l’Unità 26.2.10
Il caso Fisichella
Abortoomicidio la «pia frode» e il Vaticano
di Maurizio Mori
La richiesta di dimissioni di mons. Rino Fisichella dalla presidenza della Pontificia Accademia per la Vita avanzata da cinque membri della stessa Accademia difensori della stretta ortodossia attraverso uno Statement reso pubblico il 16 febbraio scorso è un fatto significativo.
Di solito i più ortodossi si sono sempre attenuti alla via gerarchica e riservata. Ora invece rompono gli argini con una carica di nomina papale e non elettiva, per cui scontata era la reazione vaticana: «stupisce e appare non corretto che a tale documento venga data una circolazione pubblica» prima di averlo trasmesso a chi di dovere. Prima era la “sinistra” che ricorreva all’azione pubblica, adesso anche la “destra” scrive a chiare lettere che «c’è una ragionevole speranza che il Santo Padre riconoscerà l’esigenza di assegnarge a Fisichella un’occupazione più adatta alle sue capacità» visto che «non capisce cosa comporta il rispetto assoluto per le vite umane innocenti». Questo scambio delle parti è di per sé interessante. Ma ci si deve chiedere: è un segno di forza o di debolezza per la dottrina più tradizionale?
Il problema è posto dal caso della bambina brasiliana di 9 anni incinta di due gemelli per i ripetuti stupri del patrigno, risolto lo scorso anno con l’aborto terapeutico legale in caso di stupro e/o di alto rischio di vita. È irrilevante discettare se il rischio fosse davvero alto: il caso è tanto estremo e tragico da far credere che almeno lì l’aborto terapeutico era giustificato. Invece il vescovo Sabrinho lanciava la scomunica dando grande pubblicità al caso e suscitando polemiche. Su L’Osservatore Romano del 15 marzo 2009 Fisichella suggeriva un comportamento più prudente e mite teso più alla comprensione che alla condanna: per i critici l’eccezione buonista che apre la classica crepa che fa crollare la diga.
Era dai tempi di Pio XII che non veniva più esplicitamente ripetuto che l’aborto non è mai lecito neanche quando necessario per salvare la madre da morte. Per Fisichella questa tesi doveva restare sottotono essendo incomprensibile ai più, mentre per gli altri va riaffermata e proclamata senza timori. Questa divergenza è un altro segno dei tempi. È la prima volta che un vescovo afferma sia meglio glissare sul divieto assoluto di aborto terapeutico, quasi riconoscendo l’impossibilità di risalire la china diffusa. Inoltre, così facendo emergerebbe che l’aborto è una violazione dell’“ordine creaturale” ma non una forma di omicidio, col rischio che diventi palese che l’attuale condanna dell’aborto come omicidio è una sorta di “pia frode” diffusa per tamponare la diga della sacralità della vita ormai in via di smantellamento.
Il caso Fisichella
Abortoomicidio la «pia frode» e il Vaticano
di Maurizio Mori
La richiesta di dimissioni di mons. Rino Fisichella dalla presidenza della Pontificia Accademia per la Vita avanzata da cinque membri della stessa Accademia difensori della stretta ortodossia attraverso uno Statement reso pubblico il 16 febbraio scorso è un fatto significativo.
Di solito i più ortodossi si sono sempre attenuti alla via gerarchica e riservata. Ora invece rompono gli argini con una carica di nomina papale e non elettiva, per cui scontata era la reazione vaticana: «stupisce e appare non corretto che a tale documento venga data una circolazione pubblica» prima di averlo trasmesso a chi di dovere. Prima era la “sinistra” che ricorreva all’azione pubblica, adesso anche la “destra” scrive a chiare lettere che «c’è una ragionevole speranza che il Santo Padre riconoscerà l’esigenza di assegnarge a Fisichella un’occupazione più adatta alle sue capacità» visto che «non capisce cosa comporta il rispetto assoluto per le vite umane innocenti». Questo scambio delle parti è di per sé interessante. Ma ci si deve chiedere: è un segno di forza o di debolezza per la dottrina più tradizionale?
Il problema è posto dal caso della bambina brasiliana di 9 anni incinta di due gemelli per i ripetuti stupri del patrigno, risolto lo scorso anno con l’aborto terapeutico legale in caso di stupro e/o di alto rischio di vita. È irrilevante discettare se il rischio fosse davvero alto: il caso è tanto estremo e tragico da far credere che almeno lì l’aborto terapeutico era giustificato. Invece il vescovo Sabrinho lanciava la scomunica dando grande pubblicità al caso e suscitando polemiche. Su L’Osservatore Romano del 15 marzo 2009 Fisichella suggeriva un comportamento più prudente e mite teso più alla comprensione che alla condanna: per i critici l’eccezione buonista che apre la classica crepa che fa crollare la diga.
Era dai tempi di Pio XII che non veniva più esplicitamente ripetuto che l’aborto non è mai lecito neanche quando necessario per salvare la madre da morte. Per Fisichella questa tesi doveva restare sottotono essendo incomprensibile ai più, mentre per gli altri va riaffermata e proclamata senza timori. Questa divergenza è un altro segno dei tempi. È la prima volta che un vescovo afferma sia meglio glissare sul divieto assoluto di aborto terapeutico, quasi riconoscendo l’impossibilità di risalire la china diffusa. Inoltre, così facendo emergerebbe che l’aborto è una violazione dell’“ordine creaturale” ma non una forma di omicidio, col rischio che diventi palese che l’attuale condanna dell’aborto come omicidio è una sorta di “pia frode” diffusa per tamponare la diga della sacralità della vita ormai in via di smantellamento.