l’Unità 7.9.08
Donne e Sharia. La notte dei diritti negati
Matrimoni forzati e lapidazioni. Aumentano i delitti d’onore
In Arabia Saudita un milione e mezzo di schiave
di Umberto De Giovannageli
Le drammatiche cifre della condizione femminile nei rapporti di Amnesty e Human Right Watch
Almeno dodicimila i casi di bambine date in spose a uomini dell’età dei loro padri o nonni
LE CIFRE DELL’INFERNO:
1.500.000 sono le donne, in maggioranza asiatiche, ridotte a una condizione di schiavitù in Arabia Saudita. Costrette a orari di lavoro massacranti, sottopagate, spesso violentate, quando «osano» ribellarsi vengono incarcerate e condannate alla fustigazione.
8 sono i paesi islamici in cui l'adulterio da parte della donna è punibile con la pena di morte mediante lapidazione.
12.000 è un calcolo per difetto del numero delle spose bambine costrette a unirsi a uomini che possono essere loro padri o nonni.
12.500 nel solo kurdistan iracheno, è il numero di donne vittime di «delitti d'onore» tra il 1991 e il 2007. Un fenomeno che investe la maggior parte dei Paesi arabi.
In nome della Sharia sono esposte a matrimoni forzati, carcere o pena di morte in caso di stupro. In nome dell'Islam che si fa Legge negano alla donna il diritto di scegliersi il marito e di divorziare; ribadiscono il diritto maschile alla poligamia e al ripudio; sanciscono la disparità in tema di eredità; rifiutano alle donne il diritto alla custodia dei figli in caso di divorzio. In nome di una visione sessuofobia e asfissiante dell'Islam, spesso subordinano la libertà di movimento della donna e il suo accesso al lavoro salariato all'autorizzazione del marito o del padre. Infine si occupano, invadendola, della vita sessuale delle donne, e in alcuni Stati (8) dove vige la «dittatura della Sharia», i rapporti fuori dal matrimonio sono puniti con la pena di morte mediante lapidazione. È la condizione della donna nel mondo islamico. Disperante. Disperata. Una realtà contro la quale donne coraggiose, in Iraq, Egitto, Giordania, Iran, si sono ribellate rivendicando una via di uscita nel principio della separazione tra religione e diritti civili. Un esercito di schiave - oltre 1 milione e mezzo - in Arabia Saudita. I delitti «d'onore» aumentati del 27% rispetto al 2007; la crescita considerevole, calcolabile in decine di migliaia di casi, dell'utilizzo della Sharia (la legge islamica) per legittimare che una ragazza possa essere chiesta in sposa dal momento della prima mestruazione. Sono dati che l'Unità ha estrapolato da recenti, e dettagliati rapporti delle più importanti organizzazioni umanitarie, da Human Right Watch (HRW) ad Amnesty International.
Nei Paesi in cui vige la legge islamica, le spose bambine sono una realtà diffusa. Una realtà che si vorrebbe oscurare da parte dei regimi teocratici ma che, nonostante la censura imposta agli organi di informazione, prende corpo attraverso coraggiosi e coraggiose blogger. Ebbene, in un conto in difetto, sono almeno dodicimila i casi di donne bambine date in spose a uomini che potevano essere i loro padri o i loro nonni. Violentate e sfruttate. Emblematico, e agghiacciante, è il racconto che Khadija al Salami, una giovane yemenita data in sposa a undici anni, fa nel suo libro «The Tears of Sheba». Khadija narra la «prova» che dovette subire, a 11 anni, per dimostrare la sua verginità: «Ahmed (il marito imposto, di quarant'anni più vecchio, ndr.) mi balzò addosso come un gatto. Facendo scivolare la mano tra le mie gambe, si spinse nella mia vagina con le dita, poi si ritrasse. Il sangue che aveva sulla punta della dita sembrò soddisfarlo, lo strofinò su un fazzoletto bianco che aveva in tasca. Se ne andò lasciandomi urlante sul letto». Spesso costrette a lavorare per quattordici ore di fila, sette giorni su sette, per poi vedersi rifiutato il salario e, se protestano, incarcerate e condannate a sessanta-settanta frustrate prima di essere rispedite nei Paesi di origine: è ciò che avviene in Arabia Saudita: nel suo ultimo rapporto, HRW ha documentato venticinque casi di donne, in maggior parte filippine, chiamate in Arabia Saudita per svolgere lavori domestici, e dentro le mura domestiche vessate, picchiate, in dodici dei venticinque casi documentati, violentate. Dove la Sharia è Legge di Stato, la donna è, sul piano dei diritti, una paria. Se vuole divorziare, la donna deve recarsi in tribunale e dimostrare che il marito non provvede alle sue esigenze materiali, che non è fertile e che è impotente. Una volta sancito il divorzio, la custodia dei bambini viene