Corriere della Sera 12.2.09
Carla Bruni: «L'Italia non è laica Vaticano Stato nello Stato»
di Federico Fubini
La moglie del presidente francese: «Ma non voglio giudicare l'Italia, so quanto conti la religione nel Paese»
OUAGADOUGOU (Burkina Faso) — Prima del suo arrivo, le donne nel cortile hanno già affondato la testa nei loro turbanti e nei grandi abiti a fiori. Alcune piangono. Non vogliono farsi vedere, ma non è vergogna: con Carla BruniSarkozy in visita, in questo centro per madri e bambini toccati dall'Aids, si addensa anche una piccola nube di cameraman locali. E con loro qui, i mariti potrebbero scoprire di avere una moglie contagiata dai tiggì di stasera: l'ultimo notiziario prima del ripudio.
Poi Carla arriva e per un'oretta le pazienti in attesa in cortile vengono lasciate in pace. Tutti gli occhi sono su di lei e sembra quasi che addosso le pesino, anche se si era preparata in ogni dettaglio: sobria in maglia e pantaloni blu scuri sulle ballerine chiare, non un gioiello oltre la fede, niente trucco, appena un filo di mascara e polvere sul viso, al petto la fascetta rossa incrociata simbolo della lotta al virus. Ma quasi subito la perfetta piega dei calzoni è insozzata nella polvere tropicale, il sorriso inizia a apparire forzato, la cipria non basta a nascondere un volto teso e scavato più che seducente.
Normale, per una donna al primo giorno di lavoro. Perché oggi qui lei non rappresenta nessuno dei suoi due Paesi: non l'Italia, che per lei «non è un Paese laico», né la Francia delle istituzioni repubblicane. Carla da gennaio è ambasciatrice mondiale «per la protezione delle madri e dei bambini dall'Aids- Hiv». È lei la nuova arma di Michel Kazatchkine, il direttore del Fondo mondiale per la lotta all'Aids, illuminista del ventunesimo secolo impegnato a trasformare la visibilità in fondi pubblici e donazioni private: è così che da qualche anno le terapie retrovirali sono arrivate anche nei Paesi più poveri.
Carla ad aiutare ci prova davvero, come si fa in un primo giorno di un lavoro di cui si sa ancora poco. In una corsia, chissà se ricordandosi del gesto di Lady Diana, stringe la mano a un uomo nel suo letto. In un'altra si trova di fronte a quattro bebé di pochi mesi, tre sieropositivi, tutti denutriti. «Come sono piccoli!», esclama Carla. Non li carezza, però si volta verso due gemelline infettate e in terapia: «Va meglio ora?».
Mentre la visita del mattino avanza, di sala in sala, la moglie del presidente francese non fa troppe domande. Guarda, ascolta, annuisce, incamera statistiche, chiede di più solo quando si accorge che in una confezione di cibo per bambini c'è del-l'estratto di noccioline. La intrigano i piccoli gesti concreti, non i grandi disegni. «È frequente che i mariti aiutino le mogli infettate?». «No, signora », è la risposta pudica del medico in camice bianco. Probabilmente per l'emozione, Carla infila persino un errore di francese nel libro degli ospiti: « Bravo pour cette travail... Complimenti per questa lavoro». In pubblico ripete che oggi vuole più ascoltare che parlare, vuole imparare, capire. Non appena lascia la prima clinica a metà mattinata, un'infermiera fa il verso al suo elegante saluto, la mano che si agita oscillando con molta misura, e tutti gli altri ridono ancora lì, in piedi sulla scala d'ingresso. «È bene che scopra la realtà e quello che noi viviamo », commenta l'infermiera 28enne, Rose Tiendrebeogo.
Ma quella di Carla non è né estraneità né cinismo. La moglie del presidente sa fin troppo bene cos'è la malattia, da quando ci ha lasciato un fratello. «Il ricordo di Virginio non mi lascia — dirà più tardi, fumando una strettissima e lunghissima Vogue al mentolo —. Ma oggi ho pensato a quanto siamo stati fortunati con lui: ha sempre potuto ricevere tutte le cure. Ora voglio aiutare a togliere lo stigma della vergogna a questa malattia».
