giovedì 29 ottobre 2009

Lo Stato laico e l’ora di religione

La Repubblica 29.10.09
Lo Stato laico e l’ora di religione
risponde Corrado Augias

Egregio Augias, vedo nella sua rubrica lettere contrarie all'ora di religione cattolica, si propone lo studio di tutte le religioni. Mi domando se la proposta non nasconda il proposito di emarginare l'ora di religione cattolica. A suo tempo si propose, in alternativa all'ora di religione cattolica, la storia delle religioni, ma dopo attenta valutazione l'ipotesi fu scartata proprio da alcuni laici i quali temevano che una esposizione approfondita degli aspetti più controversi del Corano per esempio, potesse causare ostilità nei confronti dei musulmani. D'altra parte l'eventuale abolizione dell'ora di religione cattolica, scelta volontariamente dal 91% degli studenti, renderebbe più difficile comprendere la letteratura, l'arte e la storia del nostro paese. Attualmente questo insegnamento non è confessionale, ma solo una spiegazione di questa religione nella sua realtà. Certamente lei non spiegherebbe la religione cattolica ufficiale ma una sua interpretazione che non sarebbe più quella cattolica. Per questo gli insegnanti di questa religione sono scelti dai Vescovi. Per me padre di due figli questa è una garanzia perché desidero che conoscano la vera religione cattolica. Sappia che non sono il solo a pensarla così.
Carlo A. Innocenti ecofar2000@yahoo.it

Pubblico volentieri la lettera del signor Innocenti che racchiude buona parte dei pregiudizi sull'insegnamento confessionale della religione. Non mi risulta che siano stati "proprio alcuni laici" a dichiararsi contrari alla storia delle religioni. Ammesso che sia vero, la motivazione addotta mi pare debolissima. Nel Corano, come nella Bibbia e altrove, si trova tutto ciò che si vuole. Basta scegliere la citazione giusta e ogni fatto e misfatto può trovare un riferimento, se non una giustificazione, in un qualche testo sacro. La percentuale del 91 per cento di "scelta volontaria" scenderebbe notevolmente se la religione fosse collocata alla prima o all'ultima ora della giornata. A non farla scendere contribuirà anche l'eventuale inserimento della "religione" nella valutazione complessiva del profitto. Con quale rispetto della laicità non c'è bisogno di dire. Il signor Innocenti dice di desiderare che i suoi figli "conoscano la vera religione cattolica". È un suo diritto e va difeso non solo da lui ma da tutti. La vera questione però è se sia la scuola pubblica di uno Stato laico il posto più indicato dove essere istruiti non su una disciplina ma su una fede. L'entrata della religione nello spazio pubblico non significa che una particolare confessione debba assumere una posizione "dominante" e accaparrare per sé l'intero tempo disponibile. Mi dispiace constatare come questi elementari principi di un liberalismo affermatosi altrove fin dal XVIII secolo stentino in tal modo da noi.

sabato 24 ottobre 2009

In Toscana i preti del genocidio

La Repubblica 22.10.09
In Toscana i preti del genocidio
Arrestati due sacerdoti ruandesi: "Hanno massacrato i tutsi"
Dopo Seromba, finisce in carcere anche Uwayezu, vice parroco vicino ad Empoli: "Sono innocente"
di Laura Montanari

FIRENZE - Stessa accusa, genocidio. E stesso rifugio, le chiese della diocesi fiorentina. Dopo padre Athanase Seromba, condannato all´ergastolo per i massacri della guerra civile in Ruanda, l´ultimo caso è quello che ha portato nel carcere di Sollicciano padre Emanuel Uwayezu, 47 anni, il sacerdote ruandese di etnia hutu, vice parroco in una chiesa di Ponzano (Empoli). Uwayezu è stato arrestato dai militari in esecuzione di un mandato di cattura internazionale: la procura generale in Ruanda lo accusa di essere coinvolto nel massacro dei tutsi nel maggio 1994, una primavera di sangue con centinaia di migliaia di vittime.
Padre Emanuel era direttore della scuola di Misericordia di Maria di Kibeho: ottanta studenti fra i 12 e i 20 anni tutsi vennero uccisi. Secondo la denuncia dell´Africa Rights, ong con sede a Londra, il sacerdote non avrebbe fatto nulla per difendere quei giovani circondati dai miliziani hutu e finiti a colpi di machete senza che i gendarmi schierati in loro difesa intervenissero. In pochissimi si salvarono. Uwayezu si è sempre proclamato innocente e l´ha ribadito anche ieri: «Non ero al collegio, ma a colloquio con il vescovo proprio per cercare un modo per mettere in salvo i ragazzi». Il sacerdote ruandese dopo il massacro si è rifugiato prima in Congo e poi è arrivato in Toscana grazie a una convenzione fra le diocesi, Fidei donum. La stessa che soltanto pochi anni prima aveva probabilmente portato a Firenze un altro sacerdote ruandese accusato e poi condannato nel 2008 per genocidio, padre Athanase Seromba. Anche Seromba si era sempre dichiarato innocente ed era scappato dal Paese trovando rifugio prima a Prato e poi a Firenze. Aveva cambiato nome, ma era stato individuato e denunciato dal procuratore del tribunale dell´Onu e alla fine si era costituito. Condannato in primo grado a 15 anni di carcere nella sentenza d´appello la corte del tribunale internazionale per il Ruanda (con sede in Tanzania) aveva trasformato la pena in ergastolo. La presenza di sacerdoti stranieri in Italia, di solito legata alla mancanza del clero necessario a coprire tutte le esigenze pastorali, è regolata da accordi fra vescovi. I legali di don Uwayezu, presenteranno oggi alla corte d´appello di Firenze l´istanza per ottenere gli arresti domiciliari.

