La pillola del giorno dopo e l’alibi dell’obiezione di coscienza
L'Opinione del 20 giugno 2008, pag. 5
di Alessandro Litta Modignani
Se mai qualcuno avesse ancora bisogno di un esempio, per capire fino a che punto la presenza del Vaticano in Italia condiziona negativamente le leggi dello Stato e la libertà degli individui, eccolo servito. La questione della cosiddetta "pillola del giorno dopo" è emblematica ed estremamente significativa dell’arretratezza culturale e politica della vita pubblica italiana. Chiariamo subito che questo farmaco non può a nessun titolo essere considerato abortivo. La "pillola dei giorno dopo" - ma sarebbe meglio chiamarla contraccezione d’emergenza - infatti non agisce sull’ovulo fecondato (contrariamente alla RU 486, che provoca l’aborto farmacologico), né impedisce l’insediamento dell’ovulo stesso all’interno dell’utero, come avviene con la spirale. Al contrario, il "levonorgestrel" è un progestinico che agisce sull’ovulazione, impedendo la penetrazione dello spermatozoo, come qualsiasi altro contraccettivo a base di ormoni. Proprio per questa ragione, esso è tanto più efficace quanto prima viene assunto, dopo un rapporto a rischio. Questa pillola esercita la sua massima efficacia (95%) nelle prime 12 ore, mentre la mantiene alta (60%) entro le 60 ore successive. Più tardi perde progressivamente di efficacia sino a risultare del tutto inutile, a ovulo fecondato, anche se non dannosa: la contraccezione di emergenza non presenta infatti controindicazioni di alcun genere.
Perché allora in Italia viene pretesa la ricetta medica? Essa non è richiesta in Francia, in Gran Bretagna né in gran parte d’Europa; non in Israele né in Tunisia e neppure negli Stati Uniti di Bush, che ne hanno abolito l’obbligo due ani fa. Ma soprattutto, perché mai a un medico deve essere consentito di rifiutarsi di prescriverla? Quale obiezione di coscienza può mai essere invocata, in questo caso? La risposta è elementare. Essa proviene, manco a dirlo, dai soliti che poi alzano il ditino contro gli "atteggiamenti ideologici" (quelli degli altri, ovviamente), nonché contro l’immancabile fondamentalismo laicista e la deriva relativista della nostra società. Insomma dai fanatici dell’integralismo religioso. Il Vaticano è da sempre contrario non solo alla lealizzazione dell’aborto, ma anche a qualsiasi forma di contraccezione, e i suoi seguaci politici si adeguano. Se usare il preservativo è peccato, perché mai - in caso di rottura di questa "cosa cattiva" - si dovrebbe collaborare con chi cerca di porvi rimedio? Lo Stato non considera forse la religione cattolica un valore positivo, e la sua Chiesa un’autorità morale? Ecco allora che per la doma cui è capitato questo inconveniente, inizia un angoscioso calvario. Costei dovrà girare di farmacia in farmacia, vedendosi negare la pillola per mancanza di ricetta; allora sarà costretta a vagare tutta la notte da un pronto soccorso all’altro, per sentirsi rispondere da un’acida infermiera - pagato dallo Stato - che "qui siamo tutti obiettori", senza naturalmente ottenere uno straccio di diniego scritto. Intanto il tempo scorre inesorabile e lo spettro dell’aborto - quello vero - si materializza di ora in ora. Nei giorni scorsi, i Radicali hanno annunciato - grazie alla disponibilità di alcuni medici davvero coscienziosi - la messa a disposizione di due numeri telefonici d’emergenza, a Milano (345 50 11 223) e a Roma (333 98 56 046) durante il week-end. L’iniziativa è lodevole, ma non può certo colmare un disservizio pubblico generalizzato e in ogni caso non risolve il problema.
L’unica soluzione è l’abolizione della ricetta, ultimo alibi per un’obiezione di coscienza priva di assunto, come avviene in quasi tutti gli altri paesi occidentali, dove lo Stato è laico, liberale e civile.
