Terra 23.5.09
Il caso Galileo. Storia di una conciliazione impossibile
di Noemi Ghetti
Dal 26 al 30 maggio, per la prima volta dopo 400 anni istituzioni religiose e scientifiche a confronto a Firenze in un convegno internazionale organizzato dalla Fondazione Stensen
Tra le numerose iniziative promosse nell’Anno Internazionale dell’Astronomia, proclamato dall’ONU per celebrare i quattrocento anni della reinvenzione astronomica del cannocchiale da parte di Galileo, il convegno internazionale di studi “Il caso Galileo” che si tiene a Firenze dal 26 al 30 maggio presenta una fisionomia piuttosto sorprendente. Organizzato dai gesuiti della Fondazione Stensen con lo scopo dichiarato di pervenire alla «fine di una secolare incomprensione», vede raccolti sotto lo stesso egida l’Accademia dei Lincei e l’Accademia pontificia delle scienze, università statali e cattoliche ed importanti enti di ricerca, come il CNR, l’Osservatorio di Arcetri e l’Istituto e museo di Storia della scienza di Firenze. Quattro giornate di lavori, a partire dall’inaugurazione alla presenza del Presidente della Repubblica nella basilica di Santa Croce, dove è sepolto lo scienziato, per arrivare alla villa “il Gioiello” di Arcetri, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. Allo stesso tavolo si avvicenderanno e si confronteranno i più qualificati specialisti mondiali della cultura scientifica e religiosa, dopo secoli di uno scontro ininterrotto, che ha visto momenti molto aspri.
Galileo è stato occasione di accese polemiche anche in tempi assai recenti, quando alla fine del 2007 l’invito a papa Benedetto XVI a tenere una “lectio magistralis” all’università statale La Sapienza scatenò la protesta nell’ambito del mondo accademico e studentesco. In quell’occasione venne ricordato infatti come nel 1990 l’allora cardinale Ratzinger, utilizzando una frase del filosofo della scienza Paul Feyerabend, avesse dichiarato: «All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto». E come, citando Carl Friedrich von Weizsäcker, Ratzinger si fosse spinto addirittura a proporre un collegamento diretto tra Galileo e la bomba atomica. Due anni dopo, nel 1992, Giovanni Paolo II tentò di porre fine a quasi quattro incresciosi secoli di «tragica reciproca incomprensione» con una tardiva “riabilitazione” di Galileo. Ma le argomentazioni addotte dal papa, di fatto tese ad addossare le maggiori responsabilità a Galileo e a circoscrivere quelle della Chiesa, suscitarono non poche critiche tra gli studiosi, e lasciarono il caso aperto a successive revisioni da parte cattolica.
Tra quelle attualmente in voga in ambito cattolico, forse la più paradossale è quella che pretende che Galileo sia stato miglior teologo che scienziato. Il suo errore non sarebbe stato, come sostiene Paolo Rossi, quello di essersi incautamente avventurato nel terreno minato dell’esegesi biblica. Al contrario, Galileo sarebbe stato un buon interprete delle Sacre scritture, rilevandone per primo il carattere di documento legato alla mentalità del tempo storico in cui furono redatte, successivamente accettato anche dalla Chiesa. Ma fu un cattivo scienziato, per aver sostenuto che il sistema copernicano era una verità fisica, e non semplicemente un’ipotesi matematica, venendo meno al carattere congetturale che deve caratterizzare la ricerca scientifica. Da questo punto di vista il cardinale Bellarmino invece sarebbe stato parimenti ottimo teologo e ottimo scienziato.
Ma, obietta Paolo Galluzzi (il Sole 24 Ore, 10.5.09): «si dimentica che il contrasto tra Chiesa e nuova scienza e quello tra Galileo e Bellarmino non si sviluppò affatto sul terreno dell’epistemologia; esso fu molto più semplicemente la conseguenza della ferma volontà delle autorità ecclesiastiche di negare a Galileo, così come a chiunque altro, la libertà di sostenere dottrine diverse da quelle insegnate da Santa romana chiesa».
