Al Papa non basta l’ateo devoto
La Stampa del 9 settembre 2008, pag. 1
di Franco Garelli
E’molto curioso che il Papa, nella sua visita di domenica in Sardegna, abbia fortemente auspicato la nascita di «una nuova generazione di politici cattolici» proprio di fronte a un nutrito parterre di uomini politici venuti a rendergli omaggio. Chissà come avrà reagito a questo richiamo Silvio Berlusconi, che era in prima fila insieme con Gianni Letta e il governatore Soru.
Lui che oltre a qualche zia suora vanta un’educazione dai Salesiani di Milano e non perde occasione di presentarsi come il paladino della libertà di espressione della Chiesa nella nostra società; in ciò distinguendosi da una sinistra che - a suo dire - ancora vorrebbe una «chiesa del silenzio». Ma al di là della circostanza, quello dei Papa è un appello che chiama in causa molte forze politiche. Anzitutto i cattolici di tutti gli schieramenti, che possono sentirsi come una pattuglia troppo residuale o marginale per rappresentare politicamente i valori cristiani nella società pluralistica. Inoltre, tutte quelle forze politiche (tra cui anche la Lega Nord) che, pur caratterizzate da un’anima tendenzialmente laica e secolarizzata, da tempo rivalutano la fede della tradizione per rinforzare le basi della nazione e per arginare la presenza di nuove culture e fedi religiose. Infine, anche quel Partito democratico la cui costola cattolica sembra alla Chiesa troppo debole per emergere nel confronto tra ispirazioni diverse ed eterogenee.
In sintesi, nell’auspicare il rinnovamento della classe dirigente cattolica il Papa sembra guardare «altrove» rispetto alle forze politiche esistenti, «oltre» la distinzione di campo tra destra e sinistra. Preoccupata del debole apporto dei cattolici alla vita politica, la Chiesa lancia lo slogan «giovani politici cattolici cercansi». Ma l’auspicio è per una nuova generazione di laici cristiani «capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile». In un altro passo del discorso di Cagliari, il Papa lamenta i troppi divorzi e lacerazioni che travagliano le famiglie, segno di una mentalità troppo compromessa col mondo che coinvolge anche i politici che pur appoggiano l’azione della Chiesa nella società.
La novità di questa posizione del Papa è evidente, dopo anni in cui la Chiesa ha apprezzato l’azione positiva nei suoi confronti da parte di forze politiche attente ai valori cristiani più per tradizione che per convinzione. Come a dire che la Chiesa non si accontenta di questi appoggi esterni da parte di forze politiche intrinsecamente laiche, ma rivendica l’importanza della presenza in politica dei credenti più impegnati. Gli atei devoti possono dare un contributo alla causa cristiana, ma non sostituiscono affatto i credenti attivi e convinti nel loro impegno nel governo delle realtà terrene. C’è una sensibilità cattolica distintiva che deve emergere anche in campo politico, capace di meglio rappresentare la visione della realtà tipica del cattolicesimo. Già Paolo VI diceva che l’impegno in politica è una delle forme più alte di carità cristiana.
Resta da chiedersi se quello del Papa sia un generico appello ai credenti a impegnarsi nuovamente nelle scelte politiche, oppure un richiamo che alimenta e fa leva su un’effettiva mobilitazione delle forze cattoliche in questo campo. In altri termini, di quante «divisioni» può contare oggi il cattolicesimo italiano per una nuova presenza in politica? La risposta non può che essere incerta e controversa. Tra i credenti più attivi il legame con la politica si è affievolito nel tempo, anche a seguito di Tangentopoli e dintorni e della crisi vissuta dalla Democrazia cristiana. Molti cattolici hanno sostituito l’impegno politico con quello nel volontariato, dedicandosi anche alle molte attività formative e organizzative degli ambienti ecclesiali. L’associazionismo cattolico manifesta ancora un’indubbia vivacità, ma - con poche eccezioni - non risulta propenso a orientare i propri membri ad assumersi delle responsabilità politiche. Oltre a ciò, la crisi degli Ordini e delle Congregazioni religiose, soprattutto dei Gesuiti, ha privato il campo cattolico di quei luoghi formativi preposti nel passato alla formazione della classe dirigente. Anche le forze e i partitini politici di ispirazione cattolica esercitano un debole appeal sulle nuove generazioni, palesando un deficit di ricambio preoccupante. L’appello di papa Ratzinger per far nascere una nuova generazione di politici cattolici può dunque creare del movimento nel cattolicesimo organizzato e contribuire a rinnovare la classe politica italiana; anche se la base cattolica non sembra ancora pronta per la sfida su un terreno così impegnativo che richiede nuove elaborazioni e un più forte coraggio.