Non che Carla Bruni-Sarkozy si sia scelta un mestiere facile. Anche nei capannelli che la circondano i francesi continuano a notare che la sua pronuncia è perfetta, ma i suoi giri di frase suonano esotici. Parte della sua identità resta italiana, assieme a uno dei passaporti (una volta chiarito, non subito, che poteva tenerli entrambi). Il problema è che il governo di Roma, proprio nell'anno della presidenza del G8, rischia di essere estromesso dal «board» del Fondo globale di cui lei è ambasciatrice: in finanziaria sono stati stralciati i 130 milioni promessi e per ora non versati. «Mi spiace che l'Italia abbia scelto così — commenta Carla —. Andrò al G8 della Maddalena per sollecitare che i grandi Paesi diano l'esempio. Bisogna dare un contributo ai più deboli, anche se l'Italia con la crisi ha problemi importanti».
Non vuole commentare, Carla, sull'apparente incoerenza dell'indignazione per Eluana condita dai tagli ai fondi contro l'Aids. Ma sulla morte della ragazza sì: «La sua vicenda mi ha toccato molto. La mia opinione la tengo per me, perché c'è un dibattito aperto. In ogni caso, Eluana ha smesso di soffrire».
Non sarà mica che fra Francia e Italia la differenza è la Chiesa? «Effettivamente bisogna dividere le dimensioni — osserva, attenta come camminasse sulle mine —. Non serve a nulla dire che l'Italia non è laica. È vero: non è laica. Però ci sono altre strade che si possono percorrere per il dialogo per esempio sulla prevenzione dei virus, che non rimettono in questione le credenze. Non voglio giudicare l'Italia, so quanto conti la religione nel Paese. Il Vaticano è uno Stato nello Stato: non è in Francia, non è in Spagna. È in Italia e non è un caso».
Per una donna che studia da «Première Dame» globale, una che il marito metterebbe volentieri in concorrenza diretta con Michelle Obama, più chiaro di così non si può. Michelle ama i colori sgargianti, lei si mette in tailleur celeste per andare dal presidente del Burkina, Blaise Compaoré. Michelle saluta la folla nel gelo di Washington, lei si nasconde impaurita dal sole africano anche solo per fare cinquanta metri a piedi. Michelle ringhia da avvocato, lei legge Lola di Maupassant abbandonata nel Falcon dell'Eliseo che la riporta, finalmente, a Parigi.
Carla Bruni: «L'Italia non è laica Vaticano Stato nello Stato»
di Federico Fubini
La moglie del presidente francese: «Ma non voglio giudicare l'Italia, so quanto conti la religione nel Paese»
OUAGADOUGOU (Burkina Faso) — Prima del suo arrivo, le donne nel cortile hanno già affondato la testa nei loro turbanti e nei grandi abiti a fiori. Alcune piangono. Non vogliono farsi vedere, ma non è vergogna: con Carla BruniSarkozy in visita, in questo centro per madri e bambini toccati dall'Aids, si addensa anche una piccola nube di cameraman locali. E con loro qui, i mariti potrebbero scoprire di avere una moglie contagiata dai tiggì di stasera: l'ultimo notiziario prima del ripudio.
Poi Carla arriva e per un'oretta le pazienti in attesa in cortile vengono lasciate in pace. Tutti gli occhi sono su di lei e sembra quasi che addosso le pesino, anche se si era preparata in ogni dettaglio: sobria in maglia e pantaloni blu scuri sulle ballerine chiare, non un gioiello oltre la fede, niente trucco, appena un filo di mascara e polvere sul viso, al petto la fascetta rossa incrociata simbolo della lotta al virus. Ma quasi subito la perfetta piega dei calzoni è insozzata nella polvere tropicale, il sorriso inizia a apparire forzato, la cipria non basta a nascondere un volto teso e scavato più che seducente.
Normale, per una donna al primo giorno di lavoro. Perché oggi qui lei non rappresenta nessuno dei suoi due Paesi: non l'Italia, che per lei «non è un Paese laico», né la Francia delle istituzioni repubblicane. Carla da gennaio è ambasciatrice mondiale «per la protezione delle madri e dei bambini dall'Aids- Hiv». È lei la nuova arma di Michel Kazatchkine, il direttore del Fondo mondiale per la lotta all'Aids, illuminista del ventunesimo secolo impegnato a trasformare la visibilità in fondi pubblici e donazioni private: è così che da qualche anno le terapie retrovirali sono arrivate anche nei Paesi più poveri.
