Corriere della Sera 15.6.09
In cima alle classifiche le rivelazioni di Gianluigi Nuzzi sulle finanze vaticane
Trent’anni di affari segreti in due valigie
di Dino Messina
Giornalista d’inchiesta di rara efficacia, l’inviato di «Panorama» Gianluigi Nuzzi, in Vaticano S.p.A. (Chiarelettere), racconta da un punto di vista privilegiato gli affari segreti della Chiesa. La scena iniziale sembra tratta da un film di spionaggio ispirato a Le Carré: un cronista attraversa la frontiera con la Svizzera, si ferma in una casa contadina, beve un caffè con l’anziana ospite ed esce con due grosse valigie cariche di documenti, per ritornare rapidamente in Italia.
Sembra fiction, ma è la realtà. Quelle valigie esistono davvero e contenevano la documentazione accumulata per un trentennio da monsignor Renato Dardozzi (1922-2003), un manager plurilaureato diventato prete solo a 51 anni e chiamato già nel 1974 dal cardinale Agostino Casaroli a occuparsi dello Ior. Nel testamento Dardozzi aveva disposto che il suo archivio diventasse pubblico, così gli eredi lo hanno affidato a Nuzzi, che ha potuto riscrivere trent’anni di finanza segreta con materiale di prima mano.
Personaggio chiave del libro — da ieri in testa alla classifica dei saggi e ottavo nella Top Ten — è un presule di origini lucane, Donato De Bonis, cresciuto all’ombra di Paul Marcinkus e uscito paradossalmente rafforzato dallo scandalo Ior-Ambrosiano, al punto da poter costruire all’interno della banca vaticana un sistema finanziario occulto e totalmente fuori controllo. «Il primo passo segreto — scrive Nuzzi — lo ritroviamo nell’archivio Dardozzi: De Bonis firma regolare richiesta e lo Ior apre il primo conto corrente del neonato sistema offshore. Conto n. 001-3-14774-5». Siamo nel 1987 ed è l’atto d’inizio di una attività frenetica, che vedrà passare per i conti intestati a nomi fittizi decine di miliardi di lire in contanti, centinaia di miliardi in Cct. «Dal 1987 al 1992 — scrive ancora Nuzzi — De Bonis introduce in Vaticano cash per oltre 26 miliardi e li deposita tutti su 'Fondazione Spellman'». Al conto, intestato al nome del cardinale di New York che raccomandò Marcinkus a Paolo VI e che si prodigò per procurare finanziamenti alla Dc, scopriamo che avevano accesso due persone: De Bonis e Giulio Andreotti, il quale, interpellato dal giornalista di «Panorama », ha dichiarato di non ricordare.
Nella ricostruzione delle cifre da capogiro e totalmente fuori controllo (dall’89 al ’93 vengono condotte operazioni per oltre 310 miliardi di lire), Nuzzi individua tre tipi di beneficiari: istituti religiosi, ma anche politici, industriali e manager. È noto che dallo Ior passò parte della megatangente Enimont e che l’Istituto vaticano fu usato per «lavare» soldi sporchi. Dal libro di Nuzzi scopriamo altri particolari dello scandalo e gli scontri interni al Vaticano per salvare il salvabile. Leggiamo per esempio le circostanziate denunce di Angelo Caloia, ancora oggi presidente dell’Istituto, che non sempre andarono a buon fine.
Il libro si conclude con un’intervista al figlio del politico mafioso Vito Ciancimino, Massimo, il quale testimonia che molti soldi del padre passavano dallo Ior per essere trasferiti all’estero.
In cima alle classifiche le rivelazioni di Gianluigi Nuzzi sulle finanze vaticane
Trent’anni di affari segreti in due valigie
di Dino Messina
Giornalista d’inchiesta di rara efficacia, l’inviato di «Panorama» Gianluigi Nuzzi, in Vaticano S.p.A. (Chiarelettere), racconta da un punto di vista privilegiato gli affari segreti della Chiesa. La scena iniziale sembra tratta da un film di spionaggio ispirato a Le Carré: un cronista attraversa la frontiera con la Svizzera, si ferma in una casa contadina, beve un caffè con l’anziana ospite ed esce con due grosse valigie cariche di documenti, per ritornare rapidamente in Italia.
Sembra fiction, ma è la realtà. Quelle valigie esistono davvero e contenevano la documentazione accumulata per un trentennio da monsignor Renato Dardozzi (1922-2003), un manager plurilaureato diventato prete solo a 51 anni e chiamato già nel 1974 dal cardinale Agostino Casaroli a occuparsi dello Ior. Nel testamento Dardozzi aveva disposto che il suo archivio diventasse pubblico, così gli eredi lo hanno affidato a Nuzzi, che ha potuto riscrivere trent’anni di finanza segreta con materiale di prima mano.
Personaggio chiave del libro — da ieri in testa alla classifica dei saggi e ottavo nella Top Ten — è un presule di origini lucane, Donato De Bonis, cresciuto all’ombra di Paul Marcinkus e uscito paradossalmente rafforzato dallo scandalo Ior-Ambrosiano, al punto da poter costruire all’interno della banca vaticana un sistema finanziario occulto e totalmente fuori controllo. «Il primo passo segreto — scrive Nuzzi — lo ritroviamo nell’archivio Dardozzi: De Bonis firma regolare richiesta e lo Ior apre il primo conto corrente del neonato sistema offshore. Conto n. 001-3-14774-5». Siamo nel 1987 ed è l’atto d’inizio di una attività frenetica, che vedrà passare per i conti intestati a nomi fittizi decine di miliardi di lire in contanti, centinaia di miliardi in Cct. «Dal 1987 al 1992 — scrive ancora Nuzzi — De Bonis introduce in Vaticano cash per oltre 26 miliardi e li deposita tutti su 'Fondazione Spellman'». Al conto, intestato al nome del cardinale di New York che raccomandò Marcinkus a Paolo VI e che si prodigò per procurare finanziamenti alla Dc, scopriamo che avevano accesso due persone: De Bonis e Giulio Andreotti, il quale, interpellato dal giornalista di «Panorama », ha dichiarato di non ricordare.
Nella ricostruzione delle cifre da capogiro e totalmente fuori controllo (dall’89 al ’93 vengono condotte operazioni per oltre 310 miliardi di lire), Nuzzi individua tre tipi di beneficiari: istituti religiosi, ma anche politici, industriali e manager. È noto che dallo Ior passò parte della megatangente Enimont e che l’Istituto vaticano fu usato per «lavare» soldi sporchi. Dal libro di Nuzzi scopriamo altri particolari dello scandalo e gli scontri interni al Vaticano per salvare il salvabile. Leggiamo per esempio le circostanziate denunce di Angelo Caloia, ancora oggi presidente dell’Istituto, che non sempre andarono a buon fine.
Il libro si conclude con un’intervista al figlio del politico mafioso Vito Ciancimino, Massimo, il quale testimonia che molti soldi del padre passavano dallo Ior per essere trasferiti all’estero.