Corriere della Sera 17.4.09
Funerali di Stato e laicità. I riti del lutto collettivo
Risponde Sergio Romano
Ricordo che l’articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana dice testualmente: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Le chiedo quindi: a chi spettava la decisione di far celebrare i funerali di Stato delle vittime del sisma dell’Aquila al cardinale Tarcisio Bertone? La decisione viola palesemente l’articolo 3, impedendo che tutti i cittadini possano sentirsi parimenti rappresentati come si conviene a uno Stato effettivamente laico. La scelta, al contrario, ne privilegia alcuni e ne discrimina molti altri. I funerali di Stato devono essere laici e, a seguito di questi, ogni famiglia può decidere se e come celebrare un rito che soddisfi la propria fede, religiosa o laica che sia. Dato il ripetersi gravissimo di queste imposizioni tutt’altro che democratiche, sarebbe il caso che si avesse il coraggio di modificare davvero quella Costituzione partendo proprio dall’articolo 3 e accettando la realtà che vede il nostro come uno Stato confessionale che non considera affatto i cittadini tutti uguali, perché alcuni sono più uguali di altri.
Enrico Bonfatti
Caro Bonfatti,
Potrei risponderle che l’Italia è stata laica soltanto per qualche decennio fra l’Unità e il 1929, vale a dire negli anni in cui gli uomini pubblici sfidavano la scomunica pur di restare fedeli all’indipendenza dello Stato che stavano costruendo. Non è più laica dal momento in cui, nel 1929, firmò con la Santa Sede un trattato (il Concordato) che garantisce alla Chiesa un ruolo privilegiato nella società nazionale e le affida alcune funzioni ufficiali. Da allora, il problema italiano non è la separazione fra Stato e Chiesa, ormai impossibile, ma il rapporto di forze tra i due firmatari del Trattato. Vi è stato un periodo, durante il fascismo, quando lo Stato poté usare la Chiesa, entro certi limiti, per rafforzare se stesso e conquistare maggiore consenso. Vi è stato un secondo periodo, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando la Chiesa di Pio XII cercò di fare dello Stato, nelle questioni etiche, l’esecutore della sua volontà.
Vi è stato un terzo periodo, fra gli anni Sessanta e Ottanta, quando la società strappò ai governi alcuni diritti che la Chiesa considerava contrari ai suoi insegnamenti. E stiamo attraversando una fase, infine, in cui la politica, chiunque governi, è troppo debole per resistere alle offensive della Chiesa nelle questioni a cui questa attribuisce grande importanza.
Detto questo, caro Bonfatti, è difficile immaginare che l’Italia, anche senza i vincoli del Concordato, possa essere laica nel senso che lei sembra attribuire alla parola. Il cristianesimo romano, per noi, non è soltanto una religione. È la forma concretamente assunta, nel corso dei secoli, dalla spiritualità italiana. È il titolare dei riti e delle liturgie con cui scandiamo la nostra vita quotidiana e celebriamo i momenti fondamentali dell’esistenza. Vi è una parte della società italiana che ha cercato di elaborare liturgie alternative a cui ciascuno di noi può liberamente ricorrere. Ma temo che un grande funerale laico nella piazza d’Armi dell’Aquila per le vittime del terremoto sarebbe stato una ridicola scopiazzatura e non avrebbe soddisfatto nemmeno i molti agnostici che hanno partecipato alla messa del cardinale Bertone. È possibile essere laici e liberali senza ignorare i sentimenti e le tradizioni della maggior parte della società in cui viviamo. La Francia, ad esempio, è probabilmente lo Stato più laico d’Europa. Ma la prima cerimonia a cui il generale de Gaulle prese parte dopo la liberazione di Parigi nel 1944 fu un solenne Te Deum nella cattedrale di Notre Dame. E a nessuno venne in mente che la Francia stesse rinunciando al principio della separazione tra lo Stato e la Chiesa.
