Liberazione 2.4.09
Un prelato e sua figlia. Una storia di António Cabral nel Portogallo del 1917
I vizi nascosti degli uomini di fede
di Marco Peretti
E' sufficiente ricordare l'incesto rappresentato nelle pagine de Il crimine di Padre Amaro di Eça de Queiros o alcune scene tratte dai film di Manoel de Oliveira per dar credito alla tesi che uno degli obiettivi prediletti dalla cultura portoghese sia sempre stato quello di indagare, dietro i rispettati abiti talari, i "vizi" nascosti degli uomini di fede. Un umano contrappasso alla pretesa di un'etica assoluta della Chiesa, un proliferare di storie di finzione che inducono a guardare con altri occhi gli uomini che dal pulpito predicano ogni domenica.
A questa sorta di sottogenere culturale oggi possiamo aggiungere Il canonico (traduzione di Daniele Petruccioli, La Nuova Frontiera, 2009, pp. 311, € 17,50) di António Manuel Pires Cabral, scrittore trasmontano arrivato alla sua sesta prova in prosa. L'origine di Pires Cabral già significa molto, nascere e vivere nella regione nordestina di Trás-os-Montes - letteralmente "oltre le montagne" - vuol dire innanzitutto scegliere di rimanere a debita distanza dalla vetrina mediatica di Lisbona, in una terra aspra e dura che continua a produrre scrittori di notevole spessore, oltre a un cospicuo numero di emigranti buoni per tutte le epoche di crisi, compresa quella che stiamo vivendo oggi. E' tra queste terre impervie che Pires Cabral ha ambientato la storia de Il canonico , in un piccolo villaggio - Vilarinho dos Castelhanos - che nel nome allude alla vicina Castiglia e in qualche modo all'illustre protagonista, Fernando Benigno Ochoa, detto lo spagnolo, uomo di notevole mole, irascibile e pieno d'energia, amante delle battute di caccia e monarchico ultraconvinto. Convinto a tal punto che nel 1917, con la guerra in corso e con il Portogallo in mano ai repubblicani intese sfruttare, sulla scia degli eventi miracolosi di Fatima, le "visioni" di due bambine di Vilarinho dos Castelhanos, inventando che queste avrebbero sentito un appello della Vergine ai veri portoghesi, un invito a lottare per reinsediare il legittimo re. Il fine giustifica i mezzi, «spesso la verità è fatta di menzogne ripetute. Se non altro la gente si porrà il dubbio».
Protagonista illustre, dicevamo, perché oltre ad esser stato nominato assai giovane canonico era ricco di famiglia e in un piccolo villaggio tanto basta per andar sulla bocca di tutti. Se non fosse sufficiente questo, il nostro, così come si racconta, ha avuto una figlia e questo ovviamente alimenta i pettegolezzi e contribuisce a incasellare il romanzo nel sottogenere di cui parlavamo.
La storia è narrata da un giovane prelato, Salviano Taveira, giunto al villaggio per sostituire padre Agostinho ormai morente. In attesa dell'estrema unzione il vecchio parroco riesce però a stuzzicare la curiosità del nuovo arrivato, raccontandogli le vicende di quella figura ingombrante, il canonico, morto sei anni prima. In un piccolo villaggio sperduto la loquacità dei testimoni si manifesta immediatamente, non c'è bisogno di aspettare i parrocchiani in confessionale e il giovane Salviano Taveira, anche per ammazzare il tempo, comincia a cercare la Verità che si nasconde dietro le contraddittorie testimonianze dei paesani. La coscienza del giovane parroco s'imbatterà con il "relativismo" sessuale del canonico e la morale teologica appresa in seminario dovrà fare i conti con il pragmatismo del vescovo di Bragança che, all'epoca, saputa la notizia della gravidanza della perpetua del canonico così giustificò l'avvenimento: «Dio ha fatto i sacerdoti con la stessa identica argilla degli uomini. Debole».
L'abilità narrativa di Pires Cabral, assai originale ai nostri giorni anche per una scrittura che ricorda più il romanzo ottocentesco che non quello postmoderno, intreccia gli elementi dell'indagine "poliziesca" con l'intertestualità biblica. Il proliferare di proverbi ricorda da vicino l'amore per la cultura popolare di José Saramago mentre la struttura dell'investigazione con al centro il narratore che come un nucleo assorbe le informazioni delle particelle/testimoni rimanda a Il Delfino di José Cardoso Pires, letto con l'ausilio della fisica quantistica di Debenedetti. Un romanzo che si può leggere da diverse latitudini, per esempio e toccando un nervo ancor oggi scoperto - come fa l'autore con i suoi personaggi di finzione - richiamando l'attenzione sul celibato e la castità che mirano a un clero tendente alla "perfezione", mentre per usare le parole del canonico «il richiamo della carne è tanto pressante in noi come in chiunque altro. E la tentazione non si fa strada solo attraverso il canale della concupiscenza, ma anche attraverso quello della ragione».
Oppure accettando la conclusione che la Verità è irraggiungibile e di tante piccole verità - le nostre - ci dobbiamo contentare o, infine, molto più semplicemente, forse per il giovane prelato, così come per il vescovo di Bragança o per lo stesso padre Agostinho è meglio non giudicare il canonico, perché in fondo è pur sempre "uno di loro".
