venerdì 12 marzo 2010

Viaggio nel silenzio della Chiesa sui preti pedofili

Left 32-33/08
Viaggio nel silenzio della Chiesa sui preti pedofili
di Federico Tulli

«Accadde una domenica pomeriggio. In genere, si giocava a calcetto nel cortile del seminario. Invece quella volta don Bruno mi invitò nella sua camera a riposare. Spesso noi ragazzi entravamo nelle camere degli assistenti. Magari per fare due chiacchere. Invece quel pomeriggio lui mi spogliò, mi baciò, e poi abusò di me. Dopo andò in bagno. Quando tornò mi chiese solo: “Ti sei sporcato?”. Mi diceva che la nostra era solo un’amicizia, un’amicizia particolare, divina. E io gli credevo. Mi diceva che era normale e che era giusto. E anche che non dovevo dirlo a nessuno, perché avrei suscitato invidie, gelosie. Io non lo dissi. Neanche quando l’abuso si ripeté. Era un uomo di Dio: con lui pregavo, mi fidavo. Ciecamente». Marco Marchese aveva 12 anni quando fu violentato la prima volta da don Bruno Puleo. Gli abusi proseguirono per 4 anni, durante i quali Marco subì in silenzio. Fino a quando si rivolse al superiore del suo violentatore. Questi lo invitò a «non preoccuparsi e proseguire nel suo cammino religioso». Comincia così il Viaggio nel silenzio (Chiarelettere) di Vania Lucia Gaito, la psicologa che nel 2007 ha sottotitolato in italiano e pubblicato su bispensiero.it il video della Bbc, mai mostrato nel nostro Paese, sulle migliaia di casi di pedofilia che hanno coinvolto uomini di Chiesa, Sex, crimes and Vatican. In poco tempo il video fu scaricato 5 milioni di volte. «Accadde anche qualcos’altro – scrive l’autrice -. Mi arrivarono centinaia di email. Di protesta, di ringraziamento, di indignazione. In mezzo c’erano lettere di chi aveva subito abusi. Una sola volta o a lungo. Ma sempre in silenzio». Nel libro l’autrice dà la parola ad alcune di queste persone. Viene fuori un quadro agghiacciante della Chiesa e di come si svolge l’educazione nei seminari. Al centro la mancanza di uno sviluppo psico-sessuale normale che spiega la tendenza diffusa alla pedofilia. Non è un caso che di recente tutte le diocesi americane abbiano chiuso i seminari minori. Come pure colpisce che la convenzione dei diritti del minore dell’Onu non sia mai stata firmata dal Vaticano. E ancora che in Italia sono ancora aperti 123 seminari minori. Nel libro ci si ritrova irretiti in tante storie come quella di Marco, tutte simili tra loro, nonostante si siano svolte a migliaia di chilometri di distanza. Negli Usa ad esempio. Con l’incredibile scandalo e l’omertà della diocesi di Boston e del cardinale Bernard Law. Che ora è arciprete a santa Maria Maggiore a Roma e che come tanti suoi colleghi, pur avendo solide prove di colpevolezza, si è sempre e solo limitato a spostare in altra curia ogni prete accusato di pedofilia da una o dieci o decine di vittime. Negli Usa s’incrocia per un attimo pure la figura di Ratzinger, l’attuale papa, che in Texas, grazie all’ascesa al soglio pontificio, è riuscito a evitare la comparizione, come imputato, a un processo contro la diocesi di Houston, che per coprire un seminarista «aveva seguito fedelmente le indicazioni del Crimen sollicitationis e del successivo Ad exequandam». Documenti che obbligano al vincolo di segretezza, pena la scomunica, i vescovi che vengono a conoscenza di casi di pedofilia che coinvolgono preti. Ad exequandam è stato redatto e firmato da Ratzinger, citato dunque in giudizio per aver «ostacolato il corso della giustizia» Usa. Ciò che balza agli occhi è come anche in questo caso il Vaticano mantenga un atteggiamento di totale incuranza per le vittime e quasi distaccato nei confronti dei preti violentatori o presunti tali. Atteggiamento che non si manifesta nei confronti di chi si sposa o lascia la Chiesa. Come racconta all’autrice Alessandro Pasquinelli, un ex prete oggi sposato. «La Chiesa usa la riduzione allo stato laicale per gettare fumo negli occhi, pur di non fronteggiare il problema dei preti sposati». «Ma tutti i sacerdoti pedofili sono ridotti allo stato laicale?», gli chiede la Gaito. «Neanche per sogno!», risponde Alessandro. «La Chiesa ha pochissimi sacerdoti, non può mica permettersi di gettarli via così. Preferisce buttare via chi s’innamora, piuttosto che i pedofili. Certi scandali si possono soffocare, nascondere, ma un sacerdote che si sposa non può essere occultato»

