Lo spot costò il triplo degli aiuti alla gente
La Stampa del 4 agosto 2008, pag. 9
In 17 anni, nemmeno una pubblicità progresso o una comunicazione per spiegare come lo Stato ha utilizzato o utilizza i fondi dell’8x1000. E se la pubblicità è l’anima del commercio, forse si comprende perché i cittadini italiani destinino sempre meno la loro quota dell’Irpef allo Stato. Lo pensa la Corte dei Conti che, nella sua relazione sull’utilizzo dei fondi dell’8x1 000 di competenza statale tra il 2001 e il 2006, sottolinea che la disaffezione dei contribuenti non è estranea «alle carenze nella pubblicizzazione degli impieghi e dei risultati raggiunti». Quella disaffezione, tuttavia, galoppa. Nel 1990 quasi un contribuente su quattro (il 23%) aveva destinato la propria quota di Irpef allo Stato. Nel 2007 si è scesi al 7,74%. Ma fare pubblicità sul proprio 8x1000, in Italia, è difficile. Lo sa bene la Tavola Valdese che nel 2005 si è vista rifiutare dalla Sipra, la concessionaria pubblicitaria della Rai, la propria réclame radiofonica. Alla Rai non era piaciuto lo slogan «Molte scuole, nessuna chiesa» e nemmeno la frase «non un euro viene speso per le attività di culto». I funzionari della televisione pubblica avevano tirato in ballo l’articolo 7 del codice deontologico della Rai che recita: «La pubblicità non deve esprimere o comunque contenere valutazioni o apprezzamenti sui problemi aventi natura o implicazioni di carattere ideologico, religioso, politico, sindacale o giudiziario». Solo dopo le proteste della Tavola Valdese, che si era rifiutata di modificare lo spot, e quelle provenienti da varie parti, la Sipra aveva fatto dietrofront: pubblicità accettata e messa in onda.
Sulla pubblicità continua a giocarsi lo scontro tra confessioni religiose. L’europarlamentare dei radicali Maurizio Turco, insieme al commercialista Carlo Pontesilli, ha collaborato a un articolo di Curzio Maltese nel quale si dava conto di una di queste pubblicità. II caso vuole fosse proprio quella del 2005 imperniata sulla tragedia dello tsunami. Quell’anno, come i precedenti, la pubblicità del1’8x1 000 alla Chiesa cattolica era stata affidata alla multinazionale Saatchi & Saatchi. Costo: 9 milioni di euro. Il triplo di quanto poi la Chiesa aveva effettivamente destinato alle vittime dello tsunami.
La Stampa del 4 agosto 2008, pag. 9
In 17 anni, nemmeno una pubblicità progresso o una comunicazione per spiegare come lo Stato ha utilizzato o utilizza i fondi dell’8x1000. E se la pubblicità è l’anima del commercio, forse si comprende perché i cittadini italiani destinino sempre meno la loro quota dell’Irpef allo Stato. Lo pensa la Corte dei Conti che, nella sua relazione sull’utilizzo dei fondi dell’8x1 000 di competenza statale tra il 2001 e il 2006, sottolinea che la disaffezione dei contribuenti non è estranea «alle carenze nella pubblicizzazione degli impieghi e dei risultati raggiunti». Quella disaffezione, tuttavia, galoppa. Nel 1990 quasi un contribuente su quattro (il 23%) aveva destinato la propria quota di Irpef allo Stato. Nel 2007 si è scesi al 7,74%. Ma fare pubblicità sul proprio 8x1000, in Italia, è difficile. Lo sa bene la Tavola Valdese che nel 2005 si è vista rifiutare dalla Sipra, la concessionaria pubblicitaria della Rai, la propria réclame radiofonica. Alla Rai non era piaciuto lo slogan «Molte scuole, nessuna chiesa» e nemmeno la frase «non un euro viene speso per le attività di culto». I funzionari della televisione pubblica avevano tirato in ballo l’articolo 7 del codice deontologico della Rai che recita: «La pubblicità non deve esprimere o comunque contenere valutazioni o apprezzamenti sui problemi aventi natura o implicazioni di carattere ideologico, religioso, politico, sindacale o giudiziario». Solo dopo le proteste della Tavola Valdese, che si era rifiutata di modificare lo spot, e quelle provenienti da varie parti, la Sipra aveva fatto dietrofront: pubblicità accettata e messa in onda.
Sulla pubblicità continua a giocarsi lo scontro tra confessioni religiose. L’europarlamentare dei radicali Maurizio Turco, insieme al commercialista Carlo Pontesilli, ha collaborato a un articolo di Curzio Maltese nel quale si dava conto di una di queste pubblicità. II caso vuole fosse proprio quella del 2005 imperniata sulla tragedia dello tsunami. Quell’anno, come i precedenti, la pubblicità del1’8x1 000 alla Chiesa cattolica era stata affidata alla multinazionale Saatchi & Saatchi. Costo: 9 milioni di euro. Il triplo di quanto poi la Chiesa aveva effettivamente destinato alle vittime dello tsunami.