La zona grigia della laicità
Le nuove ragioni del socialismo del 1 settembre 2008, pag. 2
di Laura Landolfi
Questa volta a prendere posizione sul tema della laicità è sì una chiesa, ma quella valdese. Nei giorni scorsi la «moderatora» della Tavola Valdese, Maria Bonafede, aveva espresso molte preoccupazioni sull’arretramento di quel valore fondamentale che è la laicità dello Stato.
Un intervento ancora più deciso (questa volta sull’eutanasia) è venuto dal pastore Paolo Ribet, durante il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste del 25 agosto scorso: «Ascoltiamo il grido muto di Eluana Englaro che chiede di essere lasciata andar via» aveva affermato il presidente della Fondazione del centro culturale valdese.
Con due (tragici) episodi, infatti il tema della "dolce morte", dopo il caso Englaro, è venuto di nuovo, e con prepotenza, alla ribalta. Prima la morte di Remy Salvat. Affetto da una rara malattia degenerativa il giovane francese si è suicidato il 10 agosto scorso dopo aver inutilmente chiesto a Nicolas Sarkozy il "permesso" di morire, come testimonia una registrazione lasciata alla madre. («Per ragioni filosofiche personali, credo che nessuno debba poter decidere di interrompere volontariamente una vita» è stata la risposta del presidente). Poi le dichiarazioni sulla presunta iniezione di morfina che avrebbe posto fine alle sofferenze di Oriana Fallaci rilasciate dalla sorella Paola a Sky tv.
Se in Francia i popolari intraprendono viaggi di studio in Inghilterra e nei Paesi Bassi ( dove dal 2000 è in vigore una legge che legalizza l’eutanasia e il suicidio assistito) per stilare un rapporto sull’eutanasia da consegnare nel mese di novembre, su questi temi l’Italia sembra ancora lontana dagli altri paesi europei.
Eppure i francesi una legge in materia ce l’hanno già: è la legge Leonetti del 2005 che concede il diritto a "lasciar morire" ma non all’eutanasia attiva. Il "lasciar morire" può significare interrompere la somministrazione di liquidi e cibo, come anche consentire la somministrazione, da parte dei medici, di trattamenti antidolore che possono avere «per effetto secondario quello di abbreviare la vita». Insomma in Francia sia nel caso della Fallaci che in quello di Eluana Englaro non si parlerebbe di eutanasia. Non così in Italia dove una legge è ancora lontana da venire nonostante il ddl per il testamento biologico sottoscritto da 101 senatori del Pd che vede come primo firmatario Ignazio Marino. In questo vuoto legislativo degna di nota è la dichiarazione fatta alla Stampa da Francesco Matera amministratore delegato dell’istituto Santa Chiara di Firenze, dove la Fallaci venne ricoverata, secondo il quale non si sarebbe assolutamente fatto ricorso all’eutanasia: «ricordo perfettamente quelle ore drammatiche, le abbiamo somministrato dei farmaci per alleviare il dolore, come la morfina o altri antidolorifici, nei casi dei malati terminali è una pratica normalissima». Qual è allora il confine che separa il ricorso a questi farmaci che potrebbero accelerare la morte naturale di malati terminali dall’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione (decretato dalla Corte di Cassazione) che tiene in vita Eluana Englaro?
Per alcuni nel primo caso non si tratterebbe di eutanasia. Siamo però in una "zona grigia" che è ancora tabù. Il nocciolo della questione, risiederebbe nell’autodeterminazione sancita dal testamento biologico che di questa determinazione è l’estensione: in sostanza con una semplice firma tanti malati come Eluana potrebbero scegliere il proprio destino. Non una battaglia puramente etica dunque, ma un atto concreto per decidere della propria vita.
La questione continua a creare spaccature sia a destra che a sinistra. Se al Senato il partito democratico (non così i radicali che con l’Associazione Luca Coscioni continuano a battersi per il diritto all’eutanasia) non ha partecipato al voto sul conflitto di attribuzione tra Parlamento e Cassazione sul caso Englaro (un’ipotetica invasione di campo da parte del potere giudiziario in quello legislativo), alla Festa dell’Unità di Firenze si organizza un incontro che vede fronteggiarsi le due anime del Pd: Ignazio Marino e Paola Binetti. Non va meglio nella maggioranza che, pur avendo ottenuto il voto desiderato, ha visto l’ala laica rappresentata da Benedetto Della Vedova, e che conta tra le sue fila anche il medico personale del Premier Umberto Scapagnini, presentare una mozione per rilanciare la ratifica della convenzione di Oviedo sull’esercizio della libertà terapeutica, da ben sette anni in attesa di attuazione.
Intanto Margherita Boniver è in procinto di compilare il proprio testamento biologico e Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori del Pdl, cerca una« soluzione, per il testamento biologico, che trovi insieme laici e cattolici». Insomma, sui temi etici, l’imbarazzo è bipartisan.
Ma non si fa un passo avanti.
