Liberazione 12.2.09
Parla il docente di Terni che oggi rischia il licenziamento. «Via il crocefisso dalle scuole,è una battaglia necessaria»
di Checchino Antonini
Singolare coincidenza quella di ieri, l'ottantesimo dei patti lateranensi, per la convocazione a Viale Trastevere di un docente di Lettere di Terni che, ogni volta entra in una delle sue quattro classi, rimuove il crocifisso dalla parete, svolge la sua lezione e lo riappende dove l'aveva trovato. Ieri, assistito da Nicola Giua, dell'esecutivo nazionale dei Cobas, è stato sentito dai cinque membri del consiglio di disciplina del Cnpi, il consiglio nazionale della pubblica istruzione. Ora rischia una sanzione: «Da un giorno a un mese di sospensione, fino alla destituzione - così spiega Giua - l'ex provveditore, oggi dirigente dell'Ufficio scolastico provinciale di Terni, ha chiesto al consiglio di disciplina di stabilire l'entità della sanzione. Il consiglio, però, può emettere un parere obbligatorio ma non più vincolante». «Era una battaglia necessaria», dice a Liberazione , il "mostro" Franco Coppoli, 43 anni, che insegna lettere e storia al Casagrande, istituto professionale di stato per i servizi. «Gestire una classe di sedicenni - dice - si può fare o ricorrendo al populismo o costruendo un percorso dialettico sul medio periodo che li faccia ragionare sull'importanza dei simboli e sul pluralismo di approcci».Tutto inizia alla fine di settembre quando entrando in aula dopo quasi un mese Coppoli si accorge di un crocefisso affisso da alcuni studenti senza interpellare i docenti. Chissà chi s'era accorto della mancanza. Nelle altre tre classi non c'è traccia del controverso simbolo. Coppoli sceglie di parlare con i ragazzi della laicità degli ambienti scolastici, della «neutralità dell'aula come precondizione per insegnare e della discriminazione pesante per un laico di dover insegnare con un simbolo sulla testa, non al collo di uno di loro». Per il prof vuole essere una scelta «didattica ed etica» oltre alla denuncia di quanto possa essere discriminante per un lavoratore, sottostare a un simbolo del genere in un luogo pubblico. Dopo quel gesto iniziale, un'assemblea di studenti, a maggioranza (Coppoli esce dall'aula per non influenzare la conta), decide di ripristinare il crocifisso. Da quel momento si scatenerà il preside con circolari, diffide e un esposto. «La presenza del crocefisso in classe viene così legittimata solo dalla volontà di una parte dei ragazzi». Ci sono norme, anzi c'erano, solo per le scuole elementari e medie. Probabilmente suo malgrado, il "delegificatore" Calderoli ha abrogato il regio decreto 965 del 1924 che stabiliva le tabelle per gli arredi scolastici (crocifisso incluso) alle scuole medie. Pure un altro regio decreto del 1928 obbligava l'esposizione della bandiera in ogni edificio scolastico e la foto del re e «l'immagine del crocefisso» ma solo alle elementari. E pure in questo caso si è in via di abrogazione.«La volontà degli studenti - prosegue il docente - non funziona per l'autogestione decisa dall'assemblea degli studenti. E comunque, cosa sarebbe accaduto se avessero votato a maggioranza per mettere una svastica? Non si può delegare alla maggioranza una cosa non prevista da alcuna norma. Non è democrazia, è dittatura della maggioranza».Coppoli riferisce di un rapporto coi colleghi fatto di «confronto aperto nel rispetto delle differenti posizioni»: in un consiglio di classe straordinario ognuno s'è pronunciato ma non c'è stata nessuna delibera. Invece il consiglio d'istituto, alla presenza del preside, ha votato una mozione che chiedeva l'intervento della ministra Gelmini. E' stata redatta senza ascoltare, e senza avvisare, il "mostro" che l'ha saputo dalla stampa a cui la mozione è pervenuta dal fax della scuola. «Una mediatizzazione che ho subito», insiste il professore che ringrazia per la solidarietà e l'appoggio sia i Cobas, sia l'Uaar (atei, agnostici e razionalisti), sia Civiltà laica, un'associazione ternana. Ora è allo studio un ricorso al tribunale di Terni per far rispettare il principio di laicità e la non discriminazione dei lavoratori per motivi religiosi: «La presenza di simbolo non è neutrale. Le sentenze europee vietano - com' è accaduto a Valladolid l'anno scorso - l'esposizione del crocifisso perché rappresenta un elemento troppo forte a livello simbolico che associa stato e religione. Ma in Italia, dove non c'è più la religione di stato,ci si scontra con un indecente presenza della chiesa nella vita pubblica, politica e nella sfera privata».«Sistematiche ingerenze di cui abbiamo avuto eclatanti dimostrazioni in questi giorni con il caso di Eluana - commenta Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas - il modo decisamente migliore per "festeggiare" il concordato è affiancare il sostegno a Franco Coppoli con la partecipazione in massa del "popolo della scuola pubblica" alla manifestazione No Vat del 14 febbraio a Roma».
