il Fatto 19.3.10
Chiesa e abusi, 80 anni di silenzio
Marco Politi
Il Cardinale Bertone: “Qualcuno cerca di minare la fiducia dei fedeli” Ma la situazione frana. Oggi la lettera ai vescovi irlandesi
L’omertà della Chiesa interpella Benedetto XVI. Alla fine si è arrivati al nodo: il silenzio sistematico, decennale, secolare sugli abusi sessuali commessi dal clero. Un silenzio che ha straziato le vittime due volte.
In Italia ci si comporta come se il fenomeno fosse lontano, ma 80 casi verificati imporrebbero maggiore allarme
Il caso di Monaco di Baviera, la diocesi dell’allora arcivescovo Joseph Ratzinger, è esemplare. Si guardino le date. 1980: un prete pedofilo viene mandato dal vescovo di Essen alla diocesi di Monaco. Ha costretto un ragazzo a fargli sesso orale. Il prete non viene allontanato dalla Chiesa, viene trasferito. L’arcivescovo Ratzinger lo accoglie perché segua una terapia. Poi il vicario generale della diocesi – all’insaputa di Ratzinger – decide il trasferimento del prete pedofilo in un’altra parrocchia. Nuovi abusi, persino una condanna in tribunale. E ciò nonostante il colpevole ha continuato ad esercitare il suo ministero fino a pochi giorni fa. 1980-2010: trent’anni affinché la Chiesa prenda una decisione. Le vittime in questa storia rimangono totalmente sullo sfondo, sembrano non contare.
Così è successo migliaia di altre volte. A volte il vescovo non sapeva oppure era disattento mentre la burocrazia ecclesiastica spostava i criminali da una parrocchia all’altra oppure approvava direttamente i trasferimenti come il cardinale Law di Boston. Spessissimo, negli accordi di risarcimento, le vittime erano costrette a firmare un impegno alla segretezza. Per non parlare dei casi innumerevoli, in cui la voce degli abusati non è stata ascoltata. Perché – alla fine – contava di più l’“immagine” dell’Istituzione che la giustizia da rendere alle vittime.
La storica Lucetta Scaraffia ha pronunciato sull’Osservatore Romano la parola dell’infamia: omertà. “Un velo di omertà maschile che spesso in passato ha coperto con il silenzio la denuncia dei misfatti”. Ha senso allora che in Vaticano si rispolveri la teoria della cospirazione? Lamenta il cardinale Bertone, segretario di Stato, che “qualcuno cerca di minare la fiducia dei fedeli nella Chiesa”. Era anche la posizione difensiva del cardinale Ratzinger nel 2002, quando accusava un’informazione manipolata, guidata dal “desiderio di discreditare la Chiesa”. Altri in Curia si avventurano in improbabili distinzioni tra abusi per fasce di età: meno di dodici anni, over 12, sedicenni. Come se lo squallore fosse attenuabile.
In Germania il delegato nazionale dell’episcopato tedesco per i casi di pedofilia, vescovo Ackermann di Treviri, riconosce onestamente: “Laddove non c’è stata reale volontà di fare luce sugli abusi e i colpevoli sono stati semplicemente trasferiti, dobbiamo riconoscere che in tutta una serie di casi si è praticato l’occultamento (dei fatti)”.
Eletto pontefice, Ratzinger ha imboccato fin dall’inizio una strategia chiara e intransigente: non sottovalutare le denunce, rimuovere i preti colpevoli, assistere le vittime, collaborare con i tribunali. Ora, tuttavia, molti fedeli chiedono che la Chiesa riconosca il suo peccato di omertà. Hans Küng, il teologo ribelle, esige dal pontefice un mea culpa per le responsabilità della Chiesa. Perché la situazione sta franando. Il primate d’Irlanda, cardinale Brady, domanda perdono per avere partecipato da sacerdote a una riunione, in cui si impose il silenzio a due piccole vittime di molestie. Forse si dimetterà. In Germania il vescovo di Osnabrück ha chiesto scusa ai fedeli per gli abusi degli anni passati.
C’è ancora nei Sacri Palazzi chi si fa scudo dell’argomento che il crimine è trasversale e avviene in tutti gli ambienti sociali. E’ vero, anzi più del 70 per cento degli abusi si scoprono nelle famiglie. Ma c’è una responsabilità specifica del mondo ecclesiastico. E’ la Chiesa che si presenta come la più alta autorità morale ed educativa, è nelle chiese che si predica dai pulpiti la purezza come principio supremo del sacerdozio. Il crollo di fiducia provocato dagli abusi è perciò ancora più devastante. Soprattutto perché il delitto si compie, mentre i genitori i fiducia affidano i figli alle parrocchie. In “Atti impuri”, un saggio documentatissimo sulle violenze sessuali nelle diocesi americane (ed. Raffaello Cortina), si ritrova tutta la straziante normalità degli abusi. Una via crucis di incubi. “Un giorno, dopo la messa, il prete si mise davanti al chierichetto con il pene eretto e guidò le sue mani fino a raggiungere l’orgasmo... Il dodicenne Julian fu abusato per tre anni da padre Scott, il quale gli aveva detto che per ricevere la cresima avrebbe dovuto partecipare a speciali sessioni di consulenza... All’età di cinque anni X cominciò ad essere prelevato dal letto e portato sul divano del sacerdote (ospite dei genitori), che lo stendeva sopra di sé... La chiesa nella quale fui violentata era la stessa in cui i preti ascoltavano le confessioni, in cui tutti i figli della mia famiglia si sono sposati, alcuni nipoti battezzati, e in cui sono sepolti i miei genitori”.
