martedì 6 novembre 2007

Fecondazione, non è il giudizio finale

l'Unità 6.11.06
Fecondazione, non è il giudizio finale
di Carlo Flamigni
Il primo serio tentativo di far breccia nella legge 40 del 2004, l'ingiusta legge sulla procreazione assistita approvata in omaggio al generale asservimento alla morale cattolica e in spregio delle regole più elementari di uno stato laico, non è andato a buon fine. Infatti la Corte Costituzionale, in udienza pubblica, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una coppia di pazienti che, essendo portatori di una mutazione genica recessiva, chiedevano di poter sottoporre i propri embrioni ad un accertamento genetico pre-impiantatorio che avrebbe potuto evitare il trasferimento in utero e la successiva nascita di un «concepito» ammalato. Per spiegare cosa sia effettivamente accaduto riprendo quanto ha scritto su questo stesso giornale, con la sua usuale straordinaria chiarezza, Emilio Dolcini: questione inammissibile, nel linguaggio della Corte, significa che il ricorso è stato proposto in una forma o in un contesto errati, non ha niente a che fare con la fondatezza del quesito che le è stato sottoposto. Le ragioni di questa decisione verranno chiarite - in tempi relativamente brevi - in una ordinanza, un documento generalmente succinto e che non ha dunque il carattere della sentenza, dal quale potremo capire perché la Corte ha deciso di non entrare nel merito: aspettiamo dunque di leggere questa ordinanza, ma teniamo conto del fatto che la Corte non è entrata nel merito e che siamo ancora lontani da una soluzione del problema.Possiamo discutere, per ora, di una sola cosa, e cioè del fatto che l'Avvocato dello Stato ha motivato il suo parere contrario al ricorso affermando che non esiste il diritto ad avere un figlio sano, dichiarazione che sembra derivare direttamente da quella con la quale ci hanno tormentato per anni secondo la quale non esiste il diritto ad avere un figlio. In effetti sono assolutamente d'accordo con entrambe queste dichiarazioni: ritenere che esistano diritti di questo genere significa immaginare di avere un controllo della nostra biologia e della natura in genere che neppure il più scientista dei laicisti potrebbe immaginare. In verità, però, nessuna delle persone che sono intervenute nel dibattito ha mai fatto dichiarazioni così assurda, la richiesta generalmente formulata essendo stata quella di veder riconosciuto il diritto a fare il possibile per avere un figlio sano, entro naturalmente i limiti della morale comune. Si tratta, mi pare, di cose completamente diverse. E la dichiarazione del magistrato mi pare un ennesimo esempio di quel finto buon senso, lapalissiano, pleonastico e banale, che ha caratterizzato gli interventi dei sostenitori della legge 40 durante questi anni.Mi ritrovo quindi a ribadire la mia opinione su questo problema come se non fosse accaduto niente. A mio avviso ci sono tre cose che dovrebbero influenzare la Corte Costituzionale nel suo giudizio. La prima riguarda il fatto che una sentenza favorevole ai ricorrenti sanerebbe una contraddizione straordinaria e francamente inaccettabile esistente oggi tra le differenti normative, quella secondo la quale non si possono fare indagini su un embrione prima dell'impianto, e quella che afferma che si possono fare le stesse indagini sul feto, una volta iniziata la gravidanza. La seconda riguarda la necessità di interpretare le norme della legge 40 in modo da tenere compiutamente conto delle definizioni accettate dalla biologia e dalla medicina, definizioni che sono state prevalentemente ignorate da politici prevalentemente incompetenti e da moralisti trascinati nel vortice di un pericoloso fervore ideologico (o più semplicemente ipocriti). La legge precisa che le donne, prima del trasferimento degli embrioni, hanno il diritto di sapere se essi sono o no normali. Embrioni, dice la legge, non c'è alcun accenno a zigoti, ootidi, blastocisti et similia. Ebbene, mentre per riconoscere l'esistenza di alcune anomalie della fecondazione mi basta, nelle fasi pre-embrionali, fare un'analisi morfologica, usando il microscopio, è fuor di dubbio che per l'embrione l'analisi al microscopio è del tutto inadeguata e che soltanto la valutazione della normalità genetica consente di dire alle donne ciò che hanno il diritto di sapere. Tutto ciò, oltretutto, non prelude necessariamente alla distruzione degli embrioni anomali, così come una amniocentesi non è di per sé preliminare a una interruzione di gravidanza, cosa oltretutto che la donna non ha neppure il diritto di richiedere, visto che le amniocentesi vengono eseguite dopo i primi 90 giorni di gestazione con i quali ha termine per lei la possibilità di scegliere. Penso tra l'altro che questa sia stata la posizione del professor