“Il sale” dei laici nella storia d’Italia
L'Opinione del 1 ottobre 2008, pag. 10
di Alessandro Litta Modignani
È uscito in libreria nei giorni scorsi “Storia dei laici - nell’Italia clericale e comunista” di Massimo Teodori (362 pagine, Marsilio). Ne discutiamo con l’autore in questa intervista.
Questo libro è diverso dai tuoi pamphlet più recenti. È incentrato sul periodo che va dal ‘45 ai primi anni ’60. Cosa ti ha spinto a scrivere un libro non strettamente legato all’attualità politica?
La memoria politico-culturale e la storiografia italiana hanno di fatto cancellato le vicende importanti, ricche e plurime del mondo liberal-democratico, socialista riformista, laico e anti-totalitario che hanno avuto un ruolo decisivo nella nascita dell’Italia democratica e nel primo quarto di secolo della nostra Repubblica. È vero che i partiti laici - dal Partito d’Azione al Partito Liberale, dalla socialdemocrazia di Saragat ai repubblicani di Pacciardi e La Malfa, dai radicali del “Mondo” ai socialisti non frontisti che in seguito hanno trovato in Craxi la loro guida - sono stati sempre minoritari, ma senza di loro la storia dell’Italia sarebbe stata molto diversa (e molto peggiore) sul terreno dei diritti e delle libertà civili, dello sviluppo economico, della giustizia sociale e dello statuto nazionale nel consesso europeo ed atlantico.
Fra i tuoi tanti libri, il più somigliante a questo è forse quello sull’anticomunismo democratico, del 2002. Sei d’accordo?
Il piccolo libro “L’anticomunismo democratico in Italia - Liberali e socialisti che non tacquero su Stalin e Togliatti” era in realtà un’antologia degli scritti delle personalità che sono anche protagoniste di questo mio nuovo lavoro. Quest’ultimo libro in qualche modo è il risultato di molti anni di ricerche sulla materia, ma contiene un’interpretazione storiografica unitaria del fenomeno, che ha avuto molte sfaccettature politiche e culturali. In sostanza si tratta di un vero libro di storia, su una tendenza fondamentale che ha dato vita all’Italia moderna: una storia che finora non era mai stata scritta, se non per singole monografie.
L’azionismo è stata una stagione nobile e mitica, che però si è presto infranta. Esiste oggi un’attualità dell’azionismo, e una possibilità che esso riprenda vita?
Non parlerei di azionismo, che è una categoria metafisica, propugnata sia dagli esaltatori acritci di un certo atteggiamento giacobino, sia dei detrattori clericali e reazionari delle spinte laico-democratiche, decisive nella ricostruzione dell’Italia post-fascista. Occorre semmai parlare del Partito d’azione e di quello che rappresentò nella brevissima stagione in cui operò, sostanzialmente dal ‘43 al ‘46. Nel resto circola molta immaginazione che confonde l’azione di singoli personaggi in strutture politiche diverse - per esempio Ugo La Malfa nel Pri e Riccardo Lombardi nel Psi - con una tendenza politica unitaria azionista che non è più esistita a partire dal ‘47.
enedetto Croce, padre nobile del liberalismo italiano, aveva immaginato nel dopoguerra di riunire un ampio arco di forze liberal-democratiche, socialdemocratici compresi. Era un grande filosofo, ma un dilettante politico?
È vero, lo ricordano in pochi. Croce, nei primissimi anni dell’Italia libera, guardava con interesse a una formazione liberal-democratica che mettesse insieme o coordinasse le diverse forze politiche laiche, dai demo-laburisti ai repubblicani, pur essendo molto critico della natura teorica del Partito d’Azione che a suo avviso coniugava due concetti, “giustizia e libertà”, molto diversi fra loro.
Una delle ragioni di debolezza delle forze laiche, non era forse rappresentata dal fatto che De Gasperi era effettivamente un cattolico democratico, e non un clericale reazionario? In fondo la Dc ha assorbito tanti cattolici liberali....
