Accanimento di Stato
L'Opinione del 25 giugno 2008, pag. 1
di Alessandro Litta Modignani
Si apre stamane a Milano un nuovo capitolo della dolorosa vicenda giudiziaria e umana di Eluana Englaro, la giovane donna di Lecco che giace in “stato vegetativo permanente” da più di 16 anni, a seguito di un incidente stradale. Oggi Beppino Englaro, il mite e determinato padre di Eluana, chiederà per l’ennesima volta a un tribunale della Repubblica di interrompere le inutili e disumane “cure” che da 6.000 giorni tengono artificialmente in vita il corpo inanimato di sua figlia. Eluana trascina, contro la sua volontà, un’esistenza priva di qualsiasi dignità. Una cannula, attraverso il naso, le introduce ogni giorno nello stomaco una pappetta maleodorante e disgustosa; le viene evacuato regolarmente l’intestino. Il suo corpo viene sistematicamente lavato, asciugato, voltato, rivoltato e rilavato. Tutto ciò senza la benché minima speranza di guarigione, anzi con la piena consapevolezza di una patetica e tragica inutilità.
Le labbra sono scosse da un costante tremore, gli arti tesi allo spasimo, i piedi contorti in posizione equina. Consola appena il fatto che Eluana non si accorga di nulla: la corteccia ha subìto lesioni irreversibili e le funzioni cerebrali sono definitivamente compromesse. E’ lecito questo accanimento ? L’udienza di oggi, la prima in Corte d’Appello, è una nuova tappa – la nona per l’esattezza – di un calvario giudiziario che però ora sembra giunto a un punto di svolta. Lo scorso 16 ottobre, con una sentenza di 60 pagine, la Corte di Cassazione ha dichiarato nulla una precedente sentenza di appello, che respingeva nel merito le richieste di Englaro. Tutto da rifare dunque, ma stavolta con le perentorie indicazioni della Corte, alle quali i giudici milanesi dovranno attenersi. Secondo la Costituzione italiana (art. 32) nessun cittadino può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la sua volontà, se non in casi eccezionali previsti dalla legge. Eluana Englaro, vittima di un incidente stradale, quel “consenso informato” non ha mai potuto esprimerlo. Al contrario, in circostanze precedenti aveva pronunciato, riguardo al mantenimento in vita di persone in coma irreversibile, parole chiare e inequivocabili, come testimoniano entrambi i genitori e i suoi amici più cari. Inoltre, la giurisprudenza nega la possibilità di sottoporre un malato a cure, quando non esista alcuna speranza né di guarigione né di sia pur minimo miglioramento, come in questo caso.
E’ questo l’aspetto di maggior rilievo, dal punto di vista etico, medico e giuridico: il divieto assoluto di accanimento terapeutico, che deve essere garantito e che invece viene violato ai danni di una cittadina inerme, non più in grado di difendersi da pratiche inutili e invasive. Naturalmente, all’interruzione del trattamento tecnico si oppongono i fanatici difensori della vita “dal concepimento alla morte naturale”, la cui ipocrisia non conosce limiti. Cosa ci sia di “naturale” nella vita di Eluana Englaro, non è dato di sapere: suona davvero come una bestemmia chiamare “vita” una condizione così disumana. Eppure, da 6.000 giorni, Eluana è costretta alla sopravvivenza da uno Stato sempre più etico e sempre meno laico, severamente ossequioso della “autorità morale” che ha sede all’interno dei suoi confini. Stamane, fuori dal Palazzo di giustizia di Milano, a sostegno di Beppino Englaro (che non si è mai rassegnato a una soluzione privata e “all’italiana” della vicenda) ci sarà soltanto la solita sparuta pattuglia di militanti radicali e dell’associazione Luca Coscioni. Troveranno i giudici di Milano il coraggio di accogliere – come sarebbe loro dovere – le indicazioni della Suprema Corte, e di resistere alle pressioni degli integralisti ? “Fatemi tornare dal Padre mio” disse Giovanni Paolo II, quando capì che la sua vita era giunta al termine. A Eluana Englaro la sorte non ha concesso questa opportunità. Negarle un gesto di coraggio laico e di pietà cristiana sarebbe davvero crudele, incivile e intollerabile.