Carla ad aiutare ci prova davvero, come si fa in un primo giorno di un lavoro di cui si sa ancora poco. In una corsia, chissà se ricordandosi del gesto di Lady Diana, stringe la mano a un uomo nel suo letto. In un'altra si trova di fronte a quattro bebé di pochi mesi, tre sieropositivi, tutti denutriti. «Come sono piccoli!», esclama Carla. Non li carezza, però si volta verso due gemelline infettate e in terapia: «Va meglio ora?».
Mentre la visita del mattino avanza, di sala in sala, la moglie del presidente francese non fa troppe domande. Guarda, ascolta, annuisce, incamera statistiche, chiede di più solo quando si accorge che in una confezione di cibo per bambini c'è del-l'estratto di noccioline. La intrigano i piccoli gesti concreti, non i grandi disegni. «È frequente che i mariti aiutino le mogli infettate?». «No, signora », è la risposta pudica del medico in camice bianco. Probabilmente per l'emozione, Carla infila persino un errore di francese nel libro degli ospiti: « Bravo pour cette travail... Complimenti per questa lavoro». In pubblico ripete che oggi vuole più ascoltare che parlare, vuole imparare, capire. Non appena lascia la prima clinica a metà mattinata, un'infermiera fa il verso al suo elegante saluto, la mano che si agita oscillando con molta misura, e tutti gli altri ridono ancora lì, in piedi sulla scala d'ingresso. «È bene che scopra la realtà e quello che noi viviamo », commenta l'infermiera 28enne, Rose Tiendrebeogo.
Ma quella di Carla non è né estraneità né cinismo. La moglie del presidente sa fin troppo bene cos'è la malattia, da quando ci ha lasciato un fratello. «Il ricordo di Virginio non mi lascia — dirà più tardi, fumando una strettissima e lunghissima Vogue al mentolo —. Ma oggi ho pensato a quanto siamo stati fortunati con lui: ha sempre potuto ricevere tutte le cure. Ora voglio aiutare a togliere lo stigma della vergogna a questa malattia».
Non che Carla Bruni-Sarkozy si sia scelta un mestiere facile. Anche nei capannelli che la circondano i francesi continuano a notare che la sua pronuncia è perfetta, ma i suoi giri di frase suonano esotici. Parte della sua identità resta italiana, assieme a uno dei passaporti (una volta chiarito, non subito, che poteva tenerli entrambi). Il problema è che il governo di Roma, proprio nell'anno della presidenza del G8, rischia di essere estromesso dal «board» del Fondo globale di cui lei è ambasciatrice: in finanziaria sono stati stralciati i 130 milioni promessi e per ora non versati. «Mi spiace che l'Italia abbia scelto così — commenta Carla —. Andrò al G8 della Maddalena per sollecitare che i grandi Paesi diano l'esempio. Bisogna dare un contributo ai più deboli, anche se l'Italia con la crisi ha problemi importanti».
Non vuole commentare, Carla, sull'apparente incoerenza dell'indignazione per Eluana condita dai tagli ai fondi contro l'Aids. Ma sulla morte della ragazza sì: «La sua vicenda mi ha toccato molto. La mia opinione la tengo per me, perché c'è un dibattito aperto. In ogni caso, Eluana ha smesso di soffrire».
Non sarà mica che fra Francia e Italia la differenza è la Chiesa? «Effettivamente bisogna dividere le dimensioni — osserva, attenta come camminasse sulle mine —. Non serve a nulla dire che l'Italia non è laica. È vero: non è laica. Però ci sono altre strade che si possono percorrere per il dialogo per esempio sulla prevenzione dei virus, che non rimettono in questione le credenze. Non voglio giudicare l'Italia, so quanto conti la religione nel Paese. Il Vaticano è uno Stato nello Stato: non è in Francia, non è in Spagna. È in Italia e non è un caso».
Per una donna che studia da «Première Dame» globale, una che il marito metterebbe volentieri in concorrenza diretta con Michelle Obama, più chiaro di così non si può. Michelle ama i colori sgargianti, lei si mette in tailleur celeste per andare dal presidente del Burkina, Blaise Compaoré. Michelle saluta la folla nel gelo di Washington, lei si nasconde impaurita dal sole africano anche solo per fare cinquanta metri a piedi. Michelle ringhia da avvocato, lei legge Lola di Maupassant abbandonata nel Falcon dell'Eliseo che la riporta, finalmente, a Parigi.