Pillola abortiva, i vescovi chiedono obiezione di coscienza per i farmacisti

l’Unità 24.10.09
Il congresso nazionale l’intervento di monsignor Crociata sottolinea il «diritto-dovere»
L’invito della Cei per analogia con quanto è già previsto per il servizio di leva e per i medici
Pillola abortiva, i vescovi chiedono obiezione di coscienza per i farmacisti
Obiezione di coscienza per i farmacisti chiamati a vendere la pillola del giorno dopo o la Ru 468. La chiede la Cei con il segretario monsignor Crociata. Secca reazione degli organismi di categoria. Critiche dalla sinistra.
di Roberto Monteforte

Diritto alla libertà di obiezione di coscienza anche per i farmacisti chiamati a vendere prodotti che possono interrompere la vita, causare aborti come le pillola del giornodopoolaRu486.Anomedei vescovi italiani lo chiede il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata che ieri, intervenendo al congresso nazionale dei farmacisti cattolici dedicato proprio al riconoscimento per questa categoria del «diritto-dovere» all’obiezione di coscienza. Dalla Conferenza episcopale è giunto qualcosa di più di un semplice incoraggiamento a questa battaglia. Un convinto invito ad andare sino in fondo nella loro richiesta di avere una legge che lo consenta e un messaggio chiaro rivolto al mondo politico: consentitelo.
LA CHIESA INVOCA L’«ANALOGIA»
Parte dal fatto che l’aborto è considerato «un delitto» e che l’obiezione di coscienza è consentita in due soli casi, «legati al principio di non uccidere»: per chi è chiamato al servizio di leva obbligatorio e, con la legge 194 che ha introdotto l'interruzione di gravidanza, per il medico e per il personale sanitario coinvolto, ma non per il farmacista. Ora con la «pillola del giorno dopo», accanto all'aborto chirurgico è stato introdotto anche un prodotto farmacologico (nell'eventualità che l'embrione si sia formato, ndr) che lo consente e quindi «per analogia deve spettare anche ai farmacisti lo stesso diritto all'obiezione». «L'obiezione di coscienza è un diritto che deve essere riconosciuto anche ai farmacisti, permettendo loro di non collaborare direttamente o indirettamente alla fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali come l'aborto e l'eutanasia», ha scandito monsignor Crociata. «In Italia ha spiegato il problema è avvertito soprattutto riguardo alla vendita della cosiddetta pillola del giorno dopo». Ma deve riguardare anche i farmacisti ospedalieri che potrebbero somministrare la Ru 486. Argomenta il segretario della Cei. Cita prese di posizione del Comitato nazionale di bioetica, ma non convince l'Ordine dei Farmacisti e di Federfarma. «Massimo rispetto per le preoccupazioni morali della Cei», gli risponde il presidente dell' Ordine Andrea Mandelli ma «credo che questo sia un tema delicato e che debba essere regolamentato da una legge che chiarisca nei dettagli gli ambiti di applicazione all' interno dei quali deve operare un responsabile donne del partito. Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista-sinistra europea denuncia «l'intollerabile ingerenza della Chiesa». Opposte le reazioni dell’Udc che con il presidente, Rocco Buttiglione ha pienamente accolto la richiesta di un diritto all'obiezione di coscienza dei farmacisti, mentre l'on. Luca Volontè, ha accusato il Pd di «intolleranza verso i diritti più intimi e sacri di libertà».