L'Opinione del 25 giugno 2008, pag. 1
di Alessandro Litta Modignani
Si apre stamane a Milano un nuovo capitolo della dolorosa vicenda giudiziaria e umana di Eluana Englaro, la giovane donna di Lecco che giace in “stato vegetativo permanente” da più di 16 anni, a seguito di un incidente stradale. Oggi Beppino Englaro, il mite e determinato padre di Eluana, chiederà per l’ennesima volta a un tribunale della Repubblica di interrompere le inutili e disumane “cure” che da 6.000 giorni tengono artificialmente in vita il corpo inanimato di sua figlia. Eluana trascina, contro la sua volontà, un’esistenza priva di qualsiasi dignità. Una cannula, attraverso il naso, le introduce ogni giorno nello stomaco una pappetta maleodorante e disgustosa; le viene evacuato regolarmente l’intestino. Il suo corpo viene sistematicamente lavato, asciugato, voltato, rivoltato e rilavato. Tutto ciò senza la benché minima speranza di guarigione, anzi con la piena consapevolezza di una patetica e tragica inutilità.
Le labbra sono scosse da un costante tremore, gli arti tesi allo spasimo, i piedi contorti in posizione equina. Consola appena il fatto che Eluana non si accorga di nulla: la corteccia ha subìto lesioni irreversibili e le funzioni cerebrali sono definitivamente compromesse. E’ lecito questo accanimento ? L’udienza di oggi, la prima in Corte d’Appello, è una nuova tappa – la nona per l’esattezza – di un calvario giudiziario che però ora sembra giunto a un punto di svolta. Lo scorso 16 ottobre, con una sentenza di 60 pagine, la Corte di Cassazione ha dichiarato nulla una precedente sentenza di appello, che respingeva nel merito le richieste di Englaro. Tutto da rifare dunque, ma stavolta con le perentorie indicazioni della Corte, alle quali i giudici milanesi dovranno attenersi. Secondo la Costituzione italiana (art. 32) nessun cittadino può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la sua volontà, se non in casi eccezionali previsti dalla legge. Eluana Englaro, vittima di un incidente stradale, quel “consenso informato” non ha mai potuto esprimerlo. Al contrario, in circostanze precedenti aveva pronunciato, riguardo al mantenimento in vita di persone in coma irreversibile, parole chiare e inequivocabili, come testimoniano entrambi i genitori e i suoi amici più cari. Inoltre, la giurisprudenza nega la possibilità di sottoporre un malato a cure, quando non esista alcuna speranza né di guarigione né di sia pur minimo miglioramento, come in questo caso.
E’ questo l’aspetto di maggior rilievo, dal punto di vista etico, medico e giuridico: il divieto assoluto di accanimento terapeutico, che deve essere garantito e che invece viene violato ai danni di una cittadina inerme, non più in grado di difendersi da pratiche inutili e invasive. Naturalmente, all’interruzione del trattamento tecnico si oppongono i fanatici difensori della vita “dal concepimento alla morte naturale”, la cui ipocrisia non conosce limiti. Cosa ci sia di “naturale” nella vita di Eluana Englaro, non è dato di sapere: suona davvero come una bestemmia chiamare “vita” una condizione così disumana. Eppure, da 6.000 giorni, Eluana è costretta alla sopravvivenza da uno Stato sempre più etico e sempre meno laico, severamente ossequioso della “autorità morale” che ha sede all’interno dei suoi confini. Stamane, fuori dal Palazzo di giustizia di Milano, a sostegno di Beppino Englaro (che non si è mai rassegnato a una soluzione privata e “all’italiana” della vicenda) ci sarà soltanto la solita sparuta pattuglia di militanti radicali e dell’associazione Luca Coscioni. Troveranno i giudici di Milano il coraggio di accogliere – come sarebbe loro dovere – le indicazioni della Suprema Corte, e di resistere alle pressioni degli integralisti ? “Fatemi tornare dal Padre mio” disse Giovanni Paolo II, quando capì che la sua vita era giunta al termine. A Eluana Englaro la sorte non ha concesso questa opportunità. Negarle un gesto di coraggio laico e di pietà cristiana sarebbe davvero crudele, incivile e intollerabile.