martedì 3 giugno 2008

Non sapeva a memoria il Corano Bimbo cieco ucciso dal maestro

Non sapeva a memoria il Corano Bimbo cieco ucciso dal maestro

Corriere della Sera del 3 giugno 2008, pag. 17

di Viviana Mazza

Un bambino cieco di 7 anni, Mohammad Atif, è morto lunedì in una madrassa pachistana. La sua colpa: non aver imparato a memoria alcuni versetti del Corano.

Il papà, un bracciante nel paese di Vehari, zona di campi di cotone nella provincia orientale pachistana del Punjab, lo aveva iscritto 8 mesi fa in una madrassa, una scuola religiosa. Ma il maestro, Maulvi Ziauddin, ha scoperto che Mohammed non aveva memorizzato alcuni passi del Corano. Mercoledì scorso, per punirlo lo ha appeso a testa in giù al ventilatore del soffitto. Una volta liberato, Mohammad piangeva e allora il maestro lo ha picchiato con un bastone per farlo tacere. Il giorno dopo, il bambino è stato trovato morto nella stanza di Ziauddin, che si era dileguato.

Gli altri studenti e la famiglia hanno raccontato la storia alla stampa. Il cugino della vittima, Mohammad Amir, ha detto che, dopo essere stato slegato, il bambino «era isterico e gridava. Il maestro lo ha picchiato col suo bastone e Atif si è zittito. Poi lo ha fatto distendere in un'altra stanza e ha messo un lucchetto alla porta. Giovedì sera, mi ha dato la chiave del lucchetto e se n'è andato. Quando ho aperto la porta, ho trovato Atif morto». La causa: violenze fisiche e soffocamento secondo l'autopsia. Il bambino, cieco dalla nascita, era già stato picchiato dal maestro con un bastone di ferro. Ma i genitori lo avevano curato e poi rimandato a scuola, nella speranza che diventasse un mullah un giorno.

Ziauddin, catturato giovedì sera dalla polizia, ha confessato di aver picchiato il bambino e di averlo legato e tenuto appeso per mezz'ora. Aveva punito altri ragazzi in passato, ha aggiunto. A suo dire, Mohammad era troppo fragile. Il premier Yusuf Raza Gilani ha ordinato un'inchiesta e il maestro sarà processato per omicidio. Ma agli occhi di alcuni pachistani, attenti osservatori della società, la morte del bambino non è una sorpresa. «Le punizioni fisiche sono sistematiche nelle scuole religiose», dice al telefono da Karachi Abdul Waheed Khan, fondatore della «Bright Educational Society», istituto che si occupa di formazione degli insegnanti, che ha convinto 350 madrasse a insegnare anche materie come scienze e inglese oltre al Corano. «È un problema presente anche nelle scuole statali, ma in misura assai minore», aggiunge. Nel 1990, Khan ha lavorato in una madrassa per un anno per capire come funzionano. «Che vita è questa per i bambini? — disse dopo l'esperienza — Non potevano giocare. Ho visto abusi sessuali e stupri. Apprendevano da insegnanti senza alcuna preparazione».

Secondo stime ufficiali le madrasse in Pakistan sono 13.000 e contano 2 milioni di studenti. Accusate d'essere il punto di contatto tra la popolazione e i gruppi islamici estremisti, sono però anche una risposta alla carenza di scuole pubbliche, soprattutto nelle campagne. Gratuite, offrono alloggio ai bambini poveri. Nel 2002 il governo lanciò un programma per modernizzarle, includere altre materie oltre alla religione, stabilire standard educativi. Ma è stato sospeso. «Ci sono stati due o tre casi di violenze nelle madrasse negli ultimi mesi, in uno dei quali si trattava di abusi sessuali», dice Munizeh Zuberi, giornalista di Dawn, quotidiano pachistano in inglese. «Le madrasse non sono regolate in alcun modo dallo Stato — aggiunge —. Gli insegnanti, a parte il Corano, non hanno alcuna preparazione. Pensano che le punizioni fisiche siano normali perché anche loro sono stati educati così». Khan però afferma che gli abusi sui bambini in Pakistan sono un problema sociale diffuso anche al di fuori delle madrasse. Un rapporto dell'associazione «Lawyers for Human Rights and Legal Aid» osserva che sono stati denunciati 1.595 casi di violenze su minori nel 2007 e punta il dito contro le autorità, che non fanno applicare le leggi, e la mancanza di una cultura sui diritti dei bambini. «Quei casi sono solo la punta dell'iceberg — ha osservato il direttore Zia Awan —. L'80% non vengono denunciati».