Il caso Galileo si è prestato ad essere nei secoli un banco di prova della laicità molto frequentato, più di quello dell’eretico irriducibile Bruno, sul quale evidentemente non esiste alcuna possibilità di mediazione e riabilitazione. I due «martiri del libero pensiero» saranno messi a confronto al convegno da Michele Ciliberto, mentre Adriano Prosperi porterà il proprio contributo di storico dell’inquisizione e dei movimenti ereticali, e di esperto dei rapporti tra Chiesa e moderna scienza.
Galileo processato abiurò ed ebbe salva la vita. Memore del rogo di Giordano Bruno, che era stato condannato per avere aperto la strada alla possibilità di pensare l’origine della realtà umana dalla materia infinita e sensibile, Galileo escluse dal campo della sua ricerca l’uomo, indirizzandola più prudentemente al mondo fisico. Questo non bastò a metterlo al riparo dall’occhiuta Inquisizione.
La nostalgia per una ricerca abbandonata, quasi un senso di colpa risuona in un passo del Dialogo dei massimi sistemi del mondo, che gli era costato il processo, e che fino al 1835 rimase nell’Indice dei libri proibiti. La corruttibilità della materia, afferma Sagredo, spregiata dal pensiero aristotelico-cristiano, è dinamismo, vita. La vantata incorruttibilità dei corpi celesti, è morte. Non c’è principe, afferma poeticamente il nobile veneziano, che non darebbe tutti i suoi gioielli e i suoi ori per avere due carrate di terra, e «piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere e produrre sì belle frondi, fiori così odorosi e sì gentili frutti». Ma il tono vibra di indignazione quando conclude: «E questi che esaltano tanto l'incorruttibilità, l'inalterabilità, etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte; e non considerano che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo. Questi meriterebbero d'incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro o di diamante, per diventar piú perfetti che non sono».
Bellarmino era un ottimo scienziato, sapeva cogliere molto acutamente le implicazioni nascoste in queste righe. Ci auguriamo che anche questa volta nessuna cristiana e hegeliana conciliazione riesca a cancellare l’irriducibile opposizione che separa religione e libera ricerca.
Il caso Galileo. Storia di una conciliazione impossibile
di Noemi Ghetti
Dal 26 al 30 maggio, per la prima volta dopo 400 anni istituzioni religiose e scientifiche a confronto a Firenze in un convegno internazionale organizzato dalla Fondazione Stensen
Tra le numerose iniziative promosse nell’Anno Internazionale dell’Astronomia, proclamato dall’ONU per celebrare i quattrocento anni della reinvenzione astronomica del cannocchiale da parte di Galileo, il convegno internazionale di studi “Il caso Galileo” che si tiene a Firenze dal 26 al 30 maggio presenta una fisionomia piuttosto sorprendente. Organizzato dai gesuiti della Fondazione Stensen con lo scopo dichiarato di pervenire alla «fine di una secolare incomprensione», vede raccolti sotto lo stesso egida l’Accademia dei Lincei e l’Accademia pontificia delle scienze, università statali e cattoliche ed importanti enti di ricerca, come il CNR, l’Osservatorio di Arcetri e l’Istituto e museo di Storia della scienza di Firenze. Quattro giornate di lavori, a partire dall’inaugurazione alla presenza del Presidente della Repubblica nella basilica di Santa Croce, dove è sepolto lo scienziato, per arrivare alla villa “il Gioiello” di Arcetri, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. Allo stesso tavolo si avvicenderanno e si confronteranno i più qualificati specialisti mondiali della cultura scientifica e religiosa, dopo secoli di uno scontro ininterrotto, che ha visto momenti molto aspri.