assegnata automaticamente al padre (per i figli maschi di almeno 7 anni e per le figlie femmine già nel periodo mestruale). Per quanto riguarda le eredità, la Sharia prevede che la moglie riceva solo una piccola parte della proprietà del marito e che le figlie femmine ricevano la metà di quanto spetta ai fratelli maschi. Il ripudio continua ad essere un diritto esclusivo del marito e rappresenta anche la causa principale di divorzio in Marocco, Algeria, Iran, Yemen, Arabia Saudita. Un'altra piaga diffusa e scioccante è quella dei «delitti d'onore». Per dar conto della dimensione di questo fenomeno, basta un dato che riguarda il solo Kurdistan iracheno: dal 1991 al 2007, 12.500 donne sono state assassinate per motivi di «onore» o si sono suicidate nelle tre province curde, 435 nei primi sei mesi del 2008. La maggior parte di quei delitti è rimasta impunita. Storie di «ordinaria criminalità» nei confronti di donne nelle società islamiche: storie di atrocità rimaste impunite. Come quello, riportato dal sito on-line della tv saudita al Arabiya, consumato nei giorni scorsi in Pakistan: «Cinque donne sono state sepolte vive dagli abitanti di un villaggio sperduto nella frazione di Jaafarabad nella provincia di Belugistan» a sud ovest del Paese asiatico. Secondo quanto scrive il sito web dell'emittente araba, che riporta la denuncia del deputato pachistano Sardar Asrarallah «le donne accusate di avere leso all'onorabilità della tribù erano: tre adolescenti tra le 16 e 18 anni che sfidando le tradizioni vigenti avevano espresso il desiderio di scegliere liberamente il compagno della loro vita». Due «signore che avevano osato di difendere le tre ragazze - scrive al Arabiya - sono state sepolte assieme alle altre, mentre erano ancora in vita». Il deputato, portando all'attenzione del Parlamento di Islamabad, ha denunciato che «nessun arresto è stato effettuato dalla polizia locale».
Donne e Sharia. La notte dei diritti negati
Matrimoni forzati e lapidazioni. Aumentano i delitti d’onore
In Arabia Saudita un milione e mezzo di schiave
di Umberto De Giovannageli
Le drammatiche cifre della condizione femminile nei rapporti di Amnesty e Human Right Watch
Almeno dodicimila i casi di bambine date in spose a uomini dell’età dei loro padri o nonni
LE CIFRE DELL’INFERNO:
1.500.000 sono le donne, in maggioranza asiatiche, ridotte a una condizione di schiavitù in Arabia Saudita. Costrette a orari di lavoro massacranti, sottopagate, spesso violentate, quando «osano» ribellarsi vengono incarcerate e condannate alla fustigazione.
8 sono i paesi islamici in cui l'adulterio da parte della donna è punibile con la pena di morte mediante lapidazione.
12.000 è un calcolo per difetto del numero delle spose bambine costrette a unirsi a uomini che possono essere loro padri o nonni.
12.500 nel solo kurdistan iracheno, è il numero di donne vittime di «delitti d'onore» tra il 1991 e il 2007. Un fenomeno che investe la maggior parte dei Paesi arabi.
In nome della Sharia sono esposte a matrimoni forzati, carcere o pena di morte in caso di stupro. In nome dell'Islam che si fa Legge negano alla donna il diritto di scegliersi il marito e di divorziare; ribadiscono il diritto maschile alla poligamia e al ripudio; sanciscono la disparità in tema di eredità; rifiutano alle donne il diritto alla custodia dei figli in caso di divorzio. In nome di una visione sessuofobia e asfissiante dell'Islam, spesso subordinano la libertà di movimento della donna e il suo accesso al lavoro salariato all'autorizzazione del marito o del padre. Infine si occupano, invadendola, della vita sessuale delle donne, e in alcuni Stati (8) dove vige la «dittatura della Sharia», i rapporti fuori dal matrimonio sono puniti con la pena di morte mediante lapidazione. È la condizione della donna nel mondo islamico. Disperante. Disperata. Una realtà contro la quale donne coraggiose, in Iraq, Egitto, Giordania, Iran, si sono ribellate rivendicando una via di uscita nel principio della separazione tra religione e diritti civili. Un esercito di schiave - oltre 1 milione e mezzo - in Arabia Saudita. I delitti «d'onore» aumentati del 27% rispetto al 2007; la crescita considerevole, calcolabile in decine di migliaia di casi, dell'utilizzo della Sharia (la legge islamica) per legittimare che una ragazza possa essere chiesta in sposa dal momento della prima mestruazione. Sono dati che l'Unità ha estrapolato da recenti, e dettagliati rapporti delle più importanti organizzazioni umanitarie, da Human Right Watch (HRW) ad Amnesty International.
