Marcinkus, il faccendiere Vaticano che non ha mai detto la verità
Liberazione del 25 giugno 2008, pag. 14
di Fulvio Fania
Il morto interrogato non rispose. Chiamano in causa i defunti le ultime rivelazioni di Sabrina Minardi, la compagna del boss della Magliana Enrico De Pedis detto Renatino, sul rapimento di Emanuela Orlandi. E nella calura di questo inizio estate c'è il rischio che l'improvviso incendio venga spento come fuoco fatuo.
Un morto illustre spicca su tutti, l'arcivescovo Paul Casimir Marcinkus, deceduto il 20 febbraio di due anni fa. L'atletico prelato americano, per lunghi anni disinvolto presidente dello Ior, ora accusato dalla donna come mandante del rapimento della ragazza, non potrà replicare. In sua difesa interviene la Santa sede.
«Si divulgano accuse infamanti senza fondamento nei confronti di monsignor Marcinkus morto da tempo e impossibilitato a difendersi», dichiara il direttore della Sala stampa Federico Lombardi che prosegue: «Colpisce l'amplissima divulgazione giornalistica di informazioni riservate non sottoposte a verifica alcuna, provenienti da una testimonianza di valore estremamente dubbio». Il padre gesuita sembra alludere alla incongruenza di date già emersa dalle rivelazioni di Sabrina Minardi secondo la quale il cadavere di Emanuela, assassinata, sarebbe stato impastato nel cemento di una betoniera a Torvajanica insieme a quello dell'undicenne Domenico Nicitra che in realtà fu trucidato diversi anni dopo.
Il Vaticano, pur contestando il «sensazionalismo» della stampa, assicura di «non voler in alcun modo interferire con i compiti della magistratura nella sua doverosa verifica di fatti e responsabilità».
Marcinkus, da parte sua, non si mostrò molto loquace neppure da vivo quando, nel 1987, si avvalse dell'immunità vaticana per sottrarsi al mandato d'arresto spiccato dal giudice istruttore Renato Bricchetti per il crack del Banco Ambrosiano, lo scandalo esploso nel 1981 e già costato la vita al banchiere Roberto Calvi. Nella ricostruzione fornita dalla donna i due gialli si intrecciano. La verità del rapimento Orlandi andrebbe cercata in quel groviglio di ricatti e interessi finanziari, anziché nei depistaggi delle piste bulgare, dell'attentato al Papa e del Lupo grigio Ali Agca. La versione di Sabrina Minardi converge «in parte» con quella offerta dal pentito della banda della Magliana Antonio Mancini. Identica l'accusa ad Enrico De Pedis di aver ucciso Emanuela, figlia di un commesso di Casa Pontificia e cittadina vaticana, rapita all'uscita della scuola di musica il 22 giugno del 1983. Minardi punta più esplicitamente il dito contro l'arcivescovo che, sentendosi ormai perduto, avrebbe tentato di ricattare il papa per costringerlo a non mollarlo. Negli ambienti vaticani preferiscono far credere invece ad un ricatto della mafia per riavere i soldi persi nel fallimento dell'Ambrosiano. Ma non è finita. Senza bisogno di addossare a Marcinkus addirittura la responsabilità di un rapimento emergono altre inquietanti supposizioni. Secondo alcuni giornali l'allora vice capo del Sisde Vincenzo Parisi, in una nota rimasta riservata fino al 1995, avrebbe fornito un identikit del famoso "amerikano" delle telefonate anonime alla famiglia durante il sequestro che corrisponderebbe alle caratteristiche del capo dello Ior.
Marcinkus è morto in una sorta di esilio a Sun City in una parrocchia dell'Illinois, ormai lontano dai soldi e dai poteri di curia. Enrico De Pedis, il capo banda della Magliana, fu ucciso dai suoi in un regolamento di conti a Campo de' Fiori e sepolto beato per declarati meriti di donazione ai poveri nella basilica papale di Sant'Apollinare, onorato come un non comune mortale in piena proprietà pontificia grazie a misteriosi ordini superiori. Quel sepolcro di criminale in terra sacra resta immobile come un colossale interrogativo sui misteri di curia, per lo meno sulle vere ragioni che spinsero don Piero Vergari, rettore della basilica retta dall'Opus Dei, a benedire Renatino con tanta devozione. Nessuno rimuoverà la tomba. Nel 2005, infatti, il Vicariato di Roma spiegò che «per il rispetto che si deve ad ogni defunto» ci si doveva rassegnare a pregare accanto alle spoglie del capo della Magliana.
E' ormai morto anche il padre della povera Emanuela che, stando alle ultime rivelazioni, avrebbe visto in Vaticano carte che non doveva vedere e per questo sarebbe stato colpito con il sequestro della figlia. Una tesi che la famiglia respinge in modo categorico.
