Ecco come il Cardinale Sepe accollò ai contribuenti italiani il restauro della sede in Piazza di Spagna
di Marco Lillo e Marco Occhipinti
“Il Fatto Quotidiano”, 29 giu. 2010
Nel giorno in cui il Vaticano scende in campo per difendere la buona fama di Propaganda Fide, nuove carte dimostrano che la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, al fine di giustificare un finanziamento pubblico da 2,5 milioni elargito nel 2005 ha ripetutamente omesso di raccontare la verità agli italiani. Il Vaticano dichiarò che avrebbe usato i soldi pubblici per lavori finalizzati alla “apertura al pubblico di ambienti di grande rilievo artistico come la Cappella dei Re Magi e la biblioteca lignea del Borromini”. In realtà questi documenti svelano che lo scopo della Curia era accollare ai contribuenti il rifacimento di un palazzo nel quale era vietato l’ingresso. Altro che museo pubblico nelle stanze vaticane: il restauro faraonico per un importo di 12 milioni di euro era stato deciso anni prima a prescindere dalla “pinacoteca fantasma”. Il Fatto Quotidiano è entrato in possesso delle schede di monitoraggio del progetto finanziario del contributo elargito dalla società pubblica Arcus, vigilata dai ministeri dello spettacolo e delle infrastrutture. La scheda è controfirmata di pugno dal cardinale Crescenzio Sepe, allora Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Il finanziamento era stato accordato da Arcus sulla base di una convenzione del 23 dicembre del 2005. Ma Sepe, che aveva firmato quell’accordo, invia ad Arcus per giustificare le spese sostenute due fatture precedenti alla stipula della convenzione stessa. In calce alla scheda Sepe dichiara: “Tutte le spese relative ai documenti contabili suindicati sono state impiegate per supportare il fabbisogno finanziario del Progetto”. In realtà la prima fattura, relativa al quarto avanzamento lavori, risale al 6 ottobre del 2005, due mesi e mezzo prima della firma della convenzione per il “Progetto”, e ammonta a 310 mila e 915 euro. La seconda fattura è datata 15 dicembre 2005, otto giorni prima della stipula con Arcus, e ammonta a 305 mila e 250 euro.
Le due fatture sono state respinte al mittente con una nota manoscritta, probabilmente da un impiegato di Arcus, nella quale si legge: “Monitoraggio non andato a buon fine per quarto e quinto stato avanzamento lavori”. Nonostante il suo fallimento, il tentativo di Sepe, sembra dimostrare l’intenzione dell’ex Prefetto di coprire ex post una parte del restauro della sede della Congregazione in piazza di Spagna, considerata zona extra-territoriale. La convenzione del 23 dicembre 2005 prevedeva che i lavori, finalizzati alla realizzazione di una pinacoteca aperta al pubblico, sarebbero dovuti terminare entro il dicembre 2006. Altrimenti il contributo sarebbe stato revocato. Anche perché l’unica ragione del finanziamento di questi lavori, che interessavano solo il Vaticano, era proprio l’apertura agli italiani di una pinacoteca, della quale a distanza di 4 anni e mezzo non si vede traccia. Per comprendere quanto Propaganda Fide fosse entusiasta di aprire le sue stanze alla cittadinanza italiana è sufficiente vedere come fu trattata la Iena Filippo Roma nel febbraio scorso. Pochi giorni prima dell’esplosione dello scandalo Cricca, l’inviato osò chiedere alla Congregazione di fare un giro nella Pinacoteca realizzata con 2,5 milioni di euro dei cittadini italiani. La Iena fu allontanata in malo modo e - solo dopo un estenuante assedio - fu raggiunta (sul territorio italiano, fuori dal palazzo) dal legale della Curia. Di fronte alle telecamere l’avvocato di Propaganda Fide sostenne che non c’era nessun inadempimento perché il finanziamento ammontava a 2,5 milioni e la pinacoteca sarebbe stata aperta entro ottobre del 2010, prima del pagamento dell’ultima tranche pari a 500 mila euro. Peccato che dai documenti in nostro possesso risulta chiaramente che all’epoca la Curia aveva già percepito non due ma ben 4,5 milioni di euro. Il contributo infatti ammontava a 5 milioni, divise in due tranche uguali. La prima parte, approvata nel 2005, cioè quella che la Iena contestava al legale del Vaticano, era stata erogata completamente già nel 2007, nonostante l’assenza della Pinacoteca. Propaganda Fide e Arcus in questi anni hanno giocato sull’equivoco e nelle loro risposte pubbliche hanno sempre evitato di dire che il finanziamento pagato solo in parte (2 milioni) era la seconda tranche approvata con una seconda convenzione nel 2007. Dalla documentazione in possesso del Fatto (e ieri acquisita dalla Procura di Perugia) risulta chiaramente che il restauro dello stabile è stato avviato molto prima di entrambe le convenzioni: il 15 novembre del 2004 con la firma di un contratto da 11 milioni e 780 mila euro tra Propaganda Fide e la società Italiana Costruzioni. Quindi, prima dell’intervento di Arcus, la Curia aveva già speso 2,2 milioni di euro. Il treno del restauro è partito già da un anno quando Arcus decide di salirci sopra. E il biglietto è molto salato. Nella mail che sabato scorso abbiamo pubblicato (acquisita ieri dalla Procura di Perugia, insieme a tutto il carteggio tra Arcus e Curia) il responsabile amministrativo di Propaganda Fide, monsignor Francesco Di Muzio, indica alla responsabile del progetto di Arcus, Francesca Nannelli, le scadenze dei pagamenti in considerazione “del notevole esborso sino ad ora sostenuto dalla Congregazione per l’avanzato stato dei lavori”. La Santa Sede ieri ha emanato una nota per resistere “alle notizie che da tempo si continuano a diffondere sul conto della Congregazione”. Nel documento, infarcito di informazioni su alunni, seminaristi e missioni sparse per il mondo, il Vaticano ammette che “la valorizzazione del patrimonio può essere esposto a errori di valutazione e alle fluttuazioni del mercato internazionale”. Oltretevere si prende finalmente atto della svendita a beneficio della famiglia Lunardi di uno stabile di tre piani a due passi dal Parlamento. Il comunicato ricorda il versetto di Marco “andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo” ma non spiega per quale ragione - a causa della svendita ai Lunardi - mancano diversi milioni di euro nelle casse della Congregazione che pure avrebbero agevolato quella missione. Se c’è un legame tra i milioni spesi da Arcus e quelli risparmiati dai Lunardi, sarà la magistratura a stabilirlo.