Nei Paesi in cui vige la legge islamica, le spose bambine sono una realtà diffusa. Una realtà che si vorrebbe oscurare da parte dei regimi teocratici ma che, nonostante la censura imposta agli organi di informazione, prende corpo attraverso coraggiosi e coraggiose blogger. Ebbene, in un conto in difetto, sono almeno dodicimila i casi di donne bambine date in spose a uomini che potevano essere i loro padri o i loro nonni. Violentate e sfruttate. Emblematico, e agghiacciante, è il racconto che Khadija al Salami, una giovane yemenita data in sposa a undici anni, fa nel suo libro «The Tears of Sheba». Khadija narra la «prova» che dovette subire, a 11 anni, per dimostrare la sua verginità: «Ahmed (il marito imposto, di quarant'anni più vecchio, ndr.) mi balzò addosso come un gatto. Facendo scivolare la mano tra le mie gambe, si spinse nella mia vagina con le dita, poi si ritrasse. Il sangue che aveva sulla punta della dita sembrò soddisfarlo, lo strofinò su un fazzoletto bianco che aveva in tasca. Se ne andò lasciandomi urlante sul letto». Spesso costrette a lavorare per quattordici ore di fila, sette giorni su sette, per poi vedersi rifiutato il salario e, se protestano, incarcerate e condannate a sessanta-settanta frustrate prima di essere rispedite nei Paesi di origine: è ciò che avviene in Arabia Saudita: nel suo ultimo rapporto, HRW ha documentato venticinque casi di donne, in maggior parte filippine, chiamate in Arabia Saudita per svolgere lavori domestici, e dentro le mura domestiche vessate, picchiate, in dodici dei venticinque casi documentati, violentate. Dove la Sharia è Legge di Stato, la donna è, sul piano dei diritti, una paria. Se vuole divorziare, la donna deve recarsi in tribunale e dimostrare che il marito non provvede alle sue esigenze materiali, che non è fertile e che è impotente. Una volta sancito il divorzio, la custodia dei bambini viene assegnata automaticamente al padre (per i figli maschi di almeno 7 anni e per le figlie femmine già nel periodo mestruale). Per quanto riguarda le eredità, la Sharia prevede che la moglie riceva solo una piccola parte della proprietà del marito e che le figlie femmine ricevano la metà di quanto spetta ai fratelli maschi. Il ripudio continua ad essere un diritto esclusivo del marito e rappresenta anche la causa principale di divorzio in Marocco, Algeria, Iran, Yemen, Arabia Saudita. Un'altra piaga diffusa e scioccante è quella dei «delitti d'onore». Per dar conto della dimensione di questo fenomeno, basta un dato che riguarda il solo Kurdistan iracheno: dal 1991 al 2007, 12.500 donne sono state assassinate per motivi di «onore» o si sono suicidate nelle tre province curde, 435 nei primi sei mesi del 2008. La maggior parte di quei delitti è rimasta impunita. Storie di «ordinaria criminalità» nei confronti di donne nelle società islamiche: storie di atrocità rimaste impunite. Come quello, riportato dal sito on-line della tv saudita al Arabiya, consumato nei giorni scorsi in Pakistan: «Cinque donne sono state sepolte vive dagli abitanti di un villaggio sperduto nella frazione di Jaafarabad nella provincia di Belugistan» a sud ovest del Paese asiatico. Secondo quanto scrive il sito web dell'emittente araba, che riporta la denuncia del deputato pachistano Sardar Asrarallah «le donne accusate di avere leso all'onorabilità della tribù erano: tre adolescenti tra le 16 e 18 anni che sfidando le tradizioni vigenti avevano espresso il desiderio di scegliere liberamente il compagno della loro vita». Due «signore che avevano osato di difendere le tre ragazze - scrive al Arabiya - sono state sepolte assieme alle altre, mentre erano ancora in vita». Il deputato, portando all'attenzione del Parlamento di Islamabad, ha denunciato che «nessun arresto è stato effettuato dalla polizia locale».