Dietro le mura apostoliche in queste ore sembra riaffacciarsi un incubo. Di nuovo Marcinkus: credevano di aver chiuso il capitolo agli inizi degli anni Novanta. Il banchiere di Dio che giocava a golf e faceva girare soldi a palate dallo Ior a società con sede nelle Bahamas, come la Overseas fondata insieme a Roberto Calvi, l'arcivescovo che giocava capitali a Wall Street e ingigantiva la borsa vaticana, aveva terminato la sua corsa. Inseguito dal crack della finanza "amica" dell'Ambrosiano - che ha travolto capitali della banda della Magliana - lo Ior ha dovuto sborsare almeno 250 milioni di dollari per tacitare i creditori. Licio Gelli, alla sua morte, giurò di non aver mai conosciuto Marcinkus, ma c'è poco da credergli visti i contatti tra massoneria P2, Michele Sindona, Roberto Calvi e Ior dell'epoca.
Marcinkus in fondo se l'è cavata con poco. Sostituito nell'incarico nell'89 da un interregno di monsignor Donato De Bonis, che ne era stato collaboratore, è tornato negli Usa. Secondo Francesco Cossiga quel suo ritiro dimostrerebbe quanto fosse umile il monsignore. In realtà Marcinkus fu allontanato dopo quarant'anni trascorsi in Vaticano. Era nato a Cicero, vicino a Chicago, nella stessa città di Al Capone. Paolo VI lo fece vescovo nel 1969 e due anni dopo lo promosse dalla sezione inglese della Segreteria di stato alla direzione dell'Istituto opere di religione, lo Ior appunto.
Con Wojtyla per lui, americano di origini lituane, fu un vero cursus honorum e per poco mancò la berretta cardinalizia. Organizzò 35 viaggi papali all'estero e una volta a Manila lanciò il suo robusto corpo per proteggere il pontefice da un attentato. Ma sembra proprio che tra le sue benemerenze agli occhi del papa polacco ci fossero gli aiuti finanziari a Solidarnosc contro il regime del Poup in Polonia. Il banchiere di Dio giocò la sua spregiudicatezza anche in America Latina che in quegli anni era dominata dalle dittature di destra. E non faceva certo favori all'opposizione. D'altra parte lo Ior aveva prescelto la finanza mondiale. Solo alla fine, quando il Vaticano dovette mettere mano al portafoglio per saldare i contraccolpi dell'era Marcinkus, Wojtyla si decise a riformare lo Ior. Angelo Caloja, il banchiere cattolico che ha guidato questo processo e che tuttora sovraintende alla banca vaticana, ha tuttavia avallato l'immagine di un Marcinkus senza peccati mortali, soltanto «facilone, pressapochista, mal consigliato», tuttavia «onesto».
Un quadretto rassicurante per una delle figure più imbarazzanti della storia pontificia recente. E non soltanto per quei suoi modi yankee che infastidivano la felpata discrezione curiale.
Liberazione del 25 giugno 2008, pag. 14
di Fulvio Fania
Il morto interrogato non rispose. Chiamano in causa i defunti le ultime rivelazioni di Sabrina Minardi, la compagna del boss della Magliana Enrico De Pedis detto Renatino, sul rapimento di Emanuela Orlandi. E nella calura di questo inizio estate c'è il rischio che l'improvviso incendio venga spento come fuoco fatuo.
Un morto illustre spicca su tutti, l'arcivescovo Paul Casimir Marcinkus, deceduto il 20 febbraio di due anni fa. L'atletico prelato americano, per lunghi anni disinvolto presidente dello Ior, ora accusato dalla donna come mandante del rapimento della ragazza, non potrà replicare. In sua difesa interviene la Santa sede.
«Si divulgano accuse infamanti senza fondamento nei confronti di monsignor Marcinkus morto da tempo e impossibilitato a difendersi», dichiara il direttore della Sala stampa Federico Lombardi che prosegue: «Colpisce l'amplissima divulgazione giornalistica di informazioni riservate non sottoposte a verifica alcuna, provenienti da una testimonianza di valore estremamente dubbio». Il padre gesuita sembra alludere alla incongruenza di date già emersa dalle rivelazioni di Sabrina Minardi secondo la quale il cadavere di Emanuela, assassinata, sarebbe stato impastato nel cemento di una betoniera a Torvajanica insieme a quello dell'undicenne Domenico Nicitra che in realtà fu trucidato diversi anni dopo.
Il Vaticano, pur contestando il «sensazionalismo» della stampa, assicura di «non voler in alcun modo interferire con i compiti della magistratura nella sua doverosa verifica di fatti e responsabilità».