Funerali di Stato e laicità. I riti del lutto collettivo
Risponde Sergio Romano
Ricordo che l’articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana dice testualmente: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Le chiedo quindi: a chi spettava la decisione di far celebrare i funerali di Stato delle vittime del sisma dell’Aquila al cardinale Tarcisio Bertone? La decisione viola palesemente l’articolo 3, impedendo che tutti i cittadini possano sentirsi parimenti rappresentati come si conviene a uno Stato effettivamente laico. La scelta, al contrario, ne privilegia alcuni e ne discrimina molti altri. I funerali di Stato devono essere laici e, a seguito di questi, ogni famiglia può decidere se e come celebrare un rito che soddisfi la propria fede, religiosa o laica che sia. Dato il ripetersi gravissimo di queste imposizioni tutt’altro che democratiche, sarebbe il caso che si avesse il coraggio di modificare davvero quella Costituzione partendo proprio dall’articolo 3 e accettando la realtà che vede il nostro come uno Stato confessionale che non considera affatto i cittadini tutti uguali, perché alcuni sono più uguali di altri.
Enrico Bonfatti
Caro Bonfatti,
Potrei risponderle che l’Italia è stata laica soltanto per qualche decennio fra l’Unità e il 1929, vale a dire negli anni in cui gli uomini pubblici sfidavano la scomunica pur di restare fedeli all’indipendenza dello Stato che stavano costruendo. Non è più laica dal momento in cui, nel 1929, firmò con la Santa Sede un trattato (il Concordato) che garantisce alla Chiesa un ruolo privilegiato nella società nazionale e le affida alcune funzioni ufficiali. Da allora, il problema italiano non è la separazione fra Stato e Chiesa, ormai impossibile, ma il rapporto di forze tra i due firmatari del Trattato. Vi è stato un periodo, durante il fascismo, quando lo Stato poté usare la Chiesa, entro certi limiti, per rafforzare se stesso e conquistare maggiore consenso. Vi è stato un secondo periodo, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando la Chiesa di Pio XII cercò di fare dello Stato, nelle questioni etiche, l’esecutore della sua volontà.
Vi è stato un terzo periodo, fra gli anni Sessanta e Ottanta, quando la società strappò ai governi alcuni diritti che la Chiesa considerava contrari ai suoi insegnamenti. E stiamo attraversando una fase, infine, in cui la politica, chiunque governi, è troppo debole per resistere alle offensive della Chiesa nelle questioni a cui questa attribuisce grande importanza.
Detto questo, caro Bonfatti, è difficile immaginare che l’Italia, anche senza i vincoli del Concordato, possa essere laica nel senso che lei sembra attribuire alla parola. Il cristianesimo romano, per noi, non è soltanto una religione. È la forma concretamente assunta, nel corso dei secoli, dalla spiritualità italiana. È il titolare dei riti e delle liturgie con cui scandiamo la nostra vita quotidiana e celebriamo i momenti fondamentali dell’esistenza. Vi è una parte della società italiana che ha cercato di elaborare liturgie alternative a cui ciascuno di noi può liberamente ricorrere. Ma temo che un grande funerale laico nella piazza d’Armi dell’Aquila per le vittime del terremoto sarebbe stato una ridicola scopiazzatura e non avrebbe soddisfatto nemmeno i molti agnostici che hanno partecipato alla messa del cardinale Bertone. È possibile essere laici e liberali senza ignorare i sentimenti e le tradizioni della maggior parte della società in cui viviamo. La Francia, ad esempio, è probabilmente lo Stato più laico d’Europa. Ma la prima cerimonia a cui il generale de Gaulle prese parte dopo la liberazione di Parigi nel 1944 fu un solenne Te Deum nella cattedrale di Notre Dame. E a nessuno venne in mente che la Francia stesse rinunciando al principio della separazione tra lo Stato e la Chiesa.