Il salario dei parroci. La storia della congrua
Corriere della Sera del 2 giugno 2008, pag. 25
di Sergio Romano
Non posso essere del tutto d’accordo con la risposta da lei data al lettore sul tema dell’otto per mille. Per una semplice constatazione. Nella sua analisi non ha tenuto conto della motivazione per la quale lo Stato italiano nel 1929 riconobbe una congrua ai sacerdoti. Mi riferisco all’esproprio dei beni della Chiesa operato dal neonato governo italiano in seguito alla caduta dello Stato Pontificio. I Patti Lateranensi furono una specie di concordato di pace tra Stato e Chiesa che giovava oltretutto ad entrambi. La congrua ai sacerdoti fu quindi una compensazione al valore dei beni sottratti alla Chiesa e non un benefit come si direbbe oggi. Se nel 1984 il governo Craxi avesse abolito tout court la congrua, avrebbe certamente operato un sopruso. Sarebbe stato come dire: «Chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato».
Non sono uno storico, tanto meno un accademico, pertanto posso avere espresso un giudizio inesatto. Mi sono solo affidato ai miei ricordi storici. Tuttavia se quanto da me ricordato ha un qualche fondamento sarebbe opportuno dare un giudizio più completo sul tema dell’otto per mille. Può gentilmente dire qualche cosa in merito ai lettori? Luigi Nale
Risponde Sergio Romano: Caro Nale,
fra la confisca dei beni ecclesiastici e il pagamento della congrua non esiste alcun rapporto. Forse il miglior modo per rispondere ai suoi quesiti è quello di ricordare quali furono le tappe finanziarie dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa dopo l’ingresso dei bersaglieri a Porta Pia il 20 settembre 1870.
La soluzione adottata unilateralmente dal governo fu la Legge delle Guarentigie, approvata dal Parlamento il 13 marzo 1871. Furono definiti i poteri del Pontefice, le sue prerogative e gli impegni che l’Italia avrebbe assunto per consentirgli di esercitare le sue funzioni. Fu stabilito che l’Italia avrebbe rinunciato ad alcuni dei diritti che i sovrani avevano rivendicato e ottenuto nel corso dei loro secolari rapporti con la Chiesa di Roma: il controllo sulle leggi e sugli atti delle autorità ecclesiastiche, il giuramento di fedeltà dei vescovi, la preventiva autorizzazione del governo per la convocazione dei concili.
E venne promesso, infine, che lo Stato avrebbe corrisposto alla Chiesa, ogni anno, una dotazione pari a 3.225.000 lire. La Chiesa accettò di buon grado, pur senza dirlo esplicitamente, la rinuncia del potere secolare alle antiche pretese di molti sovrani europei, ma non volle accettare la dotazione. Vi era allora al vertice della Chiesa italiana la speranza che lo Stato dei Savoia avrebbe avuto vita breve e che la Santa Sede avrebbe riconquistato nel giro di qualche anno, con l’aiuto delle potenze cattoliche, i territori perduti.
Quando cominciarono i negoziati per la Conciliazione, dopo l’avvento di Mussolini al potere, esisteva quindi un irrisolto problema finanziario.
La somma delle dotazioni annuali non percepite e dei relativi interessi ammontava a 3.160.501.112,76 lire, ma i tempi della prescrizione avevano ridotto considerevolmente il debito dello Stato italiano.
I negoziatori concordarono una via di mezzo: 750 milioni in contanti e un miliardo di consolidato 5 per cento al portatore.
La congrua, tuttavia, non ebbe alcuna parte nella trattativa per la semplice ragione che lo Stato aveva cominciato a pagarla, di sua iniziativa, molti anni prima. Per comprendere quella decisione occorre ricordare che la classe dirigente dello Stato liberale considerava i parroci come una categoria a sé, diversa da quella delle Congregazioni e degli Ordini monastici. Mentre questi ultimi erano stati strenuamente anti-unitari, i parroci si erano dimostrati, soprattutto durante le due guerre del primo Novecento (la guerra di Libia e la Grande guerra), straordinariamente patriottici. Lo Stato colpì prevalentemente i beni degli ordini monastici e se ne servì per costruire le scuole e gli ospedali di cui il Paese aveva urgente bisogno. Ma considerò i parroci alla stregua di una funzione pubblica parallela, utile al benessere spirituale del Paese. E quando, nel 1984, ritenne, giustamente, che il pagamento del salario a un sacerdote non fosse compito del governo, si dette da fare per trovare un’altra formula.
Peccato che l’8 per mille sia anch’esso un aiuto di Stato e che la congrua rappresenti ormai soltanto un terzo della somma versata ogni anno alla Chiesa italiana.