mercoledì 14 ottobre 2009

Religione: voto e non giudizio

Religione: voto e non giudizio

Il Manifesto del 14 ottobre 2009, pag. 3

Voto invece del giudizio anche per l’insegnamento della religione. E’ questo l’orientamento del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. «Il voto di religione - ha detto il ministro rispondendo ai cronisti a margine di un’iniziativa contro la violenza - oggi non c’è ancora, esiste un giudizio. Il nostro intendimento è quello di chiedere un parere al Consiglio di Stato, onde evitare contenziosi, ma la mia opinione è che essendo passati dai giudizi ai voti in tutte le materie questo debba valere anche per l’insegnamento della religione». Il ministro quindi, ricordando che oggi si celebra l’VIII Giornata europea dei genitori e della scuola, ha sottolineato l’opportunità di ripristinare, «anche su suggerimento della Cei, una alleanza tra il mondo della scuola e i genitori». «Sono molte - ha detto il ministro - le iniziative in cantiere per favorire questa collaborazione: dagli sms per segnalare le assenze a scuola, alle pagelle on-line, alla possibilità di avere più flessibilità negli orari di lavoro per poter accedere ai colloqui con gli insegnanti». Protesta la Rete degli studenti. «Siamo contrari alla parificazione del voto di religione con gli altri voti», hanno affermato. Giudicando l’intervento della Gelmini «vicino al fondamentalismo religioso». Donatella Poretti dei radicali ha invece commentato: «Voto all’ora di religione? Alla Gelmini: 0 in laicità, 10 in clericalismo bigotto e baciapile».

Zero in laicità è il voto che le dà Donatella Poretti. Dieci, invece, in clericalismo bigotto

l’Unità 14.10.09
Zero in laicità è il voto che le dà Donatella Poretti. Dieci, invece, in clericalismo bigotto
Gli studenti «L’ora di religione è un residuo medievale, già oggi chi non la fa è discriminato
Gelmini: mettiamo il voto in religione Pd: è propaganda contro lo stato laico La Consulta ha già stabilito che è un insegnamento facoltativo. E, con il ministro Carfagna vuole vietare il velo, «per identificare le ragazze». Il collega Pdl Consolo: «Si impegnino contro le mutilazioni femminili»
di Jolanda Bufalini

Visto che alla Gelmini piacciono tanto i voti «le diamo zero in laicità e dieci in clericalismo bigotto e baciapile». La battuta è della senatrice radicale-Pd Donatella Poretti. Il ministro infatti se ne è uscita con un’altra spallata all’impianto della scuola pubblica che dovrebbe garantire l’eguaglianza delle diverse religioni o dei non credenti. Ed ha annunciato la reintroduzione del voto in religione: «La mia opinione è che essendo passati dai giudizi ai voti in tutte le materie questo debba valere anche per l'insegnamento della religione», Poi ha messo le mani avanti: «Chiederò un parere al consiglio di Stato».
Ma non si vede perché rendere uniforme in pagella ciò che non è uniforme nel merito, visto che l’ora di religione è facoltativa in forza di quel trattato internazionale che va sotto il nome di Concordato, articolo 9, comma 2: «Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento... senza dar luogo ad alcuna forma di discriminazione». E quindi non può fare media.
Quasi incredule le reazioni. «Cosa fa propaganda?» chiedono dal Pd Manuela Ghizzoni e Maria Coscia, oppure, ipotizzano, «non sa di cosa parla»: c’è una sentenza recente della Corte Costituzionale che «ha già stabilito il principio di facoltatio, nel rispetto della laicità dello Stato e della pari dignità ai ragazzi di ogni culto». «L'ora di religione spiega Mimmo Pantaleo, segretario della Flc Cgil non può determinare vantaggi di alcun genere, a cominciare dai crediti formativi e, quindi, non può essere valutata come una normale materia curriculare». Pantaleo e il collega della Cisl Francesco Scrima ne approfittano per ricordare che i pesanti tagli hanno falcidiato le ore alternative. Per Scrima, però, «tutto ciò che si fa a scuola, opzionale o obbligatorio, deve fare parte del curricolo e «devono essere garantite alternative altrettanto significative e valide».
DISCRIMINAZIONI
A denunciare che già oggi c’è un atteggiamento discriminatorio sono gli studenti della Rete. L’ora di religione dicono «è un residuo medievale che ha corrispettivi solo nei regimi teocratici» e «va risolto il trattamento già oggi discriminatorio riservato a chi non si avvale dell'ora di religione». Altrettanto duro il responsabile Pdci della scuola Piergiorgio Bergonzi: «Si ricordi di essere un ministro della Repubblica e non un portavoce dell Stato Vaticano, l’ora di religione non dovrebbe proprio esistere».
Ma non è finita qui, perché il ministro ha pure espresso la propra contrarietà non solo al burqa ma anche al velo e al chador a scuola. Non in nome della libertà delle ragazze ma perché «devono poter essere identificate». Per la verità solo il burqa impedisce di vedere il volto. Dice Luca De Zolt della Rete degli studenti: «Sono modi xenofobi» mentre a scuola «non si fa nulla per l’integrazione».