Le nuove ragioni del socialismo del 1 settembre 2008, pag. 2
di Laura Landolfi
Questa volta a prendere posizione sul tema della laicità è sì una chiesa, ma quella valdese. Nei giorni scorsi la «moderatora» della Tavola Valdese, Maria Bonafede, aveva espresso molte preoccupazioni sull’arretramento di quel valore fondamentale che è la laicità dello Stato.
Un intervento ancora più deciso (questa volta sull’eutanasia) è venuto dal pastore Paolo Ribet, durante il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste del 25 agosto scorso: «Ascoltiamo il grido muto di Eluana Englaro che chiede di essere lasciata andar via» aveva affermato il presidente della Fondazione del centro culturale valdese.
Con due (tragici) episodi, infatti il tema della "dolce morte", dopo il caso Englaro, è venuto di nuovo, e con prepotenza, alla ribalta. Prima la morte di Remy Salvat. Affetto da una rara malattia degenerativa il giovane francese si è suicidato il 10 agosto scorso dopo aver inutilmente chiesto a Nicolas Sarkozy il "permesso" di morire, come testimonia una registrazione lasciata alla madre. («Per ragioni filosofiche personali, credo che nessuno debba poter decidere di interrompere volontariamente una vita» è stata la risposta del presidente). Poi le dichiarazioni sulla presunta iniezione di morfina che avrebbe posto fine alle sofferenze di Oriana Fallaci rilasciate dalla sorella Paola a Sky tv.
Se in Francia i popolari intraprendono viaggi di studio in Inghilterra e nei Paesi Bassi ( dove dal 2000 è in vigore una legge che legalizza l’eutanasia e il suicidio assistito) per stilare un rapporto sull’eutanasia da consegnare nel mese di novembre, su questi temi l’Italia sembra ancora lontana dagli altri paesi europei.
Eppure i francesi una legge in materia ce l’hanno già: è la legge Leonetti del 2005 che concede il diritto a "lasciar morire" ma non all’eutanasia attiva. Il "lasciar morire" può significare interrompere la somministrazione di liquidi e cibo, come anche consentire la somministrazione, da parte dei medici, di trattamenti antidolore che possono avere «per effetto secondario quello di abbreviare la vita». Insomma in Francia sia nel caso della Fallaci che in quello di Eluana Englaro non si parlerebbe di eutanasia. Non così in Italia dove una legge è ancora lontana da venire nonostante il ddl per il testamento biologico sottoscritto da 101 senatori del Pd che vede come primo firmatario Ignazio Marino. In questo vuoto legislativo degna di nota è la dichiarazione fatta alla Stampa da Francesco Matera amministratore delegato dell’istituto Santa Chiara di Firenze, dove la Fallaci venne ricoverata, secondo il quale non si sarebbe assolutamente fatto ricorso all’eutanasia: «ricordo perfettamente quelle ore drammatiche, le abbiamo somministrato dei farmaci per alleviare il dolore, come la morfina o altri antidolorifici, nei casi dei malati terminali è una pratica normalissima». Qual è allora il confine che separa il ricorso a questi farmaci che potrebbero accelerare la morte naturale di malati terminali dall’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione (decretato dalla Corte di Cassazione) che tiene in vita Eluana Englaro?
Per alcuni nel primo caso non si tratterebbe di eutanasia. Siamo però in una "zona grigia" che è ancora tabù. Il nocciolo della questione, risiederebbe nell’autodeterminazione sancita dal testamento biologico che di questa determinazione è l’estensione: in sostanza con una semplice firma tanti malati come Eluana potrebbero scegliere il proprio destino. Non una battaglia puramente etica dunque, ma un atto concreto per decidere della propria vita.
La questione continua a creare spaccature sia a destra che a sinistra. Se al Senato il partito democratico (non così i radicali che con l’Associazione Luca Coscioni continuano a battersi per il diritto all’eutanasia) non ha partecipato al voto sul conflitto di attribuzione tra Parlamento e Cassazione sul caso Englaro (un’ipotetica invasione di campo da parte del potere giudiziario in quello legislativo), alla Festa dell’Unità di Firenze si organizza un incontro che vede fronteggiarsi le due anime del Pd: Ignazio Marino e Paola Binetti. Non va meglio nella maggioranza che, pur avendo ottenuto il voto desiderato, ha visto l’ala laica rappresentata da Benedetto Della Vedova, e che conta tra le sue fila anche il medico personale del Premier Umberto Scapagnini, presentare una mozione per rilanciare la ratifica della convenzione di Oviedo sull’esercizio della libertà terapeutica, da ben sette anni in attesa di attuazione.
Intanto Margherita Boniver è in procinto di compilare il proprio testamento biologico e Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori del Pdl, cerca una« soluzione, per il testamento biologico, che trovi insieme laici e cattolici». Insomma, sui temi etici, l’imbarazzo è bipartisan.
Ma non si fa un passo avanti.