Parla il docente di Terni che oggi rischia il licenziamento. «Via il crocefisso dalle scuole,è una battaglia necessaria»
di Checchino Antonini
Singolare coincidenza quella di ieri, l'ottantesimo dei patti lateranensi, per la convocazione a Viale Trastevere di un docente di Lettere di Terni che, ogni volta entra in una delle sue quattro classi, rimuove il crocifisso dalla parete, svolge la sua lezione e lo riappende dove l'aveva trovato. Ieri, assistito da Nicola Giua, dell'esecutivo nazionale dei Cobas, è stato sentito dai cinque membri del consiglio di disciplina del Cnpi, il consiglio nazionale della pubblica istruzione. Ora rischia una sanzione: «Da un giorno a un mese di sospensione, fino alla destituzione - così spiega Giua - l'ex provveditore, oggi dirigente dell'Ufficio scolastico provinciale di Terni, ha chiesto al consiglio di disciplina di stabilire l'entità della sanzione. Il consiglio, però, può emettere un parere obbligatorio ma non più vincolante». «Era una battaglia necessaria», dice a Liberazione , il "mostro" Franco Coppoli, 43 anni, che insegna lettere e storia al Casagrande, istituto professionale di stato per i servizi. «Gestire una classe di sedicenni - dice - si può fare o ricorrendo al populismo o costruendo un percorso dialettico sul medio periodo che li faccia ragionare sull'importanza dei simboli e sul pluralismo di approcci».Tutto inizia alla fine di settembre quando entrando in aula dopo quasi un mese Coppoli si accorge di un crocefisso affisso da alcuni studenti senza interpellare i docenti. Chissà chi s'era accorto della mancanza. Nelle altre tre classi non c'è traccia del controverso simbolo. Coppoli sceglie di parlare con i ragazzi della laicità degli ambienti scolastici, della «neutralità dell'aula come precondizione per insegnare e della discriminazione pesante per un laico di dover insegnare con un simbolo sulla testa, non al collo di uno di loro». Per il prof vuole essere una scelta «didattica ed etica» oltre alla denuncia di quanto possa essere discriminante per un lavoratore, sottostare a un simbolo del genere in un luogo pubblico. Dopo quel gesto iniziale, un'assemblea di studenti, a maggioranza (Coppoli esce dall'aula per non influenzare la conta), decide di ripristinare il crocifisso. Da quel momento si scatenerà il preside con circolari, diffide e un esposto. «La presenza del crocefisso in classe viene così legittimata solo dalla volontà di una parte dei ragazzi». Ci sono norme, anzi c'erano, solo per le scuole elementari e medie. Probabilmente suo malgrado, il "delegificatore" Calderoli ha abrogato il regio decreto 965 del 1924 che stabiliva le tabelle per gli arredi scolastici (crocifisso incluso) alle scuole medie. Pure un altro regio decreto del 1928 obbligava l'esposizione della bandiera in ogni edificio scolastico e la foto del re e «l'immagine del crocefisso» ma solo alle elementari. E pure in questo caso si è in via di abrogazione.«La volontà degli studenti - prosegue il docente - non funziona per l'autogestione decisa dall'assemblea degli studenti. E comunque, cosa sarebbe accaduto se avessero votato a maggioranza per mettere una svastica? Non si può delegare alla maggioranza una cosa non prevista da alcuna norma. Non è democrazia, è dittatura della maggioranza».Coppoli riferisce di un rapporto coi colleghi fatto di «confronto aperto nel rispetto delle differenti posizioni»: in un consiglio di classe straordinario ognuno s'è pronunciato ma non c'è stata nessuna delibera. Invece il consiglio d'istituto, alla presenza del preside, ha votato una mozione che chiedeva l'intervento della ministra Gelmini. E' stata redatta senza ascoltare, e senza avvisare, il "mostro" che l'ha saputo dalla stampa a cui la mozione è pervenuta dal fax della scuola. «Una mediatizzazione che ho subito», insiste il professore che ringrazia per la solidarietà e l'appoggio sia i Cobas, sia l'Uaar (atei, agnostici e razionalisti), sia Civiltà laica, un'associazione ternana. Ora è allo studio un ricorso al tribunale di Terni per far rispettare il principio di laicità e la non discriminazione dei lavoratori per motivi religiosi: «La presenza di simbolo non è neutrale. Le sentenze europee vietano - com' è accaduto a Valladolid l'anno scorso - l'esposizione del crocifisso perché rappresenta un elemento troppo forte a livello simbolico che associa stato e religione. Ma in Italia, dove non c'è più la religione di stato,ci si scontra con un indecente presenza della chiesa nella vita pubblica, politica e nella sfera privata».«Sistematiche ingerenze di cui abbiamo avuto eclatanti dimostrazioni in questi giorni con il caso di Eluana - commenta Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas - il modo decisamente migliore per "festeggiare" il concordato è affiancare il sostegno a Franco Coppoli con la partecipazione in massa del "popolo della scuola pubblica" alla manifestazione No Vat del 14 febbraio a Roma».