Ma in Italia è un rischio scomparso
Il Giornale del 20 ottobre 2008, pag. 10
di Giordano Bruno Guerri
Benedetto XVI ha ricordato che il fondatore del Santuario di Pompei fu, prima di convertirsi, «un militante anticlericale» dedito «anche a pratiche spiritistiche e superstiziose». Il Papa ha concluso sostenendo che «purtroppo simili tendenze non mancano nei nostri giorni». Nessuno dubita che la superstizione, deprecata dai razionalisti quanto dalla Chiesa, sia viva e vegeta, e che lo spiritismo sia addirittura in aumento. Quindi nel discorso di Benedetto XVI colpisce soprattutto il riferimento all’anticlericalismo, perché non ne sentivamo più parlare da tanto tempo. Non ne sentivamo più parlare perché l’anticlericalismo in Italia non esiste più, almeno non in quantità e forme tali da preoccupare il Pontefice.
Anzitutto intendiamoci sulla definizione. È anticlericale chi si pone aprioristicamente contro il clero, quali che siano i suoi comportamenti. Quell’anticlericalismo è stato fortissimo in Italia fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e aveva molti padri: a partire da Machiavelli, che – non a torto - considerava il clero colpevole di avere reso gli italiani «sanza religione e malvagi» con i suoi «esempi rei»; l’Illuminismo e la Rivoluzione francese ci aggiunsero del loro, per non dire dell’ostilità vaticana all’Unità d’Italia (in Toscana si dice ancora, come interloquire comune, «Accidenti a pionono!»). L’ultima e definitiva spinta venne dal socialismo ateo, che vedeva nei «preti» il principale alleato del potere economico e politico. A quell’epoca ci fu un fiorire di organizzazioni (come la Giordano Bruno), di giornali (L’Asino) e di personalità (Podrecca, Mussolini, Marinetti ecc. ecc.) carichi di anticlericalismo violento, che però aveva una ragione di essere: in un’Italia analfabeta e ancora credente in modo primitivo, il prete era davvero un’autorità che condizionava le vite delle famiglie e degli individui, che aveva seguito e credito personale, e che dunque era un avversario sociale, politico e ideologico da combattere, meglio ancora da abbattere.
Oggi i sacerdoti non godono più di quel potere, di quel prestigio, di quel credito, per non dire che sono enormemente in numero minore in rapporto alla popolazione. E credo siano pochi, davvero pochi, gli italiani ancora convinti che il basso clero, suore comprese, porti più danni che benefici. Accudiscono le scarse anime che ancora si affidano (almeno a parole) a loro e, in genere, fanno opere di bene. Non si può tacciare sbrigativamente di anticlericalismo chi, come Odifreddi, contesta più la fede che il clero, né chi è più antireligioso che anticlericale. O chi, come Curzio Maltese, fa sacrosantamente le pulci a come viene utilizzato il denaro raccolto dalla Chiesa «per opere di bene». Né chi trova scandalosi – nel senso più puramente evangelico – i preti pedofili e le coperture che hanno avuto dalle gerarchie, specialmente negli Stati Uniti. Io stesso non mi considero parte della categoria. Nei tre libri che avrei scritto «contro la Chiesa» ho analizzato l’effetto del potere politico, spesso nefasto, del Vaticano nella storia d’Italia; il funzionamento a volte discutibile dei processi di canonizzazione; i messaggi dei confessori, non sempre conciliabili con le leggi dello Stato. Ma non per questo credo che «tutti» i preti siano a priori un danno per la società o che le gerarchie ecclesiastiche non abbiano il diritto di dire, a voce forte e chiara, il loro parere sui grandi temi etici. Allo stesso modo mi sembra normale che, nella civiltà della comunicazione, il clero possa dire la sua nei mass media. E ho difeso il diritto di Benedetto XVI di parlare alla Sapienza, senza per questo sentirmi clericale.
Mi auguro però che il Papa non intenda per «anticlericalismo» le critiche che vengono mosse dai laici, come me e tanti altri, a certe posizioni etiche e morali della Chiesa, per esempio quelle sulla contraccezione, sull’eutanasia, sulla biogenetica. Sono critiche che fanno parte di un giusto, necessario e doveroso dibattito tra pensieri diversi, tipico di ogni società libera e civile: un dibattito senza il quale si avrebbe un potere religioso di tipo integralista, inaccettabile nelle società occidentali. Se la Chiesa volesse impedirlo, allora sì che nascerebbe un vero anticlericalismo. E a ragione.