Decine di storie di violenze su minori da parte di preti scuotono l’Italia. Sulla prevenzione si lavora poco e male. La denuncia della scrittrice e psicologa Vania Lucia Gaito
di Federico Tulli

Dottoressa Gaito, in poche settimane i casi di Bolzano, Verona e Casal di Principe. Rischiamo di fare la fine degli Usa, dove, una volta rotto il silenzio decennale imposto dai vescovi in osservanza del Crimen sollicitationis, sono stati accertati migliaia di casi di violenza pedofila commessi da uomini di Chiesa?

Il pericolo è più che reale. Non siamo di fronte a casi isolati. E qualcosa in Italia comincia a emergere. Ma quando una storia arriva sulla stampa nazionale di rado è messa in relazione con le altre vicende simili che si verificano in tutta la penisola. L’opinione pubblica perde così la possibilità di cogliere il filo che c’è tra questi abusi. Col risultato che da noi ancora non si parla in maniera aperta della pedofilia nel clero. Soprattutto non si racconta perché questo fenomeno non si arresta. Cosa d’altronde impossibile se prima non si scopre qual è la sua genesi.
L’abuso di preti nei confronti di minori ha una genesi completamente diversa da quello che si verifica in ambito familiare. La pedofilia clericale è spesso figlia del tipo di educazione che viene impartita nei seminari. Non è un caso se la Carta dei diritti del fanciullo delle Nazioni unite (1989), proibisce l’istituzionedei seminari minori. Nel documento, che il Vaticano non ha mai sottoscritto, si spiega che i bambini devono rimanere in famiglia per crescere nell’ambiente più consono a uno sviluppo normale. Per impedire cioè che avvenga uno “strappo” educativo proprio negli anni in cui si entra nell’età adolescenziale, quella più delicata dal punto di vista della definizione della sessualità. Ebbene, questi seminari sono oramai chiusi in quasi tutto il mondo, ma in Italia ce ne sono ancora 123.
Dove si trovano?
Sono dislocati specie al Sud e nel Nordest. Vero è che stanno chiudendo, ma non per rispetto della direttiva Onu quanto perché sono in calo le “vocazioni”. Tranne appunto che in certe regioni dove certa “cultura” permane. Che è quella di chi si fida ciecamente e pensa che entrando in seminario il proprio figlio vada in un ambiente protetto. Ora, a parte la disgustosa vicenda del Provolo – e sfido chiunque a parlare ancora di casi isolati – basta pensare a quanto racconta nel mio libro Marco Marchese, abusato per quattro anni all’interno di un seminario dal suo insegnate, don Bruno Puleo. Ciò che emerge dalla storia di Marco è la demonizzazione della figura femminile, una visione pesantissima, sessuofobica che dagli educatori ricade su dei ragazzini nel pieno dello sviluppo adolescenziale. E che vedono condannato il proprio corpo come se fosse la fonte del peccato. Questo atteggiamento manicheo, nichilistico è veramente deleterio per la psiche di un adolescente. Tanto più se poi viene violentato dalla stessa persona che lo dovrebbe “educare”.
È vero che Puleo non è stato nemmeno un giorno in carcere?
Sì, patteggiando meno di tre anni è stato affidato ai servizi sociali. Fortunatamente dal 2006 il patteggiamento per casi di pedofilia non è più permesso.
Come giudica la legislazione italiana al riguardo?
