l'Unità 26.4.08
Italia 2008: pazienti ancora senza voce
TESTAMENTO biologico. In Parlamento non è stato raggiunto neanche stavolta l’obiettivo della regolazione del diritto di ogni individuo a decidere sulle cure del futuro che lo riguardano
Il cammino legislativo sulla volontà del paziente deve ripartire al più presto
Nella legislatura che si è appena conclusa, come nella precedente, non è stato raggiunto l’obiettivo della regolazione, per via legislativa, degli strumenti per dare attuazione al diritto di ogni individuo a decidere autonomamente sulle cure, anche future, che lo riguardano. Eppure sembravano essercene tutti i presupposti. Innanzitutto, l’attenzione per il tema, trasversale alle diverse forze politiche. In secondo luogo, il condiviso richiamo al principio di volontarietà dei trattamenti sanitari affermato dall’art. 32 della Costituzione. In terzo luogo, l’avvertita necessità di contrastare l’accanimento terapeutico, dotando i medici di criteri per assumere decisioni cliniche rispettose dei malati non più capaci.
Se, nonostante le positive premesse, il percorso verso la legge si è affollato di ostacoli, è perché nel dibattito, fuori e dentro le sedi politico-istituzionali, si sono insinuati alcuni argomenti, fatti propri soprattutto dagli esponenti teo-dem e teo-con di maggioranza e opposizione, di cui va denunciato il carattere fuorviante e mistificatorio.
Con il testamento biologico passerebbe l’idea che la vita vissuta in una condizione di malattia, con perdita della capacità, sia meno degna di rispetto e, di conseguenza, l’idea che, nei confronti dei soggetti per i quali non si prospetta nessuna possibilità di recupero, sarebbe giustificato il disimpegno assistenziale. Ancora, si svuoterebbe la relazione medico-paziente della sua valenza fiduciaria, riducendo il medico a puro esecutore di prestazioni. Infine, si spianerebbe la strada all’eutanasia.
Ma, battersi per il testamento biologico e per una legge che tolga di mezzo i dubbi sul suo valore giuridico non significa affatto avvallare l’abbandono terapeutico, né umiliare la professionalità del medico, e nemmeno aggirare con un sotterfugio le resistenze che impediscono un chiaro confronto sull’eutanasia. Significa, piuttosto, prendere atto che, grazie alle tecniche di sostegno vitale, la medicina moderna crea, talora, situazioni (non volute e non sempre prevedibili) di sospensione tra la vita e la morte (lo stato vegetativo permanente ne è il caso più emblematico), nelle quali non vi è nulla di naturale, e, in presenza di questa realtà, significa profondere il massimo impegno perché i soggetti esposti al rischio dell’incapacità non siano privati del diritto alle cure, ma nemmeno del diritto di rifiutare i trattamenti, anche salvavita, quando la sopravvivenza legata alla loro prosecuzione risulti in contrasto - come si legge nella sentenza della Corte di Cassazione del 16 ottobre 2007 sul caso Englaro - con «l’idea stessa della dignità della persona» da loro espressa prima di cadere in stato d’incoscienza. Diversamente, sotto la mistificante copertura della difesa ad oltranza della vita, si legittimerà che siano altri a decidere, non importa se in contrasto con le convinzioni e i valori del soggetto della cui vita si tratta.
Riconoscere nella libertà individuale un valore che si deve avere il coraggio e la coerenza di tutelare sino alla fine della vita è la prima e fondamentale ragione per prendere, a favore del testamento biologico, una chiara posizione, che attendiamo dalle formazioni politiche che della valorizzazione della libertà hanno fatto la parola d’ordine dei loro programmi durante la campagna elettorale. V’è da auspicare che, nella nuova legislatura, maggioranza e opposizione possano condividere l’impegno politico per la disciplina di strumenti funzionali ad un’assistenza rispettosa delle scelte e dei valori delle persone sino alla fine della loro vita, così come l’impegno politico per la creazione di strutture sanitarie in grado di farsi adeguatamente carico delle esigenze di tutti i malati nella fase terminale delle loro malattie.