martedì 13 ottobre 2009

«Il problema non è la Chiesa ma la politica sottomessa»

Corriere Fiorentino 8.10.09
L’intervista. Il professor Lombardi Vallauri, ordinario di filosofia del diritto
«Il problema non è la Chiesa ma la politica sottomessa»
intervista di David Allegranti

Luigi Lombardi Vallauri, ordina­rio di filosofia del diritto all’Uni­versità di Firenze, è, fra le tante cose di cui si occupa, un attento studioso di bioetica. Da mesi non legge «cose che riguardano l’Italia e la politica italiana, come misura elementare di igiene mentale». Sollecitato, fa un’eccezione con gli articoli sul registro fiorentino del testamento biologico.
Professore, dopo la nota del­l’Arcidiocesi sul voto di lunedì in consiglio comunale, c’è chi ha parlato di nuovo di ingerenza della Chiesa in fatti che non la ri­guardano. Secondo lei sono le­gittimi gli attacchi della Curia?
«Penso che la Chiesa, come tutti, abbia diritto di parlare, e chiunque parla è tutelato dalla libertà di ma­nifestazione del pensiero. Quando io dico quello che penso nessuno lo chiama ingerenza, perché a quel­lo che io dico non c’è acquiescen­za; una manifestazione di pensiero diventa cioè ingerenza non per col­pa di chi parla, ma per colpa di chi segue. Il vero problema non è che la Chiesa manifesti le sue opinioni, ma che ci siano dei politici dipen­denti. Ingerenza è sinonimo di di­pendenza, e non ci sarebbe inge­renza se ci fosse indipendenza. Gandhi aveva una frase molto bel­la: dire un tiranno e dire mille vi­gliacchi è dire esattamente a stessa cosa. In questa fase la Chiesa non potendo più parlare di oggetti dog­matici, trascendenti, si sta riducen­do a una strana politica: erogare sensi di colpa per poter erogare presunte vie di giustificazione, ero­gare perdizione per poter erogare salvezza, erogare peccati per poter vendere assoluzioni. Praticamente la Chiesa è diventata una specie di altoparlante di etica colpevolizzan­te. Questo mostra che è in profon­dissimo imbarazzo».
Al di là delle competenze di Co­mune e Parlamento, di cui pure si è molto discusso, c’è una que­stione di merito sull’istituzione del registro dei biotestamenti. Lei che ne pensa?
«Prima facie , istituire un regi­stro sembra un atto completa­mente innocuo, un semplice stru­mento di pubblicità di atti, la cui validità o non validità giuridica è del tutto indipendente dalla regi­strazione. Nessuno credo preten­de che per il fatto di essere regi­strati, questi testamenti acquisti­no efficacia giuridica maggiore, e quindi bisognerà in ogni caso ri­salire agli atti compiuti presso i notai o altri fiduciari, anche per­ché, se ho ben capito, il registro non ne riprodurrà il contenuto. Dirà solo che il signor X ha fatto testamento biologico e quindi sa­rà impossibile conoscere il conte­nuto di questo testamento, an­dando a vedere nel registro. Dun­que è semplicemente una forma di pubblicità, ripeto, apparente­mente innocua, che facilita l’inda­gine volta al reperimento poi del documento che conta. Ma c’è un livello molto più interessante».
Quale?
«Il problema della legittimità etica e giuridica di questi atti, e cioè del testamento biologico. L’espressione di volontà concer­nente l’ultima fase della vita: il problema è anzitutto etico e poi giuridico. Eticamente devo dire che se l’etica è universalmente condivisibile, come lo sono la ma­tematica e la fisica, allora il prove­nire da un’autorità è senza alcun effetto; Dio non ha compiuto rive­lazioni matematiche e fisiche, e di­rei che se l’etica è universale deve essere anch’essa separata da prin­cipi di autorità. L’etica non conta per chi la emana, fosse anche Dio — e Dio nella storia ne ha dette eticamente di tutti i colori — ma dipende dagli argomenti a favore delle tesi; essa non può essere quindi che laica, come laica è la matematica».
E quindi?
«Se argomentiamo, ho molta difficoltà a pensare che mentre su tutte le fasi della vita la persona ha il diritto-dovere di decidere, questo diritto-dovere cessi di fronte all’ultima fase. Io simpatiz­zo molto con la tesi secondo cui l’ultima fase è come tutte le fasi precedenti e quindi la persona ha il diritto-dovere di organizzarse­la, anche molto prima che si pon­ga il problema eutanasia sì, euta­nasia no. Io vedo la persona, o il suo fiduciario, come un regista dell’ultima fase di cui il medico è semplicemente un attore. E quin­di le dichiarazioni anticipate mi sembrano della stessa natura del testamento normale».
Dunque lei è a favore del testa­mento biologico? Perché?
«Ritengo che gli argomenti a fa­vore del testamento biologico sia­no molto più forti di quelli con­tro, e qui nasce il problema della traduzione dell’etica in termini giuridici; quando si passa al dirit­to, non è affatto detto che si pos­sa trapiantare di sana pianta l’eti­ca in quanto tale. Il diritto si rivol­ge in modo coercitivo a collettivi­tà nelle quali ci possono essere etiche di coscienza diverse e quin­di si pone un problema di consen­so e di tutela delle minoranze. Questo problema non può non es­sere risolto a partire dal principio di libertà. Chiunque limiti la liber­tà di un cittadino ha su di sé l’one­re della prova».
Cioè?
«Deve avere argomenti a favore della limitazione della libertà più forti del valore libertà come tale. Ed è molto difficile trovare argo­menti che non consistano nella di­fesa di altrui libertà minacciate da certi esercizi della mia libertà. Ora in questo caso è ben difficile vede­re quali libertà altrui siano minac­ciate dall’esercizio di questa mia li­bertà sull’ultima fase della mia vi­ta. Quindi ritengo che una tradu­zione giuridica esplicita del princi­pio di libertà e cioè una legittima­zione giuridica del testamento bio­logico sia la soluzione più giusta».