No, in realtà la Dc, soprattutto negli anni ‘40 e ’50, era in gran parte un coagulo di integralisti di sinistra (Dossetti) e di destra (Gedda) tenuti insieme dalla Chiesa. Il merito di De Gasperi fu di sapersi difendere dal duplice attacco degli integralisti - Dossetti alla Costituente e Gedda nel ‘48-50 - proprio appoggiandosi ai partiti laici, con Einaudi, Sforza e Saragat.
Esiste, è inutile negarlo, un settarismo dei laici. Anche dopo il ‘48, cosa ha impedito a Malagodi, La Malfa e Saragat di unirsi in un partito con tre correnti, invece di dare vita a tre partiti minori?
Più che di settarismo parlerei di “egotismo” dei diversi leader, che preferirono sempre coltivare il proprio orticello invece di unirsi per contrapporsi alle due chiese, la democristiana e la comunista. Se vogliamo usare una metafora, si potrebbe dire che se Saragat, La Malfa, Malagodi, Pannella, Craxi e aggiungerei Scalfari, avessero avuto la lungimiranza di mettersi insieme, invece di odiarsi e di combattersi l’un l’altro, la storia d’Italia sarebbe stata diversa.
Perchè tanti intellettuali di valore non hanno trovato una collocazione politica in questi partiti?
Perché i leader di tutti questi partiti hanno preferito fare i galli unici nel loro pollaio. Forse l’unico che ha tentato di guardare a un orizzonte più vasto è stato Craxi, che però ha subito ripiegato su se stesso e su una strategia di potere che è finita come sappiamo.
Questi intellettuali illuminati di cui parli erano consapevoli dell’arretratezza della società italiana? Oppure ne erano estranei?
Erano assolutamente consapevoli. Basta citare “Il Mondo” di Pannunzio, l’Associazione per la libertà della cultura di Silone e Chiaromonte, le tante riviste laico-democartiche (dal “Mulino” di Matteucci a “Nord e Sud” di Compagna e De Caprariis, a “Comunità” di Olivetti) svolsero tutte un lavoro di grandissimo rilievo nella conoscenza del paese e nell’indicazione degli obiettivi da perseguire.
L’europeismo di Spinelli è una polverosa curiosità per studiosi, o mantiene una sua attualità?
La lunga lotta per l’Europa federata che ha avuto alla testa Altiero Spinelli, in diverse versioni e con diverse strategie, è stata una delle azioni più innovative del pensiero laico-democratico dell’ultimo secolo.
Tu hai vissuto da vicino, poco più che ventenne, la fine ingloriosa del primo Partito radicale nel ‘62. Hai un ricordo particolare di quell’epilogo?
Nel mio libro, credo di descrivere e analizzare come le cose andarono effettivamente in quegli anni, smentendo le tante leggende che sono fiorite su quella vicenda, che pose fine a una stagione gloriosissima.
Oggi persino i cattolici liberali sono messi in ombra dagli integralisti. Sono fondati i timori per il futuro della laicità dello Stato? Saprà la cultura laica reagire e riprendersi?
La cultura laica, se non ha gambe politiche su cui camminare, non arriva da nessuna parte. Anzi diventa una specie di lamento patetico di chi si compiace di essere sempre ignorato e sconfitto, come certi nostri amici radicali, conducendo gloriose campagne che però si risolvono in pura testimonianza.
Sei stato parlamentare radicale per una lunga stagione, dal ‘79 al ‘92. Cosa divide oggi un intellettuale laico come Teodori, da un politico laico come Marco Pannella?
Non voglio parlare di Marco. La sua è stata una traiettoria nobilissima, drammatica e finita a coda di pesce. Poteva essere il leader di una grande forza liberaldemocratica, laica ed antitotalitaria, invece ha preferito essere il solitario testimone di se stesso, senza più alcun rilievo politico.