Cuccurullo, che presiedeva la sezione del Consiglio Superiore di Sanità che era tenuta a dare un parere sulle linee guida e che ha lasciato il suo incarico avendo dovuto constatare l'esistenza di una posizione preconcetta su questo e sul altri temi. La terza ragione riguarda il fatto che la Corte Costituzionale, in una famosa sentenza, ha riconosciuto il prevalente interesse di chi è già persona (la madre) nei confronti di chi persona può solo diventare (l'embrione): negare la possibilità di conoscere le condizioni di normalità dell'embrione non significa dunque soltanto negare un diritto, ma anche introdurre un grave elemento di rischio nei confronti della salute materna, che invece dovrebbe essere considerata prevalente. In definitiva, ritengo che la Corte Costituzionale dovrebbe mettere ordine, evitare conflitti e contraddizioni, giudicare anche tenendo conto del senso comune dei cittadini e che in materie che hanno così profonde risonanze affettive il luogo nel quale si amministra la giustizia dovrebbe comunque essere il mondo in cui tutti noi consumiamo le nostre vite e non l'empireo lontano di una sapienza teorica.E non può certamente ignorare, chi giudica rimanendo tra noi, la sofferenza di chi è costretto ad andare per il mondo per trovare soluzione ai propri problemi, spesso senza certezze e senza garanzie.Poiché ho ragione di credere che questo non sarà l'ultimo ricorso presentato alla magistratura nei confronti della legge 40, voglio concludere questo articolo sottolineando l'importanza della terminologia medica che viene utilizzata nei dibattiti. La medicina, essendo una disciplina con uno statuto scientifico molto modesto, deve tener conto soprattutto dei consensi tra gli esperti, e dà perciò grandissimo rilievo alle definizioni. Ad esempio, una cosa è parlare di agenti batterici e una è parlare di agenti virali, ma capita spesso di leggere una generica indicazione a improbabili agenti infettivi o addirittura l'uso di un termine al posto dell'altro. L'anomalia della legge 40 è soprattutto questa: la disattenzione nei confronti del significato dei termini e della coerenza delle definizioni, una scelta da parte di chi ha scritto le norme, un abuso da parte di chi le ha poi interpretate. Mi limito ad un solo esempio.L'accesso ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita dovrebbe essere riservato, secondo la legge 40, alle coppie sterili e infertili. Una inutile ripetizione? Ebbene no, nella medicina italiana sono considerate sterili le persone che non riescono ad iniziare una gravidanza e infertili quelle che le gravidanze non le portano a termine, abortiscono o generano figli non vitali, cosa che accade prevalentemente a chi è affetto da malattie genetiche e infettive. In realtà, dunque, la legge - se ben interpretata - è meno maligna di quanto si potrebbe credere.La materia è ostica, difficile e noiosa, non voglio infierire. D'altra parte sono convinto che non esistano, al momento, le condizioni politiche necessarie per modificare la legge 40 e che l'unica vera possibilità di migliorarla almeno un po' consista nella stesura di linee guida più logiche e razionali. Nessuno deve immaginare che questo implichi un tentativo di falsare lo spirito (per quanto farneticante sia ) di questa legge usando trucchetti semantici di basso conio. Si tratta semmai di arrivare a una lettura più competente e meno ideologica di un certo numero di norme, cosa che non è stata possibile alla commissione che ha preparato le attuali linee guida, dominata com'era da un curioso furore ideologico (i membri più influenti erano due professori di storia del diritto romano, molto, ma molto religiosi). Per una buona legge, invece, dovremo attendere. Pur essendo stato contrario al referendum, immagino che ormai la soluzione del problema sia nel continuare a portare gli stessi quesiti davanti ai cittadini finchè non riusciremo ad ottenere un quorum. Se si realizzerà quello che temo, l'avvenire di questo paese - intendo naturalmente il suo avvenire politico - sarà caratterizzato dalla prevalenza di due grandi partiti democratici cristiani, uno di destra e uno di sinistra, e la laicità sarà sepolta di fianco al Milite Ignoto. Ma la maggior parte dei cittadini, quelli che non riescono a farsi sentire e a farsi capire, sono laici. E questi cittadini sanno che il referendum sulla legge 40 non è stato perduto, come continuano a sostenere molti uomini politici sapendo di mentire, e che il problema è stato semplicemente rinviato. A quando? Non so, cominciamo a parlarne.
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commento:
siamo sinceri, del desiderio di maternità e paternità ai cattolici non interessa niente.
Il volere controllare la fecondazione asistita serve solo a ribadire la loro volontà di controllo sulle persone.