il Fatto 8.4.11
Tre giorni di incontri
Laicità un tabù tutto italiano
A Reggio Emilia filosofi, religiosi e scienziati si confronteranno sul relativismo. Ma l’iniziativa di Flores d’Arcais provoca già polemiche
di Mattia Carzaniga
Le Giornate della Laicità non sono ancora cominciate ed è già polemica. La rassegna – nata per iniziativa di Paolo Flores d’Arcais, direttore di “MicroMega” e firma anche di questo giornale – ospitata a Reggio Emilia dal 15 al 17 aprile- già si scontra con il dietrofront delle istituzioni. Quelle della vicina Parma, che prima concede e poi nega il patrocinio a una rassegna di cinema collegata alla tre giorni. La motivazione? «Possono essere oggetto di Patrocinio eventi […], ad esclusione di quelli a carattere politico promossi da partiti o movimenti politici». La rassegna in realtà si compone non di comizi ma di incontri e dialoghi filosofici attorno al tema quantomai caldo del “relativismo” etico, che vedono schierati nomi come Gianni Vattimo, Piergiorgio Odi-freddi, Margherita Hack, Roberta De Monticelli, Sergio Luzzatto (il programma completo su www.micromega.net ).
Dunque Flores d’Arcais, come spiega la negazione del patrocinio da parte del Comune di Parma?
È un episodio marginale ma molto significativo. Si trattava di una rassegna di film per accompagnare le tre giornate di Reggio Emilia. Malgrado il riconosciuto valore artistico dei film in programma, il Comune ha voluto togliere il patrocinio con motivazioni grottesche, ma chiaramente costituisce la “solidarietà” di un’amministrazione berlusconiana alla Curia della vicina Reggio, che malgrado i suoi anatemi non era riuscita a far venire meno il sostegno del Comune e dell’Università alle Giornate.
Lei stesso ha dichiarato che un’iniziativa come questa «in un paese democratico dovrebbe risultare talmente scontata da non costituire oggetto di dibattito».
La laicità dovrebbe essere in tutte le democrazie terreno comune tra credenti, scettici, miscredenti, atei. L’Italia invece è il Bel Paese dove nei luoghi pubblici si garantisce uguale dignità a tutti i cittadini imponendo a tutti un solo simbolo religioso. E i presunti monopolisti di quel simbolo vogliono imporre per legge a ciascuno di noi le modalità con cui dovremmo anche morire. Basta questo per far capire la distanza abissale rispetto al fondamento liberale enunciato da Thomas Jefferson due secoli e passa fa sulla necessità di innalzare un invalicabile “muro di separazione” tra Stato e sedi religiose.
A chi fa comodo oggi non innalzarlo? È sempre colpa del Vaticano? O sono questioni di lobby?
La radice è nell’unico articolo della Costituzione che andrebbe cambiato: il 7, che legittimava i Patti Lateranensi. Oggi la commistione tra politica e religione, dove la politica è subalterna, fa parte dello scambio indecente tra Berlusconi e la Conferenza Episcopale Italiana, per cui la Chiesa gerarchica contestualizza e santifica parole e pratiche ferocemente anticristiane del regime e dei suoi gerarchi (il riferimento è anche alla barzelletta con bestemmia del premier, ndr) per il piatto di lenticchie di sontuose elargizioni alla scuole confessionale.
La provoco: le Giornate della Laicità sono una risposta alla crescente domanda di senso di molti o una mossa principalmente politica?
Sicuramente vogliono essere la dimostrazione di come il monopolio della “risposta di senso” non sia affatto delle religioni ma possa venire dal mondo laico anche nel senso di mondo ateo.
Perché il relativismo come tema unificante?
Perché della crociata contro il relativismo si è fatto banditore lo stesso papa Ratzinger, Eppure, la pluralità delle morali è il principio stesso da cui prende origine la modernità.
Quali appuntamenti e nomi ha scelto per reccontare tutto questo?
Avremmo voluto un dialogo molto ampio tra diverse posizioni: se quelle della Chiesa gerarchica non ci saranno è perché almeno quindici cardinali hanno rifiutato come un sol uomo. Ciò nonostante, c’è una presenza cattolica significativa, da Don Carlo Molari, uno dei massimi teologi morali, a Dom. Franzoni. Ma soprattutto il terreno della laicità unirà credenti e non credenti. Ad esempio io, oltre che una discussione con Don Molari, ne farò altre con due credenti molto invisi alla gerarchia ecclesiastica: Roberta De Monticelli, sul tema della legge naturale, e Gianni Vattimo, sul tema della possibilità filosofica del credere in Dio.
Qual è la sua disposizione in questi dialoghi?
L’idea è sempre quella di cercare di discutere apertamente su ciò che divide: questo è considerato da qualcuno un modo non dialogante, ma è il vero dia-lògos, la controversia tra punti di vista autentica e senza diplomazia.
A quale il risultato punta, con questa tre giorni?
Credo che questo sia il festival più povero in rapporto 10 a 1 rispetto ai tantissimi e interessanti festival che ci sono in Italia, ma devo ringraziare l’organizzatore Giorgio Salsi per il suo straordinario impegno. La speranza è possa diventare un appuntamento nazionale permanente, magari biennale. Almeno finché la questione laica resterà, ahimè, aperta.