domenica 18 novembre 2007

PARADISO FISCALE: La casa di Dio non paga tasse

il manifesto 6.10.05
PARADISO FISCALE
La casa di Dio non paga tasse
Il senato converte un decreto estivo che abbona l'ici a tutti gli edifici di proprietà della chiesa, anche se usati a fini commerciali, educativi o di assistenza. E' l'ennesimo buco nei bilanci dei comuni che perderanno almeno 200 milioni di eurodi Sara MenafraDuecento o forse trecento milioni di euro tolti alle amministrazioni comunali. Teoricamente (ma non troppo) moltiplicabili per tredici, quanti sono gli anni di arretrati che la chiesa potrà chiedere indietro. E tolti proprio alle amministrazioni comunali, che già attualmente lamentano la mancanza di fondi, e che ora dovranno stringere un altro po' la corda del saio, pardon la cintura, per fare contenta la chiesa cattolica. Ieri pomeriggio il senato ha approvato la conversione in legge di un decreto legislativo che dà la possibilità alle curie di non pagare l'ici sugli immobili utilizzati «per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura» «pur svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto». E' la conversione di un decreto estivo scritto dai ministri nel pieno delle vacanze senza neppure prendersi la briga di tornare a Roma, come rivela l'indicazione in calce «dato a La Maddalena il 17 agosto 2005». Le disposizioni urgenti in materia di infrastrutture contenevano una serie di chicche, come ha notato il senatore dei Ds Paolo Brutti. Tra le altre, l'aumento dell'indennità assegnata al presidente del registro italiano dighe, l'uscita dell'Anas dal bilancio dello stato, un finanziamento studiato su misura per l'amministrazione di Catania perché assuma a tempo indeterminato un certo numero di lavoratori socialmente utili (lsu). E poi, appunto il famigerato articolo 6, che rischia di aprire un ulteriore buco nei già rattoppati bilanci comunali.La prima stima parla di una cifra che va dai 200 e i 300 milioni di euro di incassi Ici in meno. Cinque milioni solo a Roma, città curiale per eccellenza. Con due varianti devastanti. La prima è che l'articolo 6 è una «norma interpretativa» della legge che ha istitutito l'Ici. Già nel primo testo (D. lgs. 504/92) le chiese erano esentate dal pagamento della tassa che grava su tutti i proprietari di immobili. Fino a ieri, però, a non pagare la tassa erano solo le attività esplicitamente a fine religioso così come vuole la legge sui beni ecclesiastici e per il sostentamento del clero cattolico (Lg. 20 maggio 1985, n. 222). «Nella pratica ogni curia autocertificava quali edifici avessero fini religiosi e quali no», dice Esterino Montino che oltre a fare il senatore è anche segretario dei Ds a Roma : «In teoria i comuni avevano il diritto di controllare se i dati dell'autocerficazione fossero corretti. Nella pratica, però, non lo faceva nessuno». Per dieci anni tutto è sembrato procedere col quieto vivere proprio del bel paese. Finché un comune piccolo, e per di più in una regione che appena due secoli fa era parte dello Stato pontificio si è tirato su a dir la sua. Il comune di Vasto, quasi due anni fa ha deciso che il vescovo, residente nella «palazzo vescovile» dovesse pagare l'ici. Infondo - debbono aver ragionato al municipio - il palazzo è la sua abitazione privata dunque dovrà pagare, come tutti. Ne è nata una causa giudiziaria che a marzo scorso è arrivata davanti alla corte di Cassazione. E pure la Suprema corte (sentenza 6316 del 23 marzo 2005) ha dato ragione alla chiesa rigettando la richiesta del comune. La curia però, accorta agli affari di stato, ha presagito il pericolo. Anche se il vescovo di Vasto ha vinto la causa, il palazzaccio ha stabilito un principio: gli immobili della chiesa che abbiano fini «commerciali o comunque di lucro», comprese quelle con fini di «assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura» dovranno pagare la famigerata tassa. E l'estate scorsa qualcuno ha convinto i ministri ospiti di Silvio a riunirsi sull'isola sarda e fare un piccolo favore alla curia.La decisione, inizialmente non aveva convinto neppure la destra. E infatti la settimana scorsa la commissione bilancio del senato aveva persino deciso di cassare la norma per mancanza di fondi. Ma poi una telefonata - pare di palazzo Chigi - ha convinto il presidente della commissione, Antonio Azzollini di Forza Italia, a convocare una riunione d'urgenza e modificare il parere. E ieri il senato ha dato l'ok.