Corriere della Sera 26.10.07
Incontri. Il poeta siriano, domani alla Biennale Teatro di Venezia, parla del ruolo degli scrittori in Medioriente
Adonis: la laicità fa bene alla pace
«Intellettuali arabi e israeliani uniti contro i fondamentalismi»
di Paolo Foschini
Essenziale il nostro ruolo per arginare gli estremismi. Penso al mio amico Amos Oz, autore di uno dei saggi più belli Protagonista
Adonis è lo pseudonimo di Ali Ahmad Said Esber, poeta libanese di origine siriana nato a Qassabin nel 1930. Residente dagli anni Ottanta in Francia, è stato varie volte candidato al Nobel per la letteratura
Un monito contro la «dittatura della paura, maschera e alibi di ogni potere». Un primo appello a tutti gli «intellettuali e uomini di cultura, principale baluardo contro i fondamentalismi». E un secondo appello, ancora più forte, alla «responsabilità dell'Europa, delle democrazie occidentali, e in questo senso anche di Israele, per la costruzione della pace nel mondo in generale e in Medioriente in particolare»: perché «è chiaro che tutti devono contribuire, ma il primo passo non può che venire da chi una democrazia ce l'ha già». Questa la sintesi del pensiero dell'uomo noto da una vita come Adonis, alla nascita Ali Ahmad Said, più volte candidato al Nobel e considerato con formula ormai datata il «caposcuola dei nuovi poeti arabi»: da domani a Venezia per intervenire alla tre giorni che la Biennale Teatro dedica al «Mediterraneo » con una lectio magistralis su La bellezza del dialogo e un testo da lui recitato: Concerto per il Cristo velato.
Nato in Siria nel 1930, laureato a Beirut, sei mesi di carcere in curriculum come attivista del Partito socialista siriano, professore alla Sorbona, fondatore di riviste politiche e letterarie, definitivamente domiciliato a Parigi dall'85, da sempre fautore di una «responsabilità» anche dell'arte nelle sorti politico-sociali del pianeta, il poeta della Memoria del vento e de La musica della balena azzurra
parla sorseggiando con calma un Montepulciano d'Abruzzo e non ha dubbi su ciò che per un concetto culturalmente complesso come «il Mediterraneo » rappresenta oggi l'urgenza più evidente: «La soluzione del problema israeliano- palestinese. Senza una pace definitiva e condivisa in Medioriente, ogni altra strada è preclusa». E fin qui si fa presto a dire che lo dicono tutti. Il punto è: come si fa? Adonis pronuncia tre parole: «Intellettuali, cultura laica, democrazia». Poi passa alla spiegazione.
«Quando parlo di democrazia — comincia — intendo riferirmi alla "responsabilità" che i Paesi democratici hanno nei confronti di se stessi e degli altri. Ora, per quanto riguarda quell'area del mondo, qualsiasi osservatore concorda nel ripetere che Israele è non solo uno Stato democratico, ma una sorta di prolungamento mediorientale delle democrazie occidentali. Detto questo, è evidente, ripeto, che la pace bisogna volerla in due. Ma in quanto "democrazia" è Israele che a questo punto deve fare il passo fondamentale: e cioè riconoscere ai palestinesi uno Stato indipendente».
Va da sé che pure l'obiezione è sempre la stessa: anche Israele ha il problema della propria sicurezza, o no? «Certo che sì. Ma non dobbiamo confondere i Paesi arabi circostanti con i fondamentalismi presenti nell'area. Paesi come Egitto, Giordania, Marocco, hanno fatto già tutto il possibile per andare incontro a Israele e la maggioranza degli arabi vede il fondamentalismo come fumo negli occhi. Riconoscere lo Stato palestinese toglierebbe qualsiasi alibi a chi invece continua a soffiare sul fuoco».
A proposito di fondamentalismo... «Ci sto arrivando: è proprio in questo senso che il nostro ruolo di intellettuali è determinante. Intellettuali di ogni provenienza. Penso ad esempio al mio amico israeliano Amos Oz, che contro il fondamentalismo ha scritto uno dei suoi saggi più belli. Penso alla responsabilità di tutti noi "laici" nel senso culturale del termine, e penso al fatto che qualsiasi Stato fondato su un'appartenenza religiosa è contraddittorio in sé: e questo vale per Iran e Arabia Saudita, ma, benché in modo diverso, vale anche per Israele. Ci vuole una svolta. E poiché tanto il fondamentalismo quanto le appartenenze religiose sanno parlare solo alla "pancia" dei popoli, quindi alle loro paure, sono gli uomini di cultura che devono parlare ai loro cervelli».
E l'Europa? «L'Europa e l'Occidente hanno appunto questa grande responsabilità da affrontare: uscire dal ricatto della paura con cui, più ancora del terrorismo, l'Occidente stesso si tiene soggiogato da solo. Perché niente come la paura serve a chi detiene un potere per mantenerlo e alimentarlo». Oddio, un altro con la tesi dei complotti? «Ma no, è ovvio che il terrorismo è un problema reale! Dico solo che la strada per sconfiggerlo non passa attraverso la guerra. Dico che Europa e Occidente hanno responsabilità storiche — penso all'imperialismo dei secoli passati — che oggi si traducono nella possibilità di fare molto per il resto del mondo. La democrazia si esporta con l'esempio, non con la spada. E così la capacità di dialogo». Parola ultimamente abusata, secondo l'ultima lezione di Gianni Vattimo: «Che ha ragione — conclude Adonis — se, come molti oggi fanno, si considera il dialogo solo come adesione al pensiero dell'altro e si accusa chi non la pensa come te di "non voler dialogare". Ma se il dialogo è rispetto, confronto fra creatività, allora dalla diversità non può nascere che arricchimento. E in ultima analisi pace».