L'Opinione del 1 ottobre 2008, pag. 10
di Alessandro Litta Modignani
È uscito in libreria nei giorni scorsi “Storia dei laici - nell’Italia clericale e comunista” di Massimo Teodori (362 pagine, Marsilio). Ne discutiamo con l’autore in questa intervista.
Questo libro è diverso dai tuoi pamphlet più recenti. È incentrato sul periodo che va dal ‘45 ai primi anni ’60. Cosa ti ha spinto a scrivere un libro non strettamente legato all’attualità politica?
La memoria politico-culturale e la storiografia italiana hanno di fatto cancellato le vicende importanti, ricche e plurime del mondo liberal-democratico, socialista riformista, laico e anti-totalitario che hanno avuto un ruolo decisivo nella nascita dell’Italia democratica e nel primo quarto di secolo della nostra Repubblica. È vero che i partiti laici - dal Partito d’Azione al Partito Liberale, dalla socialdemocrazia di Saragat ai repubblicani di Pacciardi e La Malfa, dai radicali del “Mondo” ai socialisti non frontisti che in seguito hanno trovato in Craxi la loro guida - sono stati sempre minoritari, ma senza di loro la storia dell’Italia sarebbe stata molto diversa (e molto peggiore) sul terreno dei diritti e delle libertà civili, dello sviluppo economico, della giustizia sociale e dello statuto nazionale nel consesso europeo ed atlantico.
Fra i tuoi tanti libri, il più somigliante a questo è forse quello sull’anticomunismo democratico, del 2002. Sei d’accordo?
Il piccolo libro “L’anticomunismo democratico in Italia - Liberali e socialisti che non tacquero su Stalin e Togliatti” era in realtà un’antologia degli scritti delle personalità che sono anche protagoniste di questo mio nuovo lavoro. Quest’ultimo libro in qualche modo è il risultato di molti anni di ricerche sulla materia, ma contiene un’interpretazione storiografica unitaria del fenomeno, che ha avuto molte sfaccettature politiche e culturali. In sostanza si tratta di un vero libro di storia, su una tendenza fondamentale che ha dato vita all’Italia moderna: una storia che finora non era mai stata scritta, se non per singole monografie.
L’azionismo è stata una stagione nobile e mitica, che però si è presto infranta. Esiste oggi un’attualità dell’azionismo, e una possibilità che esso riprenda vita?
Non parlerei di azionismo, che è una categoria metafisica, propugnata sia dagli esaltatori acritci di un certo atteggiamento giacobino, sia dei detrattori clericali e reazionari delle spinte laico-democratiche, decisive nella ricostruzione dell’Italia post-fascista. Occorre semmai parlare del Partito d’azione e di quello che rappresentò nella brevissima stagione in cui operò, sostanzialmente dal ‘43 al ‘46. Nel resto circola molta immaginazione che confonde l’azione di singoli personaggi in strutture politiche diverse - per esempio Ugo La Malfa nel Pri e Riccardo Lombardi nel Psi - con una tendenza politica unitaria azionista che non è più esistita a partire dal ‘47.
enedetto Croce, padre nobile del liberalismo italiano, aveva immaginato nel dopoguerra di riunire un ampio arco di forze liberal-democratiche, socialdemocratici compresi. Era un grande filosofo, ma un dilettante politico?
È vero, lo ricordano in pochi. Croce, nei primissimi anni dell’Italia libera, guardava con interesse a una formazione liberal-democratica che mettesse insieme o coordinasse le diverse forze politiche laiche, dai demo-laburisti ai repubblicani, pur essendo molto critico della natura teorica del Partito d’Azione che a suo avviso coniugava due concetti, “giustizia e libertà”, molto diversi fra loro.
Una delle ragioni di debolezza delle forze laiche, non era forse rappresentata dal fatto che De Gasperi era effettivamente un cattolico democratico, e non un clericale reazionario? In fondo la Dc ha assorbito tanti cattolici liberali....
