molestati alla St. John School nel Wisconsin. Le molestie furono tutte perpetrate dall’allora reverendo Lawrence C. Murphy che, come raccontato da una delle vittime, Steven Geier, diceva ai bambini che provavano a ribellarsi di “essere stato mandato da Dio”. Le molestie, avvenute fra il 1950 e il 1974 (e, secondo il New York Times di ieri proseguite anche dopo l’esilio in cui fu mandato), furono denunciate, come per il caso di Tucson, al cardinale Ratzinger, sempre in virtù del suo ruolo di capo della Congregazione per la dottrina della fede. Ancora una volta, però, le segnalazioni giunte sulla scrivania del cardinale nel 1996 restarono lettera morta per almeno 8 mesi fino a quando, cioé il cardinale Tarcisio Bertone, oggi segretario vaticano, diede indicazioni al vescovo del Wisconsin d’iniziare un processo canonico interno riservato, che venne poi bloccato dallo stesso Bertone a seguito d’una lettera che Murphy scrisse personalmente a Ratzinger pregandolo, per rispetto della sua salute precaria di “lasciargli vivere dignitosamente i suoi ultimi anni di vita”. Sebbene non ci siano tracce di risposta da parte di Ratzinger, il caso venne lasciato languire e nessun procedimento venne intrapreso nei confronti del prete.
Sin dalla prima denuncia del New York Times, fino a quella di ieri dell’Associated Press, passando per il botta e risposta con il Vaticano, ciò che appare evidente, qui negli Stati Uniti, è che ci sia una debolezza da parte dei vertici vaticani che rischia di gettare discredito sulla sacralità della Chiesa cattolica e la sua stessa istituzione.
Le responsabilità di Ratzinger e degli altri dirigenti sono sì legate al mancato intervento in casi gravissimi che richiedevano procedimenti esemplari ma sono anche, e soprattutto, connesse al fatto che una leadership che copre misfatti o se ne rende protagonista non può che indebolire l’istituzione stessa che rappresenta.
Per questo, la Chiesa cattolica americana sta chiedendo, in maniera pressante, una revisione della legge canonica che possa portare ad una severità pari a quella attuata, a livello locale, dopo lo scandalo del 2002 che travolse la chiesa di Boston nel Massachusetts e costò cifre astronomiche in risarcimenti alle vittime.
La valanga vaticana
La stampa Usa moltiplica le accuse sugli insabbiamenti dei casi di pedofilia nella Chiesa: ultimo caso a Tucson
di Angela Vitaliano
Il futuro Pontefice fece passare 12 anni prima di cacciare il reverendo dell’Arizona Teta
In una domenica di Pasqua assolata e primaverile, molti cattolici, da questa parte dell’oceano, si recheranno in Chiesa augurandosi, silenziosamente, pace prima di tutto per sé stessi, da settimane sotto il fuoco incrociato di tutta la stampa, a partire dal New York Times, per gli scandali legati alla pedofilia e “coperti” da chi aveva il compito di intervenire e punire. Una situazione estremamente difficile, aggravata, ieri, da due nuovi cicloni che hanno travolto il Vaticano e inasprito il disappunto di molti fedeli e, questa volta, anche dell’intera comunità ebraica offesa per il paragone, avanzato durante la messa del venerdì Santo, dal predicatore papale Rainero Cantalamessa che ha messo sullo stesso piano gli “attacchi” a papa Ratzinger alle persecuzioni contro gli ebrei. Un intervento che il portavoce Vaticano, padre Federico Lombardi, ha definito “non in linea con la posizione della Chiesa” ma che qui, negli Stati Uniti, è stato recepito come un vero e proprio oltraggio, soprattutto nella settimana in cui gli ebrei celebrano il Passover (per commemorare la fuga dall’Egitto e la fine della loro schiavitù).