Galileo è stato occasione di accese polemiche anche in tempi assai recenti, quando alla fine del 2007 l’invito a papa Benedetto XVI a tenere una “lectio magistralis” all’università statale La Sapienza scatenò la protesta nell’ambito del mondo accademico e studentesco. In quell’occasione venne ricordato infatti come nel 1990 l’allora cardinale Ratzinger, utilizzando una frase del filosofo della scienza Paul Feyerabend, avesse dichiarato: «All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto». E come, citando Carl Friedrich von Weizsäcker, Ratzinger si fosse spinto addirittura a proporre un collegamento diretto tra Galileo e la bomba atomica. Due anni dopo, nel 1992, Giovanni Paolo II tentò di porre fine a quasi quattro incresciosi secoli di «tragica reciproca incomprensione» con una tardiva “riabilitazione” di Galileo. Ma le argomentazioni addotte dal papa, di fatto tese ad addossare le maggiori responsabilità a Galileo e a circoscrivere quelle della Chiesa, suscitarono non poche critiche tra gli studiosi, e lasciarono il caso aperto a successive revisioni da parte cattolica.
Tra quelle attualmente in voga in ambito cattolico, forse la più paradossale è quella che pretende che Galileo sia stato miglior teologo che scienziato. Il suo errore non sarebbe stato, come sostiene Paolo Rossi, quello di essersi incautamente avventurato nel terreno minato dell’esegesi biblica. Al contrario, Galileo sarebbe stato un buon interprete delle Sacre scritture, rilevandone per primo il carattere di documento legato alla mentalità del tempo storico in cui furono redatte, successivamente accettato anche dalla Chiesa. Ma fu un cattivo scienziato, per aver sostenuto che il sistema copernicano era una verità fisica, e non semplicemente un’ipotesi matematica, venendo meno al carattere congetturale che deve caratterizzare la ricerca scientifica. Da questo punto di vista il cardinale Bellarmino invece sarebbe stato parimenti ottimo teologo e ottimo scienziato.
Ma, obietta Paolo Galluzzi (il Sole 24 Ore, 10.5.09): «si dimentica che il contrasto tra Chiesa e nuova scienza e quello tra Galileo e Bellarmino non si sviluppò affatto sul terreno dell’epistemologia; esso fu molto più semplicemente la conseguenza della ferma volontà delle autorità ecclesiastiche di negare a Galileo, così come a chiunque altro, la libertà di sostenere dottrine diverse da quelle insegnate da Santa romana chiesa».
Il caso Galileo si è prestato ad essere nei secoli un banco di prova della laicità molto frequentato, più di quello dell’eretico irriducibile Bruno, sul quale evidentemente non esiste alcuna possibilità di mediazione e riabilitazione. I due «martiri del libero pensiero» saranno messi a confronto al convegno da Michele Ciliberto, mentre Adriano Prosperi porterà il proprio contributo di storico dell’inquisizione e dei movimenti ereticali, e di esperto dei rapporti tra Chiesa e moderna scienza.
Galileo processato abiurò ed ebbe salva la vita. Memore del rogo di Giordano Bruno, che era stato condannato per avere aperto la strada alla possibilità di pensare l’origine della realtà umana dalla materia infinita e sensibile, Galileo escluse dal campo della sua ricerca l’uomo, indirizzandola più prudentemente al mondo fisico. Questo non bastò a metterlo al riparo dall’occhiuta Inquisizione.
La nostalgia per una ricerca abbandonata, quasi un senso di colpa risuona in un passo del Dialogo dei massimi sistemi del mondo, che gli era costato il processo, e che fino al 1835 rimase nell’Indice dei libri proibiti. La corruttibilità della materia, afferma Sagredo, spregiata dal pensiero aristotelico-cristiano, è dinamismo, vita. La vantata incorruttibilità dei corpi celesti, è morte. Non c’è principe, afferma poeticamente il nobile veneziano, che non darebbe tutti i suoi gioielli e i suoi ori per avere due carrate di terra, e «piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere e produrre sì belle frondi, fiori così odorosi e sì gentili frutti». Ma il tono vibra di indignazione quando conclude: «E questi che esaltano tanto l'incorruttibilità, l'inalterabilità, etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte; e non considerano che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo. Questi meriterebbero d'incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro o di diamante, per diventar piú perfetti che non sono».
Bellarmino era un ottimo scienziato, sapeva cogliere molto acutamente le implicazioni nascoste in queste righe. Ci auguriamo che anche questa volta nessuna cristiana e hegeliana conciliazione riesca a cancellare l’irriducibile opposizione che separa religione e libera ricerca.