No, in realtà la Dc, soprattutto negli anni ‘40 e ’50, era in gran parte un coagulo di integralisti di sinistra (Dossetti) e di destra (Gedda) tenuti insieme dalla Chiesa. Il merito di De Gasperi fu di sapersi difendere dal duplice attacco degli integralisti - Dossetti alla Costituente e Gedda nel ‘48-50 - proprio appoggiandosi ai partiti laici, con Einaudi, Sforza e Saragat.
Esiste, è inutile negarlo, un settarismo dei laici. Anche dopo il ‘48, cosa ha impedito a Malagodi, La Malfa e Saragat di unirsi in un partito con tre correnti, invece di dare vita a tre partiti minori?
Più che di settarismo parlerei di “egotismo” dei diversi leader, che preferirono sempre coltivare il proprio orticello invece di unirsi per contrapporsi alle due chiese, la democristiana e la comunista. Se vogliamo usare una metafora, si potrebbe dire che se Saragat, La Malfa, Malagodi, Pannella, Craxi e aggiungerei Scalfari, avessero avuto la lungimiranza di mettersi insieme, invece di odiarsi e di combattersi l’un l’altro, la storia d’Italia sarebbe stata diversa.
Perchè tanti intellettuali di valore non hanno trovato una collocazione politica in questi partiti?
Perché i leader di tutti questi partiti hanno preferito fare i galli unici nel loro pollaio. Forse l’unico che ha tentato di guardare a un orizzonte più vasto è stato Craxi, che però ha subito ripiegato su se stesso e su una strategia di potere che è finita come sappiamo.
Questi intellettuali illuminati di cui parli erano consapevoli dell’arretratezza della società italiana? Oppure ne erano estranei?
Erano assolutamente consapevoli. Basta citare “Il Mondo” di Pannunzio, l’Associazione per la libertà della cultura di Silone e Chiaromonte, le tante riviste laico-democartiche (dal “Mulino” di Matteucci a “Nord e Sud” di Compagna e De Caprariis, a “Comunità” di Olivetti) svolsero tutte un lavoro di grandissimo rilievo nella conoscenza del paese e nell’indicazione degli obiettivi da perseguire.
L’europeismo di Spinelli è una polverosa curiosità per studiosi, o mantiene una sua attualità?
La lunga lotta per l’Europa federata che ha avuto alla testa Altiero Spinelli, in diverse versioni e con diverse strategie, è stata una delle azioni più innovative del pensiero laico-democratico dell’ultimo secolo.
Tu hai vissuto da vicino, poco più che ventenne, la fine ingloriosa del primo Partito radicale nel ‘62. Hai un ricordo particolare di quell’epilogo?
Nel mio libro, credo di descrivere e analizzare come le cose andarono effettivamente in quegli anni, smentendo le tante leggende che sono fiorite su quella vicenda, che pose fine a una stagione gloriosissima.
Oggi persino i cattolici liberali sono messi in ombra dagli integralisti. Sono fondati i timori per il futuro della laicità dello Stato? Saprà la cultura laica reagire e riprendersi?
La cultura laica, se non ha gambe politiche su cui camminare, non arriva da nessuna parte. Anzi diventa una specie di lamento patetico di chi si compiace di essere sempre ignorato e sconfitto, come certi nostri amici radicali, conducendo gloriose campagne che però si risolvono in pura testimonianza.
Sei stato parlamentare radicale per una lunga stagione, dal ‘79 al ‘92. Cosa divide oggi un intellettuale laico come Teodori, da un politico laico come Marco Pannella?
Non voglio parlare di Marco. La sua è stata una traiettoria nobilissima, drammatica e finita a coda di pesce. Poteva essere il leader di una grande forza liberaldemocratica, laica ed antitotalitaria, invece ha preferito essere il solitario testimone di se stesso, senza più alcun rilievo politico.