Alan Elsner, giornalista che ha dedicato parte della sua carriera alla ricerca delle storie delle persecuzioni naziste sugli ebrei, scriveva ieri nel suo blog “per favore lasciate gli ebrei fuori dalle storie di abusi sui bambini dei cattolici”. Insomma, un autogol non da poco che diventa una vera e propria goleada se si considera che nelle stesse ore, l’Associated Press, riferisce, documenti alla mano, di due casi di abusi, avvenuti in Arizona e che, l’allora cardinale Joseph Ratzinger avrebbe fatto scivolare nel dimenticatoio per un decennio. La storia riportata dall’Ap, si riferisce all’episodio avvenuto a Tucson e riguardante l’allora reverendo Michael Teta, responsabile di abusi sessuali su due bambini di 7 e 9 anni che frequentavano la diocesi per prepararsi alla prima comunione. Nel 1990, un tribunale ecclesiastico aveva riscontrato la responsabilità di Teta, descritto come un uomo “con qualità sataniche nel suo agire nei confronti di ragazzi e bambini”. Il tribunale riferì dell’accaduto all’allora responsabile della Congregazione della Dottrina della Fede, cardinal Ratzinger, futuro papa che, però, impiegò 12 anni per intervenire con la scomunica ufficiale di Teta, passo che solo il Vaticano può compiere. Nonostante una lettera datata 8 giugno 1992, fornita all’Associated Press dall’avvocato delle due vittime di abusi Lynne Cardigan, in cui Ratzinger, informava l’allora vescovo di Tucson, Manuel Moreno, che premeva per la risoluzione del caso, che si sarebbe occupato rapidamente della questione, nessun passo venne compiuto e Teta, sebbene sospeso dalle sue funzioni dal vescovo, continuò per anni a essere retribuito e a occuparsi di ragazzi, fuori dalla chiesa. Moreno, continuò a scrivere periodicamente chiedendo l’intervento di Ratzinger; in una lettera del 10 febbraio 2003, facendo riferimento ad un articolo dell’Arizona Daily Star in cui si descriveva Teta alla guida di una Mercedes con interni in pelle e un rosario appeso allo specchietto retrovisore, implorò l’intervento del Vaticano così come, dopo il suo pensionamento per cause di salute, fece il suo successore Girald Kicanas. La laicizzazione di Teta avvenne solo nel 2004.
Quello di Tucson, tuttavia, è solo l’ultimo di una serie di casi denunciati, in prima istanza dal New York Times che in un’inchiesta a firma di Laurie Goodstein, ha portato alla luce lo scandalo dei 200 bambini sordi molestati alla St. John School nel Wisconsin. Le molestie furono tutte perpetrate dall’allora reverendo Lawrence C. Murphy che, come raccontato da una delle vittime, Steven Geier, diceva ai bambini che provavano a ribellarsi di “essere stato mandato da Dio”. Le molestie, avvenute fra il 1950 e il 1974 (e, secondo il New York Times di ieri proseguite anche dopo l’esilio in cui fu mandato), furono denunciate, come per il caso di Tucson, al cardinale Ratzinger, sempre in virtù del suo ruolo di capo della Congregazione per la dottrina della fede. Ancora una volta, però, le segnalazioni giunte sulla scrivania del cardinale nel 1996 restarono lettera morta per almeno 8 mesi fino a quando, cioé il cardinale Tarcisio Bertone, oggi segretario vaticano, diede indicazioni al vescovo del Wisconsin d’iniziare un processo canonico interno riservato, che venne poi bloccato dallo stesso Bertone a seguito d’una lettera che Murphy scrisse personalmente a Ratzinger pregandolo, per rispetto della sua salute precaria di “lasciargli vivere dignitosamente i suoi ultimi anni di vita”. Sebbene non ci siano tracce di risposta da parte di Ratzinger, il caso venne lasciato languire e nessun procedimento venne intrapreso nei confronti del prete.
Sin dalla prima denuncia del New York Times, fino a quella di ieri dell’Associated Press, passando per il botta e risposta con il Vaticano, ciò che appare evidente, qui negli Stati Uniti, è che ci sia una debolezza da parte dei vertici vaticani che rischia di gettare discredito sulla sacralità della Chiesa cattolica e la sua stessa istituzione.
Le responsabilità di Ratzinger e degli altri dirigenti sono sì legate al mancato intervento in casi gravissimi che richiedevano procedimenti esemplari ma sono anche, e soprattutto, connesse al fatto che una leadership che copre misfatti o se ne rende protagonista non può che indebolire l’istituzione stessa che rappresenta.
Per questo, la Chiesa cattolica americana sta chiedendo, in maniera pressante, una revisione della legge canonica che possa portare ad una severità pari a quella attuata, a livello locale, dopo lo scandalo del 2002 che travolse la chiesa di Boston nel Massachusetts e costò cifre astronomiche in risarcimenti alle vittime.