La Stampa del 9 settembre 2008, pag. 1
di Franco Garelli
E’molto curioso che il Papa, nella sua visita di domenica in Sardegna, abbia fortemente auspicato la nascita di «una nuova generazione di politici cattolici» proprio di fronte a un nutrito parterre di uomini politici venuti a rendergli omaggio. Chissà come avrà reagito a questo richiamo Silvio Berlusconi, che era in prima fila insieme con Gianni Letta e il governatore Soru.
Lui che oltre a qualche zia suora vanta un’educazione dai Salesiani di Milano e non perde occasione di presentarsi come il paladino della libertà di espressione della Chiesa nella nostra società; in ciò distinguendosi da una sinistra che - a suo dire - ancora vorrebbe una «chiesa del silenzio». Ma al di là della circostanza, quello dei Papa è un appello che chiama in causa molte forze politiche. Anzitutto i cattolici di tutti gli schieramenti, che possono sentirsi come una pattuglia troppo residuale o marginale per rappresentare politicamente i valori cristiani nella società pluralistica. Inoltre, tutte quelle forze politiche (tra cui anche la Lega Nord) che, pur caratterizzate da un’anima tendenzialmente laica e secolarizzata, da tempo rivalutano la fede della tradizione per rinforzare le basi della nazione e per arginare la presenza di nuove culture e fedi religiose. Infine, anche quel Partito democratico la cui costola cattolica sembra alla Chiesa troppo debole per emergere nel confronto tra ispirazioni diverse ed eterogenee.
In sintesi, nell’auspicare il rinnovamento della classe dirigente cattolica il Papa sembra guardare «altrove» rispetto alle forze politiche esistenti, «oltre» la distinzione di campo tra destra e sinistra. Preoccupata del debole apporto dei cattolici alla vita politica, la Chiesa lancia lo slogan «giovani politici cattolici cercansi». Ma l’auspicio è per una nuova generazione di laici cristiani «capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile». In un altro passo del discorso di Cagliari, il Papa lamenta i troppi divorzi e lacerazioni che travagliano le famiglie, segno di una mentalità troppo compromessa col mondo che coinvolge anche i politici che pur appoggiano l’azione della Chiesa nella società.
La novità di questa posizione del Papa è evidente, dopo anni in cui la Chiesa ha apprezzato l’azione positiva nei suoi confronti da parte di forze politiche attente ai valori cristiani più per tradizione che per convinzione. Come a dire che la Chiesa non si accontenta di questi appoggi esterni da parte di forze politiche intrinsecamente laiche, ma rivendica l’importanza della presenza in politica dei credenti più impegnati. Gli atei devoti possono dare un contributo alla causa cristiana, ma non sostituiscono affatto i credenti attivi e convinti nel loro impegno nel governo delle realtà terrene. C’è una sensibilità cattolica distintiva che deve emergere anche in campo politico, capace di meglio rappresentare la visione della realtà tipica del cattolicesimo. Già Paolo VI diceva che l’impegno in politica è una delle forme più alte di carità cristiana.
Resta da chiedersi se quello del Papa sia un generico appello ai credenti a impegnarsi nuovamente nelle scelte politiche, oppure un richiamo che alimenta e fa leva su un’effettiva mobilitazione delle forze cattoliche in questo campo. In altri termini, di quante «divisioni» può contare oggi il cattolicesimo italiano per una nuova presenza in politica? La risposta non può che essere incerta e controversa. Tra i credenti più attivi il legame con la politica si è affievolito nel tempo, anche a seguito di Tangentopoli e dintorni e della crisi vissuta dalla Democrazia cristiana. Molti cattolici hanno sostituito l’impegno politico con quello nel volontariato, dedicandosi anche alle molte attività formative e organizzative degli ambienti ecclesiali. L’associazionismo cattolico manifesta ancora un’indubbia vivacità, ma - con poche eccezioni - non risulta propenso a orientare i propri membri ad assumersi delle responsabilità politiche. Oltre a ciò, la crisi degli Ordini e delle Congregazioni religiose, soprattutto dei Gesuiti, ha privato il campo cattolico di quei luoghi formativi preposti nel passato alla formazione della classe dirigente. Anche le forze e i partitini politici di ispirazione cattolica esercitano un debole appeal sulle nuove generazioni, palesando un deficit di ricambio preoccupante. L’appello di papa Ratzinger per far nascere una nuova generazione di politici cattolici può dunque creare del movimento nel cattolicesimo organizzato e contribuire a rinnovare la classe politica italiana; anche se la base cattolica non sembra ancora pronta per la sfida su un terreno così impegnativo che richiede nuove elaborazioni e un più forte coraggio.