Facoltà di giurisprudenza Università di Milano - Bicocca
Vice Presidente della Consulta di Bioetica, Milano
Italia 2008: pazienti ancora senza voce
TESTAMENTO biologico. In Parlamento non è stato raggiunto neanche stavolta l’obiettivo della regolazione del diritto di ogni individuo a decidere sulle cure del futuro che lo riguardano
Il cammino legislativo sulla volontà del paziente deve ripartire al più presto
Nella legislatura che si è appena conclusa, come nella precedente, non è stato raggiunto l’obiettivo della regolazione, per via legislativa, degli strumenti per dare attuazione al diritto di ogni individuo a decidere autonomamente sulle cure, anche future, che lo riguardano. Eppure sembravano essercene tutti i presupposti. Innanzitutto, l’attenzione per il tema, trasversale alle diverse forze politiche. In secondo luogo, il condiviso richiamo al principio di volontarietà dei trattamenti sanitari affermato dall’art. 32 della Costituzione. In terzo luogo, l’avvertita necessità di contrastare l’accanimento terapeutico, dotando i medici di criteri per assumere decisioni cliniche rispettose dei malati non più capaci.
Se, nonostante le positive premesse, il percorso verso la legge si è affollato di ostacoli, è perché nel dibattito, fuori e dentro le sedi politico-istituzionali, si sono insinuati alcuni argomenti, fatti propri soprattutto dagli esponenti teo-dem e teo-con di maggioranza e opposizione, di cui va denunciato il carattere fuorviante e mistificatorio.
Con il testamento biologico passerebbe l’idea che la vita vissuta in una condizione di malattia, con perdita della capacità, sia meno degna di rispetto e, di conseguenza, l’idea che, nei confronti dei soggetti per i quali non si prospetta nessuna possibilità di recupero, sarebbe giustificato il disimpegno assistenziale. Ancora, si svuoterebbe la relazione medico-paziente della sua valenza fiduciaria, riducendo il medico a puro esecutore di prestazioni. Infine, si spianerebbe la strada all’eutanasia.
Ma, battersi per il testamento biologico e per una legge che tolga di mezzo i dubbi sul suo valore giuridico non significa affatto avvallare l’abbandono terapeutico, né umiliare la professionalità del medico, e nemmeno aggirare con un sotterfugio le resistenze che impediscono un chiaro confronto sull’eutanasia. Significa, piuttosto, prendere atto che, grazie alle tecniche di sostegno vitale, la medicina moderna crea, talora, situazioni (non volute e non sempre prevedibili) di sospensione tra la vita e la morte (lo stato vegetativo permanente ne è il caso più emblematico), nelle quali non vi è nulla di naturale, e, in presenza di questa realtà, significa profondere il massimo impegno perché i soggetti esposti al rischio dell’incapacità non siano privati del diritto alle cure, ma nemmeno del diritto di rifiutare i trattamenti, anche salvavita, quando la sopravvivenza legata alla loro prosecuzione risulti in contrasto - come si legge nella sentenza della Corte di Cassazione del 16 ottobre 2007 sul caso Englaro - con «l’idea stessa della dignità della persona» da loro espressa prima di cadere in stato d’incoscienza. Diversamente, sotto la mistificante copertura della difesa ad oltranza della vita, si legittimerà che siano altri a decidere, non importa se in contrasto con le convinzioni e i valori del soggetto della cui vita si tratta.
Riconoscere nella libertà individuale un valore che si deve avere il coraggio e la coerenza di tutelare sino alla fine della vita è la prima e fondamentale ragione per prendere, a favore del testamento biologico, una chiara posizione, che attendiamo dalle formazioni politiche che della valorizzazione della libertà hanno fatto la parola d’ordine dei loro programmi durante la campagna elettorale. V’è da auspicare che, nella nuova legislatura, maggioranza e opposizione possano condividere l’impegno politico per la disciplina di strumenti funzionali ad un’assistenza rispettosa delle scelte e dei valori delle persone sino alla fine della loro vita, così come l’impegno politico per la creazione di strutture sanitarie in grado di farsi adeguatamente carico delle esigenze di tutti i malati nella fase terminale delle loro malattie.
Facoltà di giurisprudenza Università di Milano - Bicocca
Vice Presidente della Consulta di Bioetica, Milano