L'Opinione del 20 giugno 2008, pag. 5
di Alessandro Litta Modignani
Se mai qualcuno avesse ancora bisogno di un esempio, per capire fino a che punto la presenza del Vaticano in Italia condiziona negativamente le leggi dello Stato e la libertà degli individui, eccolo servito. La questione della cosiddetta "pillola del giorno dopo" è emblematica ed estremamente significativa dell’arretratezza culturale e politica della vita pubblica italiana. Chiariamo subito che questo farmaco non può a nessun titolo essere considerato abortivo. La "pillola dei giorno dopo" - ma sarebbe meglio chiamarla contraccezione d’emergenza - infatti non agisce sull’ovulo fecondato (contrariamente alla RU 486, che provoca l’aborto farmacologico), né impedisce l’insediamento dell’ovulo stesso all’interno dell’utero, come avviene con la spirale. Al contrario, il "levonorgestrel" è un progestinico che agisce sull’ovulazione, impedendo la penetrazione dello spermatozoo, come qualsiasi altro contraccettivo a base di ormoni. Proprio per questa ragione, esso è tanto più efficace quanto prima viene assunto, dopo un rapporto a rischio. Questa pillola esercita la sua massima efficacia (95%) nelle prime 12 ore, mentre la mantiene alta (60%) entro le 60 ore successive. Più tardi perde progressivamente di efficacia sino a risultare del tutto inutile, a ovulo fecondato, anche se non dannosa: la contraccezione di emergenza non presenta infatti controindicazioni di alcun genere.
Perché allora in Italia viene pretesa la ricetta medica? Essa non è richiesta in Francia, in Gran Bretagna né in gran parte d’Europa; non in Israele né in Tunisia e neppure negli Stati Uniti di Bush, che ne hanno abolito l’obbligo due ani fa. Ma soprattutto, perché mai a un medico deve essere consentito di rifiutarsi di prescriverla? Quale obiezione di coscienza può mai essere invocata, in questo caso? La risposta è elementare. Essa proviene, manco a dirlo, dai soliti che poi alzano il ditino contro gli "atteggiamenti ideologici" (quelli degli altri, ovviamente), nonché contro l’immancabile fondamentalismo laicista e la deriva relativista della nostra società. Insomma dai fanatici dell’integralismo religioso. Il Vaticano è da sempre contrario non solo alla lealizzazione dell’aborto, ma anche a qualsiasi forma di contraccezione, e i suoi seguaci politici si adeguano. Se usare il preservativo è peccato, perché mai - in caso di rottura di questa "cosa cattiva" - si dovrebbe collaborare con chi cerca di porvi rimedio? Lo Stato non considera forse la religione cattolica un valore positivo, e la sua Chiesa un’autorità morale? Ecco allora che per la doma cui è capitato questo inconveniente, inizia un angoscioso calvario. Costei dovrà girare di farmacia in farmacia, vedendosi negare la pillola per mancanza di ricetta; allora sarà costretta a vagare tutta la notte da un pronto soccorso all’altro, per sentirsi rispondere da un’acida infermiera - pagato dallo Stato - che "qui siamo tutti obiettori", senza naturalmente ottenere uno straccio di diniego scritto. Intanto il tempo scorre inesorabile e lo spettro dell’aborto - quello vero - si materializza di ora in ora. Nei giorni scorsi, i Radicali hanno annunciato - grazie alla disponibilità di alcuni medici davvero coscienziosi - la messa a disposizione di due numeri telefonici d’emergenza, a Milano (345 50 11 223) e a Roma (333 98 56 046) durante il week-end. L’iniziativa è lodevole, ma non può certo colmare un disservizio pubblico generalizzato e in ogni caso non risolve il problema.
L’unica soluzione è l’abolizione della ricetta, ultimo alibi per un’obiezione di coscienza priva di assunto, come avviene in quasi tutti gli altri paesi occidentali, dove lo Stato è laico, liberale e civile.