Il Giornale del 20 ottobre 2008, pag. 10
di Giordano Bruno Guerri
Benedetto XVI ha ricordato che il fondatore del Santuario di Pompei fu, prima di convertirsi, «un militante anticlericale» dedito «anche a pratiche spiritistiche e superstiziose». Il Papa ha concluso sostenendo che «purtroppo simili tendenze non mancano nei nostri giorni». Nessuno dubita che la superstizione, deprecata dai razionalisti quanto dalla Chiesa, sia viva e vegeta, e che lo spiritismo sia addirittura in aumento. Quindi nel discorso di Benedetto XVI colpisce soprattutto il riferimento all’anticlericalismo, perché non ne sentivamo più parlare da tanto tempo. Non ne sentivamo più parlare perché l’anticlericalismo in Italia non esiste più, almeno non in quantità e forme tali da preoccupare il Pontefice.
Anzitutto intendiamoci sulla definizione. È anticlericale chi si pone aprioristicamente contro il clero, quali che siano i suoi comportamenti. Quell’anticlericalismo è stato fortissimo in Italia fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e aveva molti padri: a partire da Machiavelli, che – non a torto - considerava il clero colpevole di avere reso gli italiani «sanza religione e malvagi» con i suoi «esempi rei»; l’Illuminismo e la Rivoluzione francese ci aggiunsero del loro, per non dire dell’ostilità vaticana all’Unità d’Italia (in Toscana si dice ancora, come interloquire comune, «Accidenti a pionono!»). L’ultima e definitiva spinta venne dal socialismo ateo, che vedeva nei «preti» il principale alleato del potere economico e politico. A quell’epoca ci fu un fiorire di organizzazioni (come la Giordano Bruno), di giornali (L’Asino) e di personalità (Podrecca, Mussolini, Marinetti ecc. ecc.) carichi di anticlericalismo violento, che però aveva una ragione di essere: in un’Italia analfabeta e ancora credente in modo primitivo, il prete era davvero un’autorità che condizionava le vite delle famiglie e degli individui, che aveva seguito e credito personale, e che dunque era un avversario sociale, politico e ideologico da combattere, meglio ancora da abbattere.
Oggi i sacerdoti non godono più di quel potere, di quel prestigio, di quel credito, per non dire che sono enormemente in numero minore in rapporto alla popolazione. E credo siano pochi, davvero pochi, gli italiani ancora convinti che il basso clero, suore comprese, porti più danni che benefici. Accudiscono le scarse anime che ancora si affidano (almeno a parole) a loro e, in genere, fanno opere di bene. Non si può tacciare sbrigativamente di anticlericalismo chi, come Odifreddi, contesta più la fede che il clero, né chi è più antireligioso che anticlericale. O chi, come Curzio Maltese, fa sacrosantamente le pulci a come viene utilizzato il denaro raccolto dalla Chiesa «per opere di bene». Né chi trova scandalosi – nel senso più puramente evangelico – i preti pedofili e le coperture che hanno avuto dalle gerarchie, specialmente negli Stati Uniti. Io stesso non mi considero parte della categoria. Nei tre libri che avrei scritto «contro la Chiesa» ho analizzato l’effetto del potere politico, spesso nefasto, del Vaticano nella storia d’Italia; il funzionamento a volte discutibile dei processi di canonizzazione; i messaggi dei confessori, non sempre conciliabili con le leggi dello Stato. Ma non per questo credo che «tutti» i preti siano a priori un danno per la società o che le gerarchie ecclesiastiche non abbiano il diritto di dire, a voce forte e chiara, il loro parere sui grandi temi etici. Allo stesso modo mi sembra normale che, nella civiltà della comunicazione, il clero possa dire la sua nei mass media. E ho difeso il diritto di Benedetto XVI di parlare alla Sapienza, senza per questo sentirmi clericale.
Mi auguro però che il Papa non intenda per «anticlericalismo» le critiche che vengono mosse dai laici, come me e tanti altri, a certe posizioni etiche e morali della Chiesa, per esempio quelle sulla contraccezione, sull’eutanasia, sulla biogenetica. Sono critiche che fanno parte di un giusto, necessario e doveroso dibattito tra pensieri diversi, tipico di ogni società libera e civile: un dibattito senza il quale si avrebbe un potere religioso di tipo integralista, inaccettabile nelle società occidentali. Se la Chiesa volesse impedirlo, allora sì che nascerebbe un vero anticlericalismo. E a ragione.