domenica 15 marzo 2009

Le donne condannate ad abortire nel dolore

La Repubblica 15.3.09
Le donne condannate ad abortire nel dolore
risponde Corrado Augias

Caro Augias, ho letto giorni fa la lettera della signora costretta ad abortire in un corridoio di ospedale. Anche a me è successo qualcosa di simile. Ero quasi al quarto mese e avevo «perso le acque», senza più speranze di portare a termine la gravidanza. Mi hanno ricoverata al Fatebenefratelli di Milano; non dimenticherò mai quell'esperienza! Mi hanno messa in uno «sgabuzzino» con la flebo che avrebbe dovuto provocare la dilatazione, poiché avrei dovuto partorire «naturalmente» (vietato l'aborto). Per 24 ore ho avuto dolori atroci e, ogni 3/4 ore, arrivava un medico (sempre diverso) che, senza nemmeno guardarmi, mi infilava una mano per controllare la dilatazione (ha presente le mucche?). Alla fine, esausta, mi hanno portato in sala parto e mi dicevano di spingere, non avevo più energie ma sono riuscita a espellere il feto. Poi mi hanno «sistemata» in una stanza vicino ad una madre che allattava e per finire in bellezza è arrivata un'infermiera a chiedermi come lo avrei chiamato. Per qualche secondo ho pensato che fosse vivo, ma no, mi diceva che doveva essere registrato in Comune.
Lettera firmata

Dopo la lettera pubblicata qualche giorno fa con la penosa esperienza di una signora lasciata ai suoi dolori perché in un ospedale romano non c'era nemmeno un medico non obiettore, sono arrivate molte altre lettere. Quella di oggi è un esempio. Roma e Milano unite nella vergogna di un paese che non sa tutelare la salute e le scelte secondo legge delle sue cittadine. Salvo infiocchettarsi di mimose ad ogni 8 marzo. Mi ha scritto il signor Roberto Martina (robertomartina@yahoo. it): «La cosa che mi stupisce sempre è che le vittime dell'accanimento degli obiettori siano sempre esclusivamente le donne. Non ho mai letto sui giornali storie di uomini che non hanno ricevuto adeguata assistenza perché il medico era obiettore. Allora penso che la faccenda della carriera (con gli aborti non si fa carriera, dunque si obietta) sia una comoda scusa accampata per nascondere una vecchia cultura, molto poco medica, che vuole che la donna debba pagare un prezzo sempre più alto per realizzare la propria identità e la propria libertà. E il fantasma della discriminazione sessuale per cui le donne hanno sempre un peccato da scontare, dai tempi di Adamo, e qualcuno, depositario di una moralità divinamente migliore di altre, si erge a giudice ed esecutore di una pena, il dolore, orribile e incivile, che soprattutto non ha niente a che vedere con la professione del medico». Infatti succede solo qui, evidentemente il senso compiuto della cittadinanza in uno Stato moderno stenta ad affermarsi a sud delle Alpi.