l'Unità 28.3.09
Il «suicidio d'onore» delle donne turche
di Marina Mastroluca
Per favore, ucciditi». Niente a che vedere con una battuta, non c’è niente da ridere in questa storia. Che poi è la storia di Elif e di altre come lei, messe all’indice dalle famiglie offese nell’onore e per questo indirizzate verso l’ultima versione di lavanderia morale escogitata in Turchia: il suicidio d’onore, opportunamente istigato dai familiari, altrimenti costretti a sporcarsi le mani di sangue e a pagarne il fio dietro le sbarre. Una legge del 2005 ha introdotto l’ergastolo per punire i delitti d’onore: una macchia, questa sì, che ogni anno si replica in oltre 200 casi, nella sola Istanbul ce n’è uno a settimana. Per sfuggire al carcere, l’onore ha trovato altre vie. E il numero delle donne suicide si è impennato.
«Per favore ucciditi». Elif è in fuga da otto mesi, per non dover subire la punizione della famiglia. Ha detto di no al matrimonio combinato dai parenti, che volevano farle sposare un uomo più anziano dei suoi 18 anni. E ha detto no anche quando il padre le ha chiesto di torgliersi la vita: per risparmiargli il carcere una volta che l’avesse uccisa. «Lo amavo così tanto che lo avrei fatto, anche se non potevo rimproverarmi nulla di sbagliato - ha raccontato Elif al britannico Independent -. Ma non ci sono riuscita. Amo troppo la vita». Da allora la sua esistenza è appesa a un filo, i parenti sono venuti a cercarla persino nel rifugio dove ha trovato accoglienza. Erano armati.
Elif in questa storia è l’anomalia, la ciambella mal riuscita, la classica eccezione dove la regola avrebbe voluto una silenziosa obbedienza. La sua, del resto, è chiamata la «Città dei suicidi»: sulla carta geografica non c’è scritto, naturalmente, la località si chiama Batman, sud-est della Turchia. Ma è qui che tre quarti dei suicidi sono commessi da donne, quando nel resto del pianeta sono più spesso gli uomini a togliersi la vita. Per il procuratore generale è sospetto. «Credo che nella maggior parte dei casi siano suicidi forzati».
Un cappio, una pistola o più banalmente del veleno per topi. Di solito va così. Le chiudono in una stanza con quel che serve, aspettando che decidano di togliersi di mezzo da sole. E non è difficile immaginare come possano finire per cedere, quando a chiedergli di sparire sono quelli che più di altri dovrebbero volerle vive, i familiari più stretti, il sangue del sangue. Elif non c’è riuscita. Anche se sapeva di sue compagne di scuola uccise dai familiari. Anche se sapeva che la fuga da sola non l’avrebbe messa al sicuro.
Delitti d’onore. Molti si concentrano tra i curdi, ma non solo tra loro. Chi si occupa di diritti umani denuncia una tacita benevolenza, che travalica la severità annunciata dalla legge. Non sempre si investiga, i casi sospetti smettono di essere tali, se chi dovrebbe indagare e punire ha lo stesso codice d’onore.
«È questo il Paese che vuole entrare in Europa? Dio ci aiuti», è la domanda che rimbalza sul sito dell’Independent. Molti concordano, sembra di vederli mentre scuotono la testa. «Questi omicidi non sono solo contro le leggi Ue, ma contro quelle della Turchia», prova a dire Mimarkhoran. «Forse dovremmo far entrare in Europa solo le donne turche». Forse, chissà.
Il «suicidio d'onore» delle donne turche
di Marina Mastroluca
Per favore, ucciditi». Niente a che vedere con una battuta, non c’è niente da ridere in questa storia. Che poi è la storia di Elif e di altre come lei, messe all’indice dalle famiglie offese nell’onore e per questo indirizzate verso l’ultima versione di lavanderia morale escogitata in Turchia: il suicidio d’onore, opportunamente istigato dai familiari, altrimenti costretti a sporcarsi le mani di sangue e a pagarne il fio dietro le sbarre. Una legge del 2005 ha introdotto l’ergastolo per punire i delitti d’onore: una macchia, questa sì, che ogni anno si replica in oltre 200 casi, nella sola Istanbul ce n’è uno a settimana. Per sfuggire al carcere, l’onore ha trovato altre vie. E il numero delle donne suicide si è impennato.
«Per favore ucciditi». Elif è in fuga da otto mesi, per non dover subire la punizione della famiglia. Ha detto di no al matrimonio combinato dai parenti, che volevano farle sposare un uomo più anziano dei suoi 18 anni. E ha detto no anche quando il padre le ha chiesto di torgliersi la vita: per risparmiargli il carcere una volta che l’avesse uccisa. «Lo amavo così tanto che lo avrei fatto, anche se non potevo rimproverarmi nulla di sbagliato - ha raccontato Elif al britannico Independent -. Ma non ci sono riuscita. Amo troppo la vita». Da allora la sua esistenza è appesa a un filo, i parenti sono venuti a cercarla persino nel rifugio dove ha trovato accoglienza. Erano armati.
Elif in questa storia è l’anomalia, la ciambella mal riuscita, la classica eccezione dove la regola avrebbe voluto una silenziosa obbedienza. La sua, del resto, è chiamata la «Città dei suicidi»: sulla carta geografica non c’è scritto, naturalmente, la località si chiama Batman, sud-est della Turchia. Ma è qui che tre quarti dei suicidi sono commessi da donne, quando nel resto del pianeta sono più spesso gli uomini a togliersi la vita. Per il procuratore generale è sospetto. «Credo che nella maggior parte dei casi siano suicidi forzati».
Un cappio, una pistola o più banalmente del veleno per topi. Di solito va così. Le chiudono in una stanza con quel che serve, aspettando che decidano di togliersi di mezzo da sole. E non è difficile immaginare come possano finire per cedere, quando a chiedergli di sparire sono quelli che più di altri dovrebbero volerle vive, i familiari più stretti, il sangue del sangue. Elif non c’è riuscita. Anche se sapeva di sue compagne di scuola uccise dai familiari. Anche se sapeva che la fuga da sola non l’avrebbe messa al sicuro.
Delitti d’onore. Molti si concentrano tra i curdi, ma non solo tra loro. Chi si occupa di diritti umani denuncia una tacita benevolenza, che travalica la severità annunciata dalla legge. Non sempre si investiga, i casi sospetti smettono di essere tali, se chi dovrebbe indagare e punire ha lo stesso codice d’onore.
«È questo il Paese che vuole entrare in Europa? Dio ci aiuti», è la domanda che rimbalza sul sito dell’Independent. Molti concordano, sembra di vederli mentre scuotono la testa. «Questi omicidi non sono solo contro le leggi Ue, ma contro quelle della Turchia», prova a dire Mimarkhoran. «Forse dovremmo far entrare in Europa solo le donne turche». Forse, chissà.