Ecco di cosa si sta parlando. Ecco perché il vicepresidente del Parlamento di Berlino, Wolfgang Thierse, membro del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (l’organizzazione delle associazioni laicali), ha dichiarato che “la credibi-
lità della Chiesta sta traballando in modo assai grave” e che perciò la “Chiesa deve essere più onesta e più severa con se stessa e questo vale anche per il Papa”.
Nel frattempo la Chiesa in Italia sembra comportarsi come se il fenomeno avvenisse in terre lontane. Ancora nel 2002, nel pieno dello scalpore per gli scandali americani, il segretario della Conferenza episcopale mons. Betori dichiarava in conferenza stampa che “non sta alla Cei monitorare il problema... (che) il Consiglio permanente non ha mai parlato di casi di pedofilia e alla Cei non c’è nessun elenco in proposito e non abbiano né casi in evidenza né una procedura di monitoraggio”. Unici referenti: le singole diocesi e il Vaticano.
Da allora non si è saputo più nulla, a parte l’accenno a un servizio di assistenza tecnico-giuridica fornito dalla Cei ai vescovi interessati. Ottanta casi, già acclarati per un decennio, imporrebbero maggiore allarme. Betori stesso, diventato arcivescovo di Firenze, ha prontamente allontanato da una parrocchia un prete pedofilo. A Bolzano è bastato che il vescovo Golser indicasse un indirizzo mail per gli abusi e subito sono venuti a galla alcuni casi. Certo è singolare che mons. Charles Scicluna, “pubblico ministero” all’ex Sant’Uffizio, debba dichiarare su Avvenire: “Preoccupa una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa nella Penisola”. Forse per questo il presidente della Cei cardinale Bagnasco ha deciso di affrontare il tema al prossimo Consiglio permanente. Papa Ratzinger firma stamane la Lettera ai vescovi d’Irlanda. Indicherà certamente le misure per combattere gli abusi. Ma lo attende una prova anche più ardua: confessare i silenzi della Chiesa.
Chiesa e abusi, 80 anni di silenzio
Marco Politi
Il Cardinale Bertone: “Qualcuno cerca di minare la fiducia dei fedeli” Ma la situazione frana. Oggi la lettera ai vescovi irlandesi
L’omertà della Chiesa interpella Benedetto XVI. Alla fine si è arrivati al nodo: il silenzio sistematico, decennale, secolare sugli abusi sessuali commessi dal clero. Un silenzio che ha straziato le vittime due volte.
In Italia ci si comporta come se il fenomeno fosse lontano, ma 80 casi verificati imporrebbero maggiore allarme
Il caso di Monaco di Baviera, la diocesi dell’allora arcivescovo Joseph Ratzinger, è esemplare. Si guardino le date. 1980: un prete pedofilo viene mandato dal vescovo di Essen alla diocesi di Monaco. Ha costretto un ragazzo a fargli sesso orale. Il prete non viene allontanato dalla Chiesa, viene trasferito. L’arcivescovo Ratzinger lo accoglie perché segua una terapia. Poi il vicario generale della diocesi – all’insaputa di Ratzinger – decide il trasferimento del prete pedofilo in un’altra parrocchia. Nuovi abusi, persino una condanna in tribunale. E ciò nonostante il colpevole ha continuato ad esercitare il suo ministero fino a pochi giorni fa. 1980-2010: trent’anni affinché la Chiesa prenda una decisione. Le vittime in questa storia rimangono totalmente sullo sfondo, sembrano non contare.
Così è successo migliaia di altre volte. A volte il vescovo non sapeva oppure era disattento mentre la burocrazia ecclesiastica spostava i criminali da una parrocchia all’altra oppure approvava direttamente i trasferimenti come il cardinale Law di Boston. Spessissimo, negli accordi di risarcimento, le vittime erano costrette a firmare un impegno alla segretezza. Per non parlare dei casi innumerevoli, in cui la voce degli abusati non è stata ascoltata. Perché – alla fine – contava di più l’“immagine” dell’Istituzione che la giustizia da rendere alle vittime.
La storica Lucetta Scaraffia ha pronunciato sull’Osservatore Romano la parola dell’infamia: omertà. “Un velo di omertà maschile che spesso in passato ha coperto con il silenzio la denuncia dei misfatti”. Ha senso allora che in Vaticano si rispolveri la teoria della cospirazione? Lamenta il cardinale Bertone, segretario di Stato, che “qualcuno cerca di minare la fiducia dei fedeli nella Chiesa”. Era anche la posizione difensiva del cardinale Ratzinger nel 2002, quando accusava un’informazione manipolata, guidata dal “desiderio di discreditare la Chiesa”. Altri in Curia si avventurano in improbabili distinzioni tra abusi per fasce di età: meno di dodici anni, over 12, sedicenni. Come se lo squallore fosse attenuabile.