Assolutamente arretrata visto che prevede ancora la prescrizione del reato. Cosa che, per dire, la Svizzera ha abolito. Subire un abuso non significa automaticamente avere la forza di denunciarlo. Come prima cosa la violenza devasta l’autostima della persona che la subisce. Inoltre il pedofilo è molto spesso una persona di cui tanto la famiglia quanto il bambino si fidano. È seduttivo nei confronti del bimbo, non agisce in maniera violenta, lo blandisce approfittando della sua naturale fiducia nel prossimo. Questo incide talmente nel profondo che raccontare quanto subito richiede una forza che il pedofilo stesso ha distrutto. E che per essere recuperata, laddove è possibile, a volte richiede decenni. Ma questa cosa in Italia non è percepita.
Dopo gli scandali Usa, come ha gestito le proprie responsabilità il Vaticano?
Per comprenderlo basta raccontare dell’ultimo viaggio oltreoceano di papa Ratzinger. Mentre era in volo disse che la pedofilia è un peccato gravissimo, e che è incompatibile con il sacerdozio. Che fosse compatibile in realtà noi non lo abbiamo mai pensato, ma lui ha sentito la necessità di precisarlo. E poi nei fatti con chi si è accompagnato nelle due tappe americane di Washington e New York? Nella capitale era con il cardinale Francis George. Questo signore sapeva dell’esistenza di accuse contro padre Daniel McCormack. Ma non ha mai fatto nulla. McCormack fu arrestato nel 2005 e condannato a cinque anni per abusi su bambini tra gli 8 e gli 11 anni. Oggi George è presidente della Conferenza episcopale Usa. A New York, invece, l’anfitrione di Benedetto XVI era il cardinale Egan, un altro che non si è certo distinto per un’accanita lotta ai sacerdoti pedofili della sua diocesi. Allora mi chiedo, questa pulizia che il papa dice di voler fare all’interno della Chiesa da dove dovrebbe partire se non dai vertici? Diciamoci la verità: il Vaticano ha perso oltre 120mila sacerdoti e non può permettersi di lasciarne tornare altri alla vita laica. La priorità è questa.
Di cosa si occuperà nel suo prossimo libro?
Racconterò le responsabilità della Chiesa, talvolta dirette, talvolta indirette, negli ultimi tre genocidi del secolo scorso: Argentina, Rwanda e Canada. Responsabilità passate praticamente sotto silenzio, anche dei media. Basta guardare come alla sua morte si è celebrato il cardinale Pio Laghi, che era quello che andava a giocare a tennis con il genocida Eduardo Masera.
A parte il documentario “Unrepentant” di Kevin Annett, che ha vinto diversi premi internazionali ma che in Italia ha trovato diffusione solo online su arcoiris.tv, del genocidio in Canada non se ne è mai sentito parlare apertamente…
I giornali pubblicarono la notizia del primo ministro Harper che chiedeva scusa ai nativi canadesi, risarciti con 5 miliardi di dollari. E si dimenticarono di dire “perché”. In certi casi emerge la capacità tutta italiana di dare una notizia… senza darla. Non si disse che alla base di quanto è successo c’era l’Indian act del 1874 alla cui stesura aveva contribuito una commissione cattolica. Non si disse del genocidio di oltre 50mila bambini commesso dai responsabili religiosi delle scuole dove per decenni i bambini nativi sono stati rinchiusi e costretti a professare la religione cristiana.
Tutto questo sarà denunciato?
Sì, dettagliatamente.