domenica 11 ottobre 2009

Quel film su Ipazia che non si deve vedere

La Repubblica Lettere 11.10.09
Quel film su Ipazia che non si deve vedere
di Paolo Izzo
E così nessun produttore italiano ha il coraggio di comprare i diritti per distribuire nel nostro Paese il film su Ipazia, del regista spagnolo Alejandro Amenenabar. Eppure, la storia di una matematica, scienziata, filosofa che viene uccisa a sassate da un gruppo di monaci per le sue "eresie", in questo tempo solcato da nuovi fondamentalismi sarebbe molto utile da vedere.
E invece no, non lo vedremo. Facciamo una colletta di cittadini laici e importiamo il film. Facciamo un po' di resistenza attiva contro questo fondamentalismo strisciante che ci prenderebbe ancora a sassate pur di salvaguardare la sua stoltezza.

«Ru-486, ogni scusa è buona per mettere in dubbio l’aborto»

l’Unità 11.10.09
Lisa Canitano:
«Ru-486, ogni scusa è buona per mettere in dubbio l’aborto»
di Ma. Ge.

Uno Stato che pensa che più l’aborto è traumatico meno le donne abortiscono mi fa paura da qui a frustrarle in pubblico non ci manca moltissimo», reduce da un raduno di ginecologi pro Ru486.
In Italia siamo davvero all’anno zero?
«La Ru486 è del 1980, in Francia è in uso dal 1988, è stata adottata anche da Cina e Uzbekistan, l’Oms l’ha inserita tra i farmaci essenziali. E sicuri. Anche in Italia, dopo la sperimentazione di Torino, è in uso a Pontedera, a Bologna a Parma. Non si capisce cosa si debba sapere di più».
Perché l’indagine del senato?
«La strumentalità degli ostacoli che vengono frapposti alla Ru486 è evidente. Vogliono costringere le donne a subire un intervento chirurgico? Da qui alle frustrate ci vuole poco». Perché allora le donne non scendono in piazza?
«Il diritto al farmaco è un concetto complesso e non automatico, passa attraverso l’informazione. Non a caso chi è contrario alla Ru486 strilla così tanto la sua disinformazione. E non a caso le donne che vanno a Pontedera per abortire con la Ru486 sono mediamente molto istruite».
In ogni caso l’Aifa restringe l’uso all’ospedale. Perché? «Sbaglia. Noi medici siamo obbligati a fare gli stessi raschiamenti in day hospital».