Marcinkus, da parte sua, non si mostrò molto loquace neppure da vivo quando, nel 1987, si avvalse dell'immunità vaticana per sottrarsi al mandato d'arresto spiccato dal giudice istruttore Renato Bricchetti per il crack del Banco Ambrosiano, lo scandalo esploso nel 1981 e già costato la vita al banchiere Roberto Calvi. Nella ricostruzione fornita dalla donna i due gialli si intrecciano. La verità del rapimento Orlandi andrebbe cercata in quel groviglio di ricatti e interessi finanziari, anziché nei depistaggi delle piste bulgare, dell'attentato al Papa e del Lupo grigio Ali Agca. La versione di Sabrina Minardi converge «in parte» con quella offerta dal pentito della banda della Magliana Antonio Mancini. Identica l'accusa ad Enrico De Pedis di aver ucciso Emanuela, figlia di un commesso di Casa Pontificia e cittadina vaticana, rapita all'uscita della scuola di musica il 22 giugno del 1983. Minardi punta più esplicitamente il dito contro l'arcivescovo che, sentendosi ormai perduto, avrebbe tentato di ricattare il papa per costringerlo a non mollarlo. Negli ambienti vaticani preferiscono far credere invece ad un ricatto della mafia per riavere i soldi persi nel fallimento dell'Ambrosiano. Ma non è finita. Senza bisogno di addossare a Marcinkus addirittura la responsabilità di un rapimento emergono altre inquietanti supposizioni. Secondo alcuni giornali l'allora vice capo del Sisde Vincenzo Parisi, in una nota rimasta riservata fino al 1995, avrebbe fornito un identikit del famoso "amerikano" delle telefonate anonime alla famiglia durante il sequestro che corrisponderebbe alle caratteristiche del capo dello Ior.
Marcinkus è morto in una sorta di esilio a Sun City in una parrocchia dell'Illinois, ormai lontano dai soldi e dai poteri di curia. Enrico De Pedis, il capo banda della Magliana, fu ucciso dai suoi in un regolamento di conti a Campo de' Fiori e sepolto beato per declarati meriti di donazione ai poveri nella basilica papale di Sant'Apollinare, onorato come un non comune mortale in piena proprietà pontificia grazie a misteriosi ordini superiori. Quel sepolcro di criminale in terra sacra resta immobile come un colossale interrogativo sui misteri di curia, per lo meno sulle vere ragioni che spinsero don Piero Vergari, rettore della basilica retta dall'Opus Dei, a benedire Renatino con tanta devozione. Nessuno rimuoverà la tomba. Nel 2005, infatti, il Vicariato di Roma spiegò che «per il rispetto che si deve ad ogni defunto» ci si doveva rassegnare a pregare accanto alle spoglie del capo della Magliana.
E' ormai morto anche il padre della povera Emanuela che, stando alle ultime rivelazioni, avrebbe visto in Vaticano carte che non doveva vedere e per questo sarebbe stato colpito con il sequestro della figlia. Una tesi che la famiglia respinge in modo categorico.
Dietro le mura apostoliche in queste ore sembra riaffacciarsi un incubo. Di nuovo Marcinkus: credevano di aver chiuso il capitolo agli inizi degli anni Novanta. Il banchiere di Dio che giocava a golf e faceva girare soldi a palate dallo Ior a società con sede nelle Bahamas, come la Overseas fondata insieme a Roberto Calvi, l'arcivescovo che giocava capitali a Wall Street e ingigantiva la borsa vaticana, aveva terminato la sua corsa. Inseguito dal crack della finanza "amica" dell'Ambrosiano - che ha travolto capitali della banda della Magliana - lo Ior ha dovuto sborsare almeno 250 milioni di dollari per tacitare i creditori. Licio Gelli, alla sua morte, giurò di non aver mai conosciuto Marcinkus, ma c'è poco da credergli visti i contatti tra massoneria P2, Michele Sindona, Roberto Calvi e Ior dell'epoca.
Marcinkus in fondo se l'è cavata con poco. Sostituito nell'incarico nell'89 da un interregno di monsignor Donato De Bonis, che ne era stato collaboratore, è tornato negli Usa. Secondo Francesco Cossiga quel suo ritiro dimostrerebbe quanto fosse umile il monsignore. In realtà Marcinkus fu allontanato dopo quarant'anni trascorsi in Vaticano. Era nato a Cicero, vicino a Chicago, nella stessa città di Al Capone. Paolo VI lo fece vescovo nel 1969 e due anni dopo lo promosse dalla sezione inglese della Segreteria di stato alla direzione dell'Istituto opere di religione, lo Ior appunto.
Con Wojtyla per lui, americano di origini lituane, fu un vero cursus honorum e per poco mancò la berretta cardinalizia. Organizzò 35 viaggi papali all'estero e una volta a Manila lanciò il suo robusto corpo per proteggere il pontefice da un attentato. Ma sembra proprio che tra le sue benemerenze agli occhi del papa polacco ci fossero gli aiuti finanziari a Solidarnosc contro il regime del Poup in Polonia. Il banchiere di Dio giocò la sua spregiudicatezza anche in America Latina che in quegli anni era dominata dalle dittature di destra. E non faceva certo favori all'opposizione. D'altra parte lo Ior aveva prescelto la finanza mondiale. Solo alla fine, quando il Vaticano dovette mettere mano al portafoglio per saldare i contraccolpi dell'era Marcinkus, Wojtyla si decise a riformare lo Ior. Angelo Caloja, il banchiere cattolico che ha guidato questo processo e che tuttora sovraintende alla banca vaticana, ha tuttavia avallato l'immagine di un Marcinkus senza peccati mortali, soltanto «facilone, pressapochista, mal consigliato», tuttavia «onesto».
Un quadretto rassicurante per una delle figure più imbarazzanti della storia pontificia recente. E non soltanto per quei suoi modi yankee che infastidivano la felpata discrezione curiale.