Incontri. Il poeta siriano, domani alla Biennale Teatro di Venezia, parla del ruolo degli scrittori in Medioriente
Adonis: la laicità fa bene alla pace
«Intellettuali arabi e israeliani uniti contro i fondamentalismi»
di Paolo Foschini
Essenziale il nostro ruolo per arginare gli estremismi. Penso al mio amico Amos Oz, autore di uno dei saggi più belli Protagonista
Adonis è lo pseudonimo di Ali Ahmad Said Esber, poeta libanese di origine siriana nato a Qassabin nel 1930. Residente dagli anni Ottanta in Francia, è stato varie volte candidato al Nobel per la letteratura
Un monito contro la «dittatura della paura, maschera e alibi di ogni potere». Un primo appello a tutti gli «intellettuali e uomini di cultura, principale baluardo contro i fondamentalismi». E un secondo appello, ancora più forte, alla «responsabilità dell'Europa, delle democrazie occidentali, e in questo senso anche di Israele, per la costruzione della pace nel mondo in generale e in Medioriente in particolare»: perché «è chiaro che tutti devono contribuire, ma il primo passo non può che venire da chi una democrazia ce l'ha già». Questa la sintesi del pensiero dell'uomo noto da una vita come Adonis, alla nascita Ali Ahmad Said, più volte candidato al Nobel e considerato con formula ormai datata il «caposcuola dei nuovi poeti arabi»: da domani a Venezia per intervenire alla tre giorni che la Biennale Teatro dedica al «Mediterraneo » con una lectio magistralis su La bellezza del dialogo e un testo da lui recitato: Concerto per il Cristo velato.
Nato in Siria nel 1930, laureato a Beirut, sei mesi di carcere in curriculum come attivista del Partito socialista siriano, professore alla Sorbona, fondatore di riviste politiche e letterarie, definitivamente domiciliato a Parigi dall'85, da sempre fautore di una «responsabilità» anche dell'arte nelle sorti politico-sociali del pianeta, il poeta della Memoria del vento e de La musica della balena azzurra
parla sorseggiando con calma un Montepulciano d'Abruzzo e non ha dubbi su ciò che per un concetto culturalmente complesso come «il Mediterraneo » rappresenta oggi l'urgenza più evidente: «La soluzione del problema israeliano- palestinese. Senza una pace definitiva e condivisa in Medioriente, ogni altra strada è preclusa». E fin qui si fa presto a dire che lo dicono tutti. Il punto è: come si fa? Adonis pronuncia tre parole: «Intellettuali, cultura laica, democrazia». Poi passa alla spiegazione.
«Quando parlo di democrazia — comincia — intendo riferirmi alla "responsabilità" che i Paesi democratici hanno nei confronti di se stessi e degli altri. Ora, per quanto riguarda quell'area del mondo, qualsiasi osservatore concorda nel ripetere che Israele è non solo uno Stato democratico, ma una sorta di prolungamento mediorientale delle democrazie occidentali. Detto questo, è evidente, ripeto, che la pace bisogna volerla in due. Ma in quanto "democrazia" è Israele che a questo punto deve fare il passo fondamentale: e cioè riconoscere ai palestinesi uno Stato indipendente».
Va da sé che pure l'obiezione è sempre la stessa: anche Israele ha il problema della propria sicurezza, o no? «Certo che sì. Ma non dobbiamo confondere i Paesi arabi circostanti con i fondamentalismi presenti nell'area. Paesi come Egitto, Giordania, Marocco, hanno fatto già tutto il possibile per andare incontro a Israele e la maggioranza degli arabi vede il fondamentalismo come fumo negli occhi. Riconoscere lo Stato palestinese toglierebbe qualsiasi alibi a chi invece continua a soffiare sul fuoco».
A proposito di fondamentalismo... «Ci sto arrivando: è proprio in questo senso che il nostro ruolo di intellettuali è determinante. Intellettuali di ogni provenienza. Penso ad esempio al mio amico israeliano Amos Oz, che contro il fondamentalismo ha scritto uno dei suoi saggi più belli. Penso alla responsabilità di tutti noi "laici" nel senso culturale del termine, e penso al fatto che qualsiasi Stato fondato su un'appartenenza religiosa è contraddittorio in sé: e questo vale per Iran e Arabia Saudita, ma, benché in modo diverso, vale anche per Israele. Ci vuole una svolta. E poiché tanto il fondamentalismo quanto le appartenenze religiose sanno parlare solo alla "pancia" dei popoli, quindi alle loro paure, sono gli uomini di cultura che devono parlare ai loro cervelli».
E l'Europa? «L'Europa e l'Occidente hanno appunto questa grande responsabilità da affrontare: uscire dal ricatto della paura con cui, più ancora del terrorismo, l'Occidente stesso si tiene soggiogato da solo. Perché niente come la paura serve a chi detiene un potere per mantenerlo e alimentarlo». Oddio, un altro con la tesi dei complotti? «Ma no, è ovvio che il terrorismo è un problema reale! Dico solo che la strada per sconfiggerlo non passa attraverso la guerra. Dico che Europa e Occidente hanno responsabilità storiche — penso all'imperialismo dei secoli passati — che oggi si traducono nella possibilità di fare molto per il resto del mondo. La democrazia si esporta con l'esempio, non con la spada. E così la capacità di dialogo». Parola ultimamente abusata, secondo l'ultima lezione di Gianni Vattimo: «Che ha ragione — conclude Adonis — se, come molti oggi fanno, si considera il dialogo solo come adesione al pensiero dell'altro e si accusa chi non la pensa come te di "non voler dialogare". Ma se il dialogo è rispetto, confronto fra creatività, allora dalla diversità non può nascere che arricchimento. E in ultima analisi pace».