Un prelato e sua figlia. Una storia di António Cabral nel Portogallo del 1917
I vizi nascosti degli uomini di fede
di Marco Peretti
E' sufficiente ricordare l'incesto rappresentato nelle pagine de Il crimine di Padre Amaro di Eça de Queiros o alcune scene tratte dai film di Manoel de Oliveira per dar credito alla tesi che uno degli obiettivi prediletti dalla cultura portoghese sia sempre stato quello di indagare, dietro i rispettati abiti talari, i "vizi" nascosti degli uomini di fede. Un umano contrappasso alla pretesa di un'etica assoluta della Chiesa, un proliferare di storie di finzione che inducono a guardare con altri occhi gli uomini che dal pulpito predicano ogni domenica.
A questa sorta di sottogenere culturale oggi possiamo aggiungere Il canonico (traduzione di Daniele Petruccioli, La Nuova Frontiera, 2009, pp. 311, € 17,50) di António Manuel Pires Cabral, scrittore trasmontano arrivato alla sua sesta prova in prosa. L'origine di Pires Cabral già significa molto, nascere e vivere nella regione nordestina di Trás-os-Montes - letteralmente "oltre le montagne" - vuol dire innanzitutto scegliere di rimanere a debita distanza dalla vetrina mediatica di Lisbona, in una terra aspra e dura che continua a produrre scrittori di notevole spessore, oltre a un cospicuo numero di emigranti buoni per tutte le epoche di crisi, compresa quella che stiamo vivendo oggi. E' tra queste terre impervie che Pires Cabral ha ambientato la storia de Il canonico , in un piccolo villaggio - Vilarinho dos Castelhanos - che nel nome allude alla vicina Castiglia e in qualche modo all'illustre protagonista, Fernando Benigno Ochoa, detto lo spagnolo, uomo di notevole mole, irascibile e pieno d'energia, amante delle battute di caccia e monarchico ultraconvinto. Convinto a tal punto che nel 1917, con la guerra in corso e con il Portogallo in mano ai repubblicani intese sfruttare, sulla scia degli eventi miracolosi di Fatima, le "visioni" di due bambine di Vilarinho dos Castelhanos, inventando che queste avrebbero sentito un appello della Vergine ai veri portoghesi, un invito a lottare per reinsediare il legittimo re. Il fine giustifica i mezzi, «spesso la verità è fatta di menzogne ripetute. Se non altro la gente si porrà il dubbio».
Protagonista illustre, dicevamo, perché oltre ad esser stato nominato assai giovane canonico era ricco di famiglia e in un piccolo villaggio tanto basta per andar sulla bocca di tutti. Se non fosse sufficiente questo, il nostro, così come si racconta, ha avuto una figlia e questo ovviamente alimenta i pettegolezzi e contribuisce a incasellare il romanzo nel sottogenere di cui parlavamo.
La storia è narrata da un giovane prelato, Salviano Taveira, giunto al villaggio per sostituire padre Agostinho ormai morente. In attesa dell'estrema unzione il vecchio parroco riesce però a stuzzicare la curiosità del nuovo arrivato, raccontandogli le vicende di quella figura ingombrante, il canonico, morto sei anni prima. In un piccolo villaggio sperduto la loquacità dei testimoni si manifesta immediatamente, non c'è bisogno di aspettare i parrocchiani in confessionale e il giovane Salviano Taveira, anche per ammazzare il tempo, comincia a cercare la Verità che si nasconde dietro le contraddittorie testimonianze dei paesani. La coscienza del giovane parroco s'imbatterà con il "relativismo" sessuale del canonico e la morale teologica appresa in seminario dovrà fare i conti con il pragmatismo del vescovo di Bragança che, all'epoca, saputa la notizia della gravidanza della perpetua del canonico così giustificò l'avvenimento: «Dio ha fatto i sacerdoti con la stessa identica argilla degli uomini. Debole».
L'abilità narrativa di Pires Cabral, assai originale ai nostri giorni anche per una scrittura che ricorda più il romanzo ottocentesco che non quello postmoderno, intreccia gli elementi dell'indagine "poliziesca" con l'intertestualità biblica. Il proliferare di proverbi ricorda da vicino l'amore per la cultura popolare di José Saramago mentre la struttura dell'investigazione con al centro il narratore che come un nucleo assorbe le informazioni delle particelle/testimoni rimanda a Il Delfino di José Cardoso Pires, letto con l'ausilio della fisica quantistica di Debenedetti. Un romanzo che si può leggere da diverse latitudini, per esempio e toccando un nervo ancor oggi scoperto - come fa l'autore con i suoi personaggi di finzione - richiamando l'attenzione sul celibato e la castità che mirano a un clero tendente alla "perfezione", mentre per usare le parole del canonico «il richiamo della carne è tanto pressante in noi come in chiunque altro. E la tentazione non si fa strada solo attraverso il canale della concupiscenza, ma anche attraverso quello della ragione».
Oppure accettando la conclusione che la Verità è irraggiungibile e di tante piccole verità - le nostre - ci dobbiamo contentare o, infine, molto più semplicemente, forse per il giovane prelato, così come per il vescovo di Bragança o per lo stesso padre Agostinho è meglio non giudicare il canonico, perché in fondo è pur sempre "uno di loro".