venerdì 3 aprile 2009

«Quando una legge si basa su dogmi, è sempre suscettibile di censure di costituzionalità».

l’Unità 3.4.09
Il presidente della Camera plaude alla Consulta: «Quando una legge si basa su dogmi, è sempre suscettibile di censure di costituzionalità». Miete consensi (e dissensi) trasversali e aggrega l’area laica del Pdl.
Fini femminista: la Consulta rende giustizia alle donne
di Susanna Turco

Il paradosso dei fini vuole che proprio mentre le agenzie diffondono il suo plauso alla sentenza della Consulta che dichiara illegittime alcune norme della legge 40, nel cortile di Montecitorio il presidente della Camera si intrattenga a chiacchierare, lupus in fabula, proprio con il vicedirettore dell’Osservatore Romano Carlo Di Cicco. Un incontro del tutto casuale, che però non viene disturbato da quelle parole. Sul tema, del resto, Gianfranco Fini ha espresso chiaramente i suoi dissensi sin dai tempi del referendum del 2005. E allora, a Cesare ciò che è di Cesare eccetera. Quelle stesse parole fanno invece imbizzarrire mezzo Parlamento. Mietono consensi, ma anche dissensi, trasversali. E mostrano, sul fronte del Pdl, quanto la linea assunta dall’ex leader di An sia in grado di aggregare un’area laica finora assai meno visibile.
giustizia alle donne
Sono le quattro del pomeriggio quando la terza carica dello Stato, fino a quel momento defilata, decide di rendere pubblica la sua posizione. Lo fa senza mezzi termini: «La sentenza della Consulta rende giustizia alle donne italiane», dice Fini. E, in attesa di conoscere le motivazioni della Corte, aggiunge: «Mi sembra fin d’ora evidente che quando una legge si basa su dogmi di tipo etico-religioso, è sempre suscettibile di censure di costituzionalità, in ragione della laicità delle nostre istituzioni».
Fini di ieri, Fini di oggi
Così, in un colpo solo, il Gianfranco di oggi stringe la mano a quello di ieri: e insieme, dando un ulteriore spallata agli ex colonnelli di An, guardano al domani. Già, perché è chiaro che l’orizzonte sul quale si misura il giudizio sulla Consulta non è soltanto quello della fecondazione assistita, che i più nella maggioranza dichiarano di non voler cambiare, ma anche quello del biotestamento, in procinto di iniziare il suo percorso a Montecitorio. Solo qualche giorno fa, al congresso del Pdl, il leader del Pdl aveva criticato proprio il pdl Calabrò , definendolo «da Stato etico». Un posizionamento destinato a incrociarsi politicamente con quanti nel Pdl non vedono di buon occhio il monolite uscito Palazzo Madama. E non sono pochi, a partire da Benedetto Della Vedova e Peppino Calderisi fino a Fiamma Nirenstein e Beatrice Lorenzin, passando per socialisti come Chiara Moroni, ex aennini come Raisi e Urso.
plausi e dissensi
In ogni caso, Fini si tira addosso plausi e dissensi vigorosi e spesso sorprendenti. «Condivide assolutamente» le sue parole Anna Finocchiaro, augurandosi «un po’ di buon senso sul biotestamento». La Mussolini corre a baciarselo. Volontè lo accusa di «cercare visibilità nel ruolo di ventriloquo dei radicali». La Roccella ritiene che sia «vittima di una campagna di disinformazione» e intanto assicura che lavorerà sulle linee guida. Paola Binetti spera «che il biotestamento non ne risulti rallentato» e trova sacrosanto quel che vuol fare la Roccella. La Turco si augura una «riapertura del dibattito». Rotondi parla di divisione tra « i clericali e i cattolici democratici, che stanno con Fini». Notevole l’atteggiamento di Pier Ferdinando Casini. Richiesto di un commento a caldo, il leader Udc dice di non sapere cosa abbia dichiarato Fini ma di essere «d’accordo a prescindere». «Non ti conviene», lo avverte l’altro. E in effetti, poco dopo, proprio Casini si intesta una delle risposte più dure all’ex alleato di un tempo: «La laicità non si difende con slogan contro lo Stato etico, che in Italia ha avuto la sua unica applicazione durante il fascismo».