Corriere della Sera del 2 giugno 2008, pag. 25
di Sergio Romano
Non posso essere del tutto d’accordo con la risposta da lei data al lettore sul tema dell’otto per mille. Per una semplice constatazione. Nella sua analisi non ha tenuto conto della motivazione per la quale lo Stato italiano nel 1929 riconobbe una congrua ai sacerdoti. Mi riferisco all’esproprio dei beni della Chiesa operato dal neonato governo italiano in seguito alla caduta dello Stato Pontificio. I Patti Lateranensi furono una specie di concordato di pace tra Stato e Chiesa che giovava oltretutto ad entrambi. La congrua ai sacerdoti fu quindi una compensazione al valore dei beni sottratti alla Chiesa e non un benefit come si direbbe oggi. Se nel 1984 il governo Craxi avesse abolito tout court la congrua, avrebbe certamente operato un sopruso. Sarebbe stato come dire: «Chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato».
Non sono uno storico, tanto meno un accademico, pertanto posso avere espresso un giudizio inesatto. Mi sono solo affidato ai miei ricordi storici. Tuttavia se quanto da me ricordato ha un qualche fondamento sarebbe opportuno dare un giudizio più completo sul tema dell’otto per mille. Può gentilmente dire qualche cosa in merito ai lettori? Luigi Nale
Risponde Sergio Romano: Caro Nale,
fra la confisca dei beni ecclesiastici e il pagamento della congrua non esiste alcun rapporto. Forse il miglior modo per rispondere ai suoi quesiti è quello di ricordare quali furono le tappe finanziarie dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa dopo l’ingresso dei bersaglieri a Porta Pia il 20 settembre 1870.
La soluzione adottata unilateralmente dal governo fu la Legge delle Guarentigie, approvata dal Parlamento il 13 marzo 1871. Furono definiti i poteri del Pontefice, le sue prerogative e gli impegni che l’Italia avrebbe assunto per consentirgli di esercitare le sue funzioni. Fu stabilito che l’Italia avrebbe rinunciato ad alcuni dei diritti che i sovrani avevano rivendicato e ottenuto nel corso dei loro secolari rapporti con la Chiesa di Roma: il controllo sulle leggi e sugli atti delle autorità ecclesiastiche, il giuramento di fedeltà dei vescovi, la preventiva autorizzazione del governo per la convocazione dei concili.
E venne promesso, infine, che lo Stato avrebbe corrisposto alla Chiesa, ogni anno, una dotazione pari a 3.225.000 lire. La Chiesa accettò di buon grado, pur senza dirlo esplicitamente, la rinuncia del potere secolare alle antiche pretese di molti sovrani europei, ma non volle accettare la dotazione. Vi era allora al vertice della Chiesa italiana la speranza che lo Stato dei Savoia avrebbe avuto vita breve e che la Santa Sede avrebbe riconquistato nel giro di qualche anno, con l’aiuto delle potenze cattoliche, i territori perduti.
Quando cominciarono i negoziati per la Conciliazione, dopo l’avvento di Mussolini al potere, esisteva quindi un irrisolto problema finanziario.
La somma delle dotazioni annuali non percepite e dei relativi interessi ammontava a 3.160.501.112,76 lire, ma i tempi della prescrizione avevano ridotto considerevolmente il debito dello Stato italiano.
I negoziatori concordarono una via di mezzo: 750 milioni in contanti e un miliardo di consolidato 5 per cento al portatore.
La congrua, tuttavia, non ebbe alcuna parte nella trattativa per la semplice ragione che lo Stato aveva cominciato a pagarla, di sua iniziativa, molti anni prima. Per comprendere quella decisione occorre ricordare che la classe dirigente dello Stato liberale considerava i parroci come una categoria a sé, diversa da quella delle Congregazioni e degli Ordini monastici. Mentre questi ultimi erano stati strenuamente anti-unitari, i parroci si erano dimostrati, soprattutto durante le due guerre del primo Novecento (la guerra di Libia e la Grande guerra), straordinariamente patriottici. Lo Stato colpì prevalentemente i beni degli ordini monastici e se ne servì per costruire le scuole e gli ospedali di cui il Paese aveva urgente bisogno. Ma considerò i parroci alla stregua di una funzione pubblica parallela, utile al benessere spirituale del Paese. E quando, nel 1984, ritenne, giustamente, che il pagamento del salario a un sacerdote non fosse compito del governo, si dette da fare per trovare un’altra formula.
Peccato che l’8 per mille sia anch’esso un aiuto di Stato e che la congrua rappresenti ormai soltanto un terzo della somma versata ogni anno alla Chiesa italiana.