domenica 8 giugno 2008

Bioetica. Testamento di vita per scegliere come dire addio

La Repubblica 8.6.08
Bioetica. Testamento di vita per scegliere come dire addio
di Jenner Meletti

Nel nostro Paese esiste da tempo, migliaia di persone hanno firmato il proprio, ma senza una legge il documento non ha valore legale. È l´equivalente dell´americano "Living will": "Lì te lo chiedono appena entri in ospedale", dice Mario Riccio, il medico che ha assistito Piergiorgio Welby "È il paziente a stabilire quali interventi accetta e quali rifiuta"
La prima parte riguarda le terapie La seconda nomina un "rappresentante" del malato
"Spero che almeno i sanitari l´accettino Non potranno dire di non conoscere le mie volontà"

Un bel vestito verde, il colore della speranza. «A me piace davvero stare al mondo. Ho un cancro al seno ma spero di sconfiggerlo. Purtroppo so che a volte vince lui, inutile illudersi di essere immortali. Io sono una donna che nella vita ha accettato poche volte, e malvolentieri, le decisioni prese dagli altri: e allora voglio decidere anche come morire». Giuliana Michelini, sessant´anni compiuti a gennaio, nella borsona da milanese impegnata in mille cose ha anche la «Biocard, carta di autodeterminazione». Sorride e spiega. «Insomma, è il testamento biologico o testamento di vita. Io personalmente preferisco chiamarle "direttive anticipate". Ho scritto tutto quello che voglio sia fatto sul mio corpo quando - spero il più tardi possibile - non sarò più in grado di fare intendere le mie ragioni. Vede, per noi italiani è difficile parlare di certe cose. Siamo scaramantici. Ma io cerco di ragionare: a una certa età, e anche senza essere malata, capisci che la morte fa parte della vita. La morte, non la fine, l´esodo, l´atto finale… La morte deve essere chiamata con il suo nome. E bisogna prendere le misure giuste perché questa morte non sia preceduta da un´agonia infinita, straziante e inutile. I medici debbono fare di tutto per salvarmi la vita vera ma non possono decidere di tenermi comunque attaccata a una vita che non ha più nessun senso».
Il primo incontro con la proposta di testamento biologico in un convegno di due anni fa, organizzato dalla Consulta di bioetica, fondata a Milano nel 1989, «per lo studio dei difficili problemi che si pongono nella medicina di oggi in particolare nelle situazioni di nascita e di morte». A colpire Giuliana Michelini è stata la storia di Eluana Englaro, una ragazza di Lecco in «coma vegetativo permanente» da sedici anni. «C´era suo padre, al convegno, e spiegava che anche senza nessuna speranza la ragazza viene alimentata artificialmente in un´agonia senza senso. Io allora non avevo il cancro al seno ma, come sempre nella mia vita, mi ero organizzata perché la morte non mi trovasse impreparata. Avevo già deciso di donare gli organi e di fare consegnare poi il mio corpo alla scienza, con la speranza che fosse utile per qualche ricerca. Avevo pensato anche al testamento biologico ma non avevo deciso. Poi, al supermercato, mi è successo un fatto piccolo ma importante».
Il carrello della spesa, una macchia d´acqua sul pavimento. «Insomma, sono scivolata all´indietro, stavo per battere la nuca. Potrà sembrare strano ma in quel nanosecondo ho fatto in tempo a pensare: adesso sbatto la testa contro le bottiglie del vino a vado in coma. Oddio, non ho firmato il testamento. Finirò come la povera Eluana. All´ultimo istante ho messo il braccio indietro, me lo sono rovinato ma ho salvato la testa. Dopo pochi giorni sono andata a firmare le mie "direttive anticipate". Come "rappresentante fiduciario", vale a dire la persona che dovrà garantire che siano rispettate le mie volontà, ho nominato un amico, che fra l´altro è un bravo medico».
Sorride, la signora Giuliana. L´appuntamento è in un bar di San Babila, dopo una riunione della Lega italiana nuove famiglie (lei è la coordinatrice) e prima di una riunione della Consulta di bioetica. «Dopo quella firma mi sono sentita meglio. Vede, io non ho parenti stretti e sentivo dentro una certa paura. Nel momento in cui non sarò in grado di parlare o di capire - pensavo - sarò del tutto sola. Mio padre se n´è andato a novantacinque anni ma almeno aveva me vicino. Io spero sempre che la morte arrivi tardi e con un colpo secco, ma adesso so che se non va così avrò al mio fianco il "rappresentante" che farà di tutto per evitarmi le sofferenze che non sono necessarie. Ci ho pensato bene, prima di firmare le diverse clausole del testamento. Ho detto sì, ad esempio, alla rianimazione in caso di arresto cardiaco. Ho detto no a quei "provvedimenti di sostegno vitale" come l´alimentazione artificiale e altri interventi che abbiano soltanto l´obiettivo di "prolungare il mio morire", "mantenermi in uno stato di incoscienza permanente o in uno stato di demenza avanzata non suscettibili di recupero". In ospedale ci sarà comunque il mio rappresentante. Lui mi conosce bene, saprà decidere al posto mio. È per questo che, appena messa quella firma, ho sentito dentro un senso di pace».