In Germania il delegato nazionale dell’episcopato tedesco per i casi di pedofilia, vescovo Ackermann di Treviri, riconosce onestamente: “Laddove non c’è stata reale volontà di fare luce sugli abusi e i colpevoli sono stati semplicemente trasferiti, dobbiamo riconoscere che in tutta una serie di casi si è praticato l’occultamento (dei fatti)”.
Eletto pontefice, Ratzinger ha imboccato fin dall’inizio una strategia chiara e intransigente: non sottovalutare le denunce, rimuovere i preti colpevoli, assistere le vittime, collaborare con i tribunali. Ora, tuttavia, molti fedeli chiedono che la Chiesa riconosca il suo peccato di omertà. Hans Küng, il teologo ribelle, esige dal pontefice un mea culpa per le responsabilità della Chiesa. Perché la situazione sta franando. Il primate d’Irlanda, cardinale Brady, domanda perdono per avere partecipato da sacerdote a una riunione, in cui si impose il silenzio a due piccole vittime di molestie. Forse si dimetterà. In Germania il vescovo di Osnabrück ha chiesto scusa ai fedeli per gli abusi degli anni passati.
C’è ancora nei Sacri Palazzi chi si fa scudo dell’argomento che il crimine è trasversale e avviene in tutti gli ambienti sociali. E’ vero, anzi più del 70 per cento degli abusi si scoprono nelle famiglie. Ma c’è una responsabilità specifica del mondo ecclesiastico. E’ la Chiesa che si presenta come la più alta autorità morale ed educativa, è nelle chiese che si predica dai pulpiti la purezza come principio supremo del sacerdozio. Il crollo di fiducia provocato dagli abusi è perciò ancora più devastante. Soprattutto perché il delitto si compie, mentre i genitori i fiducia affidano i figli alle parrocchie. In “Atti impuri”, un saggio documentatissimo sulle violenze sessuali nelle diocesi americane (ed. Raffaello Cortina), si ritrova tutta la straziante normalità degli abusi. Una via crucis di incubi. “Un giorno, dopo la messa, il prete si mise davanti al chierichetto con il pene eretto e guidò le sue mani fino a raggiungere l’orgasmo... Il dodicenne Julian fu abusato per tre anni da padre Scott, il quale gli aveva detto che per ricevere la cresima avrebbe dovuto partecipare a speciali sessioni di consulenza... All’età di cinque anni X cominciò ad essere prelevato dal letto e portato sul divano del sacerdote (ospite dei genitori), che lo stendeva sopra di sé... La chiesa nella quale fui violentata era la stessa in cui i preti ascoltavano le confessioni, in cui tutti i figli della mia famiglia si sono sposati, alcuni nipoti battezzati, e in cui sono sepolti i miei genitori”.
Ecco di cosa si sta parlando. Ecco perché il vicepresidente del Parlamento di Berlino, Wolfgang Thierse, membro del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (l’organizzazione delle associazioni laicali), ha dichiarato che “la credibi-
lità della Chiesta sta traballando in modo assai grave” e che perciò la “Chiesa deve essere più onesta e più severa con se stessa e questo vale anche per il Papa”.
Nel frattempo la Chiesa in Italia sembra comportarsi come se il fenomeno avvenisse in terre lontane. Ancora nel 2002, nel pieno dello scalpore per gli scandali americani, il segretario della Conferenza episcopale mons. Betori dichiarava in conferenza stampa che “non sta alla Cei monitorare il problema... (che) il Consiglio permanente non ha mai parlato di casi di pedofilia e alla Cei non c’è nessun elenco in proposito e non abbiano né casi in evidenza né una procedura di monitoraggio”. Unici referenti: le singole diocesi e il Vaticano.
Da allora non si è saputo più nulla, a parte l’accenno a un servizio di assistenza tecnico-giuridica fornito dalla Cei ai vescovi interessati. Ottanta casi, già acclarati per un decennio, imporrebbero maggiore allarme. Betori stesso, diventato arcivescovo di Firenze, ha prontamente allontanato da una parrocchia un prete pedofilo. A Bolzano è bastato che il vescovo Golser indicasse un indirizzo mail per gli abusi e subito sono venuti a galla alcuni casi. Certo è singolare che mons. Charles Scicluna, “pubblico ministero” all’ex Sant’Uffizio, debba dichiarare su Avvenire: “Preoccupa una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa nella Penisola”. Forse per questo il presidente della Cei cardinale Bagnasco ha deciso di affrontare il tema al prossimo Consiglio permanente. Papa Ratzinger firma stamane la Lettera ai vescovi d’Irlanda. Indicherà certamente le misure per combattere gli abusi. Ma lo attende una prova anche più ardua: confessare i silenzi della Chiesa.