mercoledì 14 novembre 2007

Giordano Bruno, vittima della Controriforma

Giordano Bruno, vittima della Controriforma
di Igino Domanin
RIEDIZIONI
Parla il filosofo Fulvio Papi che ristampa un suo fortunato saggio sulle idee del Nolano. Quel che era in ballo con la sua eresia era un nuovo «sguardo» sulla natura. Che la Chiesa di allora volle censurare.
L’interpretazione della Modernità come rottura e discontinuità rispetto a un universo culturale incapace di produrre una efficace rappresentazione scientifica della natura è senz’altro uno dei cardini del nostro modo di pensare. Riconosciamo nelle formazioni epistemiche, sorte con l’avvento del metodo sperimentale e delle concezioni meccanicistiche, il fulcro di un modo di conoscere la natura che si oppone alla precedente sensibilità magica ed esoterica. Questo convincimento, non privo, com’è ovvio, di fondamento, sostanzialmente sta alla base di un conseguente giudizio di valore che può essere positivo o negativo. Nel primo caso si tenderà a vedere nel sorgere della scienza moderna il trionfo della verità obiettiva e di un sapere adeguato ai fenomeni della natura; nel secondo caso, invece, il trionfo dei modelli galileiani e newtoniani come un impoverimento spirituale che riduce la natura a materia inerte e priva di legami con la vita psichica.In questo quadro l’interpretazione dell’opera di Giordano Bruno risulta centrale. A patto, però, di non esaurire la figura del Nolano nel cerchio dell’esoterismo, o come un mero precursore, capace di geniali intuizioni che avrebbero trovato conferma e verifica nel corso della Modernità successiva.La ripubblicazione, a distanza di decenni, dalla prima edizione del testo di Fulvio Papi Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno, pubblicato presso Liguori, a cura di Nuccio Ordine (lo studioso che negli ultimi anni sta maggiormente contribuendo alla ricerca italiana e internazionale su Bruno), diventa oggi molto significativa di un modo di affrontare la storia delle idee in chiave teorica e problematica, piuttosto che come arida filologia. Papi, come avviene per altri notevoli interpreti di Bruno come Badaloni e Ciliberto, cerca d’isolare le differenze piuttosto che le identità, i caratteri propri e originali, cioè, della filosofia di Bruno. Puntando l’attenzione sull’antropologia filosofica, e sull’idea che il naturalismo di Bruno conduce direttamente nella direzione della civiltà occidentale del fare.
Professor Papi, qual è il significato attuale della filosofia di Bruno?
«Le filosofie, di per sé, non sono attuali o inattuali. Ma vanno capite rispetto agli strumenti intellettuali con cui sono costruite. Questi strumenti appartengono a un tempo storicamente determinato e variano a seconda dei periodi storici che consideriamo. Bisogna, perciò, in questo caso comprendere quali siano i mezzi di produzione teorici che Bruno poteva effettivamente utilizzare. Solo così possiamo comprenderlo criticamente. In questo modo arriviamo a capire che Bruno non è un anticipatore della scienza moderna. Il suo modo di “vedere” la natura ci è completamente estraneo».
In che senso ci è estraneo?
«Lo sguardo di Bruno vedeva la divinità della natura, mentre noi la consideriamo essenzialmente come una risorsa. Noi oggi parliamo di ambiente, il che vuol dire che la natura non ha una sua realtà, essa è il “nostro” ambiente. Addirittura noi contemporanei non potremmo vivere se avessimo lo stesso sguardo di Bruno sulla natura. Sapere che cosa si è perduto equivale un po’ a sapere chi si è».
Nel suo libro c’è un attenzione profonda verso l’antropologia filosofica e verso i tratti naturali della condizione umana che si traducano in civiltà e in temporalità storica. Qual è il rapporto di Bruno con la modernità?
«Bruno considera l’uomo come un essere naturale che rispetto agli altri viventi ha l’intelletto e le mani. Le mani sono lo strumento che è in grado di usare altri strumenti per costruire un mondo ulteriore rispetto a quello già esistente. La centralità, dunque, del fare, dell’attitudine costruttiva è l’autentico nesso che lega Bruno alla modernità in arrivo».
La condanna al rogo di Bruno ha pesato come un emblema nella storia delle idee dell’Europa moderna. Qual è il suo significato storico?
«Bruno scelse consapevolmente di non abiurare la sua filosofia e, quindi, di morire sul rogo. Bruno, infatti, cercava un accordo possibile con la chiesa Cattolica basato sul riconoscimento dell’autonomia della filosofia dalla religione. Il suo punto di vista radicale non era contenuto nelle affermazioni che vennero stralciate dai suoi scritti e usate contro di lui dai suoi accusatori. Questo tipo di espressioni erano in voga e ricorrenti anche in altri autori del periodo. Ben altro era in gioco. Se il processo si fosse fermato, per esempio a Venezia, Bruno avrebbe potuto semplicemente abiurare alcune frasi e cavarsela. A Roma, però, le cose si complicarono. Un’altra partita si era giocata e riguardava i poteri della Controriforma. Bruno non poteva più avere scampo, poiché in quel contesto non c’era più spazio per la tolleranza verso forme di verità indipendenti dal magistero della Chiesa».