Sono ormai migliaia le persone che hanno firmato il testamento biologico che però, in assenza della legge, non ha ancora valore legale. «In Italia», dice Mario Riccio, il medico anestesista rianimatore che ha seguito Piergiorgio Welby, «tanti si dichiarano contrari a questo "testamento" precisando però di essere anche contro l´accanimento terapeutico. A me viene in mente la favola di Bertoldo, che accetta la pena di morte ma chiede di poter scegliere dove essere impiccato e non trova mai la pianta giusta. Insomma, si parla tanto di "accanimento terapeutico" - solo in Italia, perché nel linguaggio medico internazionale si parla di interventi utili o inutili - per non discutere il tema vero, quello dell´autodeterminazione. Accanimento è termine del tutto soggettivo. C´è chi non vuole l´alimentazione forzata e chi invece l´accetta. Welby ha voluto essere staccato dal respiratore artificiale e altri hanno deciso di restare attaccati alle macchine. La signora che ha rifiutato di farsi amputare una gamba ha rifiutato un intervento salvavita o un accanimento terapeutico? Così si continua a discutere per anni e non si arriva a trovare la soluzione più semplice: ogni persona ha il diritto di scegliere se, come e fino a quando essere curata».
Anche il dottor Riccio è nella Consulta di bioetica fondata da Renato Boeri e oggi guidata da Maurizio Mori. «Ci sono medici, giuristi, filosofi e anche persone come Beppino Englaro, il padre di Eluana, la ragazza in stato vegetativo. Il suo caso è stato discusso nei tribunali e anche in Cassazione. Una prima sentenza disse che l´alimentazione forzata "non è terapia ma cura della persona" e come tale non può essere sospesa. La Cassazione, nell´ottobre scorso, ha invece preso atto che la ragazza in due occasioni aveva espresso la volontà di non essere mantenuta in uno stato vegetativo: un suo amico e il suo mito di ragazza sciatrice, Leonardo David, erano finiti in coma a causa di incidenti e lei aveva detto che, se fosse successo a lei, non avrebbe mai voluto essere tenuta in vita con le macchine. Ora si dovrà rifare il processo e non sarà una discussione facile. La Cassazione ha infatti stabilito che l´alimentazione artificiale potrà essere sospesa solo se si avrà "la ragionevole certezza che non ci sia un ritorno di coscienza"».
Il documento da firmare presso la Consulta di bioetica si chiama «testamento di vita». «È una traduzione approssimativa», dice Mario Riccio, «dall´inglese Living will, la volontà del vivente. Negli ospedali americani, quando entri anche per un´otite o un menisco, ti chiedono il Living will. È scritto in due parti. Nella prima il paziente decide quali interventi accettare e quali rifiutare. Alimentazione forzata sì o no, ventilazione artificiale sì o no, rianimazione cardiaca… Tutto scritto, punto per punto. Nella seconda parte c´è invece una delega: si sceglie una persona che possa decidere al posto del malato se questi non sarà in grado di decidere da solo. Abbiamo studiato bene quel documento e la nostra Biocard, carta di autodeterminazione, ne ricalca i punti essenziali».
Difficile comprendere l´opposizione a una proposta come questa. «Certo, come è difficile capire perché la schiavitù sia stata abolita solo nel Diciannovesimo secolo, perché le donne in Italia votino solo da sessant´anni, perché le stesse donne fino al 1961 non potessero fare i magistrati… Il cammino dell´autodeterminazione è lungo e difficile. Quando poi questo concetto entra in un ospedale, si scontra con il paternalismo del medico, nuovo pater familias che "per il tuo bene" decide tutto ciò che riguarda la tua salute, senza chiedere consenso e a volte senza informare. In fin dei conti il nostro è l´unico Paese dove alle ultime elezioni è stata presentata una "lista etica" a sostegno della nascita e soprattutto della "morte naturale". Ecco un altro concetto che blocca la discussione sui temi etici. Cos´è oggi la morte naturale? Soprattutto, esiste ancora? Oggi salvo casi rarissimi si muore tutti dopo una diagnosi, una prognosi, una terapia. La morte di Giovanni Paolo II è stata giudicata "naturale" perché il Papa ha rifiutato di essere attaccato alle macchine. Per Piergiorgio Welby la morte naturale sarebbe arrivata dieci anni prima, quando fu colpito da crisi respiratoria. Lui ha vissuto altri dieci anni attaccato al respiratore poi ha detto basta. Eppure per tanti lui avrebbe dovuto aspettare un´altra "morte naturale". E io, che ho risposto alla sua richiesta di aiuto, per Rosy Bindi avrei commesso "un omicidio di consenziente che nessun tribunale di Dio o degli uomini potrà assolvere". Ma almeno dal tribunale degli uomini sono stato assolto».
La Biocard, per la signora Giuliana Michelini, è una specie di carta di credito. «Anche se ancora non c´è la legge, spero che sia accettata dai medici. Di fronte alle mie "direttive anticipate" almeno non potranno dire di non conoscere le mie volontà. Certo, per i medici è sempre difficile accettare che qualcuno possa decidere della propria vita. Io non voglio nulla di speciale. È da una vita che mi interesso di diritti e di libertà. Mi sono battuta per i consultori delle donne, ho fatto la volontaria per i detenuti di San Vittore. Adesso voglio difendere il mio ultimo diritto: non voglio soffrire inutilmente. Non voglio prolungare la vita, se questa non esiste più. Altre persone possono fare altre scelte. C´è chi crede che la sofferenza purifichi dal peccato ma non è il mio caso. L´ostacolo più grosso è fare i conti con la propria morte. Ecco, credo di avere superato questo ostacolo. Io non chiedo - è scritto nel documento - l´eutanasia. Chiedo solo che sia rispettato il mio diritto alla dignità».