giovedì 20 marzo 2008

La collina delle ebree velate il burqa non è solo islamico

La Repubblica 20.3.08
La collina delle ebree velate il burqa non è solo islamico
di Alberto Stabile

La rabbanit Keren veste sette lunghi mantelli. Il volto è coperto da stoffa fino agli occhi
La tendenza ha cominciato a diffondersi in Israele malgrado il veto dei rabbini

Gerusalemme. In giro si vedono poco, perché la loro regola prescrive, tra l´altro, di uscire di casa il meno possibile. Ma se decidono di avventurarsi per le strade lo fanno coprendosi dalla testa ai piedi, mani e viso inclusi, con un velo pericolosamente simile a un chador o con un soprabito che potrebbe benissimo essere scambiato per un burqa. Queste però non sono donne iraniane, saudite o afgane soggette alla legge religiosa islamica, ma israelianissime ebree ultra-ortodosse che hanno deciso di portare il precetto della zniuth (modestia) femminile, a nuovi ed estremi livelli, spesso in contrasto con il volere delle famiglie e quasi sempre contro l´opinione dei rabbini.
Il fenomeno ha cominciato a manifestarsi a Beit Shemesh, una delle "capitali" dell´ortodossia arroccata sulle colline della Giudea, tra Gerusalemme e Tel Aviv, dove in un appartamento spoglio, a due piani, sotto il livello della strada, vive la rabbanit (titolo che tradizionalmente serviva ad indicare la moglie del rabbino ma che in questo caso lascia intendere molto di più) Bruria Keren, esperta di medicina alternativa, madre di dieci figli e sacerdotessa della nuova tendenza. Alla base della quale s´intravede un´ideologia che combina l´osservanza più stretta con una forma di femminismo estremo, per cui il corpo di una donna non può essere oggetto di godimento da parte di un uomo, se non per specifica scelta della donna stessa: quindi, in pratica, solo il marito è autorizzato a vedere il volto, o udire la voce, della moglie.
La caratteristica più evidente di questa nuova interpretazione della modestia è ovviamente l´abbigliamento: strati e strati di gonne, fazzoletti, scialli, mantelli e veli, che lasciano scoperti, quando va bene, soltanto gli occhi, per cancellare quanto più possibile il contorno del corpo. Il palmo della mano è coperto fino alla radice delle dita, le calze sono di cotone spesso e le scarpe hanno una suola anti-rumore, perché possano muoversi senza essere udite. Secondo una descrizione comparsa su Ma´ariv, la rabbanit Keren veste dieci gonne di tessuto spesso, sette lunghi mantelli, cinque fazzoletti annodati sotto il mento e tre dietro la nuca ed ha il volto coperto da una pezza di stoffa, da cui sbucano gli occhi. Tutta questa montagna di vestiti è a sua volta coperta da alcuni veli più leggeri, che le scendono dalla cima della testa fino ai piedi.
Naturalmente le regole autoimposte non riguardano soltanto il vestiario: parlare poco (e mai con uomini) e pregare molto (soprattutto, recitare i salmi), uscire il meno possibile di casa, evitare i trasporti pubblici e viaggiare in taxi solo se l´autista è una donna e infine mangiare sano, preferibilmente macrobiotico.
La rabbanit stessa che a detta delle sue seguaci possiede una personalità magnetica e un marito-ombra, non esce quasi mai di casa. Occupandosi professionalmente di medicina alternativa, non ha bisogno di uscire per lavorare e riceve le sue pazienti in casa. In casa dà pure un´unica lezione settimanale alle sue fedeli e per il resto cerca di non parlare più di quattro ore alla settimana, comunicando, quando è necessario, per mezzo di bigliettini o con le mani. La maggioranza della giornata la passa in «digiuno della parola» e in preghiera. Le sue fedeli dicono che in queste ore la rabbanit «acchiappa gli angeli».
Inizialmente, a seguire l´esempio di Bruria erano state soltanto poche giovani donne fra i 20 e i 30 anni, ma presto la nuova maniera d´intendere la decenza femminile, o forse soltanto l´illusione di potersi nascondere al mondo, ha cominciato a diffondersi in maniera sorprendentemente veloce, valicando i confini di Beit Shemesh per manifestarsi nei maggiori centri ultraortodossi del paese, inclusa la storica roccaforte degli haredim, il quartiere di Meah Sharim, a Gerusalemme. Motivo per cui non è più raro incontrare una donna ultraortodossa che, anziché indossare la parrucca, la gonna nera fino alle caviglie e le pesanti calzamaglie, ma a viso scoperto, vada in giro avvolta in una specie di chador che tiene fermo con una mano per coprirsi la faccia mentre con l´altra spinge un passeggino.
Molte di loro vivono della vendita di prodotti naturali e macrobiotici, perché - come spiega una delle allieve di Bruria Keren - «la correlazione fra alimentazione sana e modestia è molto stretta e più che ovvia: le donne modeste sono pulite dentro e fuori. Le figlie d´Israele sono figlie di re, e non è opportuno che vengano osservate. Non sono un pomodoro marcio, che chiunque passa per strada è autorizzato a guardare che cosa abbia o che cosa non abbia».
Di tutto questo, probabilmente, non si sarebbe mai parlato se non ci fosse stata una causa di divorzio, intentata da un marito molto insoddisfatto dell´andamento della famiglia, dopo che la moglie era diventata una delle seguaci della rabbanit: la casa a catafascio, i dieci figli abbandonati a loro stessi perché la mamma era occupata a pregare e non comunicava più con loro, le figlie tenute a casa da scuola per svolgere tutte quelle funzione che la madre non svolgeva, non volendo più uscire di casa. Alla fine, la donna si è presentata davanti al tribunale rabbinico completamente coperta da un velo nero, e guidata per mano da una delle figlie. Avendo risposto con un rifiuto alla richiesta della corte di togliersi il velo («Solo mio marito può vedermi in faccia»), il tribunale rabbinico alla fine ha disposto per il divorzio e le ha sottratto la custodia dei figli minori. La donna ha fatto ricorso alla Corte Suprema (laica: ed così che la cosa si è saputa) che ha confermato la sentenza del tribunale rabbinico.
Nel frattempo però la donna è scomparsa con i figli più piccoli, trovando probabilmente rifugio in una qualche comunità ultra-ortodossa.