Milano, alla Mangiagalli "aiuto alla vita" non richiesto
Liberazione del 4 marzo 2008, pag. 6
di Eleonora Cirant
Dicono di aiutare la vita. Alla Clinica Mangiagalli Regina-Elena di Milano sono insediati dal 1984. Per convincere una donna a non abortire adottano ogni mezzo, dall'esibizione di immagini di feti, al "gettone" mensile (per la durata della gravidanza), fino all'intervento diretto sulla scena "del crimine". E' così che la signora Paola Bonzi, attivista del Centro aiuto per la vita presso la Mangiagalli, si è «precipitata alle sei del mattino da una ragazza che si trovava già nell'anticamera della sala operatoria per abortire». Lo ha raccontato in un'intervista a La Stampa del 14 febbraio, aggiungendo che sarebbero proprio i medici obiettori a fornire al Centro le informazioni sulle donne in Clinica per interrompere la gravidanza.
Sulla vicenda le senatrici di Rifondazione comunista/Sinistra europea hanno sottoscritto un'interrogazione alla ministra della Salute. Chiedono se non sia necessario «approfondire le modalità dell'attività del Centro aiuto per la vita operante alla Clinica Mangiagalli di Milano al fine di verificare che non vi siano interferenze tra medico curante e paziente e che non venga leso il diritto delle donne all'esercizio delle facoltà loro riconosciute» dalla legge 194; forse, suggeriscono, è opportuno verificare se davvero i medici obiettori di coscienza diano al Centro i dati personali delle pazienti. Le senatrici richiamano l'obbligo alla segretezza del rapporto medico-paziente e chiedono di accertare se le donne si rivolgano al Centro spontaneamente.
Domande più che legittime. La Mangiagalli è un grande ospedale, un vespaio di gente che va e che viene. La donna arriva col documento rilasciato dal consultorio o dal medico curante, dove c'è scritto che vuole abortire. Deve capire dove prendere appuntamento per l'intervento (passano le prime dieci che si presentano, le altre devono tornare); poi, trovare la stanza delle analisi. In genere chiede informazioni a chi le capita a tiro. Nel Centro aiuto alla vita (che nel dicembre 2007 ha ricevuto 500mila euro dalla Regione Lombardia) può incappare anche involontariamente, se indirizzata a dovere.
Liberazione del 4 marzo 2008, pag. 6
di Eleonora Cirant
Dicono di aiutare la vita. Alla Clinica Mangiagalli Regina-Elena di Milano sono insediati dal 1984. Per convincere una donna a non abortire adottano ogni mezzo, dall'esibizione di immagini di feti, al "gettone" mensile (per la durata della gravidanza), fino all'intervento diretto sulla scena "del crimine". E' così che la signora Paola Bonzi, attivista del Centro aiuto per la vita presso la Mangiagalli, si è «precipitata alle sei del mattino da una ragazza che si trovava già nell'anticamera della sala operatoria per abortire». Lo ha raccontato in un'intervista a La Stampa del 14 febbraio, aggiungendo che sarebbero proprio i medici obiettori a fornire al Centro le informazioni sulle donne in Clinica per interrompere la gravidanza.
Sulla vicenda le senatrici di Rifondazione comunista/Sinistra europea hanno sottoscritto un'interrogazione alla ministra della Salute. Chiedono se non sia necessario «approfondire le modalità dell'attività del Centro aiuto per la vita operante alla Clinica Mangiagalli di Milano al fine di verificare che non vi siano interferenze tra medico curante e paziente e che non venga leso il diritto delle donne all'esercizio delle facoltà loro riconosciute» dalla legge 194; forse, suggeriscono, è opportuno verificare se davvero i medici obiettori di coscienza diano al Centro i dati personali delle pazienti. Le senatrici richiamano l'obbligo alla segretezza del rapporto medico-paziente e chiedono di accertare se le donne si rivolgano al Centro spontaneamente.
Domande più che legittime. La Mangiagalli è un grande ospedale, un vespaio di gente che va e che viene. La donna arriva col documento rilasciato dal consultorio o dal medico curante, dove c'è scritto che vuole abortire. Deve capire dove prendere appuntamento per l'intervento (passano le prime dieci che si presentano, le altre devono tornare); poi, trovare la stanza delle analisi. In genere chiede informazioni a chi le capita a tiro. Nel Centro aiuto alla vita (che nel dicembre 2007 ha ricevuto 500mila euro dalla Regione Lombardia) può incappare anche involontariamente, se indirizzata a dovere.