La Repubblica 28.10.10
I soldi della mafia riciclati su un conto dello Ior
Inchiesta a Catania: un sacerdote nipote del boss "ha ripulito" 250mila euro
di Carlo Bonini
Il bonifico parla di "beneficenza" ma Bankitalia segnala subito l´operazione sospetta
ROMA - Un conto dello Ior, un capo bastone mafioso, i suoi soldi, e il suo giovane nipote, un sacerdote, che l´accusa vuole si adoperi per ripulire lungo le vie del Signore 250mila euro truffati alla collettività, dissimulandone il cattivo odore e i beneficiari. Se era necessaria anche una sola prova, sintomatica dell´opacità e della trascuratezza con cui sono stati gestiti nel tempo i conti della banca Vaticana, e dunque di quale potenziale verminaio possano nascondere migliaia di operazioni che, quantomeno fino al 2007 (anno di entrata in vigore delle nuove norme antiriciclaggio), hanno consentito, a chi su quei conti aveva delega, di muovere contante sulla piazza finanziaria italiana ed estera nell´anonimato e a beneficio di Dio sa chi, ebbene quella prova è arrivata.
È una "piccola storia", un brandello di "verità", documentata da un´indagine della procura distrettuale antimafia di Catania, per la quale, ieri, sono stati sequestrati beni per 5 milioni di euro e risultano indagati in tre. Un sacerdote, suo padre, lo zio mafioso. Il primo per riciclaggio, gli altri due per truffa aggravata, falso, evasione fiscale. Ed è una storia che, per quanto interpelli la responsabilità penale dei singoli, conferma l´intuizione di "sistema" dell´inchiesta per riciclaggio che la procura di Roma sta conducendo sui rapporti tra Ior e istituti di credito italiani e sulla natura delle loro operazioni.
Un´inchiesta in cui questa vicenda catanese aveva trovato una prima generica "discovery" e che ha messo a rumore le stanze vaticane e il torrione di Niccolò V, dove hanno i loro uffici il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, e il suo direttore generale Paolo Cipriani, indagati a Roma per «omessa osservanza delle norme antiriciclaggio» (reato per il quale sono stati sequestrati 23 milioni di euro su un conto della Banca Vaticana presso il Credito Artigiano).
Ma torniamo a Catania. E al 2006, quando i protagonisti di questa storia - il sacerdote, suo padre e lo zio - entrano nel cono di attenzione prima dell´Uif (Unità di intelligence finanziaria) di Bankitalia, quindi della procura distrettuale Antimafia che ne raccoglie una segnalazione di operazione sospetta, e infine della Guardia di Finanza, delegata all´indagine. I tre hanno un nome e una storia. Vincenzo Bonaccorsi, 59 anni, è uomo del "clan" siracusano dei "Nardo". Nel luglio del 2000, è stato condannato per associazione mafiosa e, due anni dopo, con la conferma definitiva della sentenza, viene sottoposto a misure di prevenzione che dovrebbero annullarne la capacità patrimoniale. Dovrebbero. Perché Vincenzo ha un fratello, Antonino, con cui condivide proprietà fondiarie e interessi. Ma, soprattutto, ha un nipote: "padre" Orazio, 35 anni, che di Antonino è il figlio e studia a Roma all´Università Gregoriana. Ebbene, nel 2006, Vincenzo e Antonino combinano una truffa ai danni della Regione Sicilia. Un finanziamento di 600mila euro, grattati dai Fondi strutturali europei, per la realizzazione di «un allevamento di trote» e di «una pesca sportiva» che, naturalmente, non hanno visto neppure la posa di un mattone. Il 3 gennaio 2006, una prima tranche di quel finanziamento, 300mila euro, viene accreditata dalla Regione sul conto 1511 della filiale di Catania della Banca Popolare di Novara, intestato ad Antonino Bonaccorsi. Quindici giorni dopo, da quel conto, 250mila euro vengono bonificati alla filiale numero 15 della Bnl di Roma, dove "padre Orazio" ha un conto personale, il 12138. Nella causale del bonifico, si legge «beneficenza». Bankitalia non deve credere troppo alle opere di bene di Antonino. Segnala l´operazione come sospetta alla procura e per "padre" Orazio cominciano i guai. Il sacerdote trasforma infatti una parte di quei 250mila euro di "carità cristiana" in un assegno Bnl girato a se stesso di 245mila euro (ritagliando per sé, e Dio solo sa perché visto che si parla di "beneficenza", un obolo di 5mila). Quindi, con quell´assegno in mano entra nell´allora "Banca di Roma", dove lo Ior ha uno dei suoi conti («il 2838150») e su cui ha la delega ad operare. E lo versa, ribadendone la causale: "beneficenza". Il gioco è fatto. Quel denaro, ora che è nelle casse dello Ior, non ha più né un padre, né un figlio. «Tutto può essere confuso», per dirla con le parole del procuratore di Catania Vincenzo D´Agata. E Antonino può tornare in scena.
La Finanza accerta infatti che, grazie ai codici di "home banking" del conto Ior che ha avuto dal figlio Orazio, tra febbraio e ottobre 2006, dei 245mila euro arrivati, Antonino ne fa ripartire 225 (la differenza di 20mila che rimane sul conto è forse davvero l´unica "opera di beneficenza" in questa storia) con «nove bonifici» telematici verso il suo conto della filiale di Catania della banca Popolare di Novara, casella di partenza di questo di giro dell´oca. Qualche tempo dopo, Vincenzo, il mafioso, passa allo sportello e preleva quel denaro in contanti. È la sua «stecca» nella truffa. Non sa che il Diavolo, questa volta, ci ha messo la coda.