Corriere di Como, 30 maggio 2008
Prima sentenza per don Mauro: otto anni
Il verdetto Il sacerdote è stato riconosciuto colpevole di violenza sessuale su un ragazzo
Il vescovo Coletti: «Piena fiducia nell’operato della magistratura»
Sono le 12.55 in punto quanto la voce del presidente del collegio, Alessandro Bianchi - a latere Luciano Storaci e Paola Braggion - taglia la tensione che attanaglia l’aula della Corte d’Assise. «In nome del popolo Italiano», segue il nome dell’imputato, don Mauro Stefanoni, e la parola “colpevole”, con la pena di otto anni.
In pratica tutto ciò che era stato chiesto dal pubblico ministero Maria Vittoria Isella, al termine di una requisitoria difficile da dimenticare.
Sono trascorse quasi tre ore e mezza da quando il giudice del processo per la violenza sessuale perpetrata ai danni di un ragazzo che, all’epoca dei fatti, era minorenne, è entrato in camera di consiglio.
Praticamente subito dopo che lo stesso pm e le parti civili - l’avvocato Nuccia Quattrone e Leonardo Ortelli - avevano rinunciato alle repliche dopo le arringhe della difesa che nell’ultima udienza avevano chiesto l’assoluzione dell’assistito «perché il fatto non sussiste».
Inizia la lunga attesa dell’accusa, con i genitori del ragazzo nei pressi dell’aula ad aspettare notizie, e don Mauro Stefanoni (che si è sempre dichiarato innocente), per la prima volta assente dal tribunale, ad attendere una telefonata dai propri legali, Guido Bomparola e Massimo Martinelli. Poi, quando suona la campanella e il collegio torna nell’aula della Corte d’Assise, il silenzio cala sui banchi. Bianchi legge la sentenza: otto anni a don Mauro, più 120mila euro come risarcimento danni al ragazzo e 30mila euro a testa ai due genitori.
La madre crolla in un pianto liberatorio, figlio della tensione accumulata in mesi di udienze.
Nessuno esulta, però, nell’aula. Non c’è gioia nemmeno in chi ha avuto riconosciuta la propria ragione.
Don Mauro non parla, neppure via telefono.
L’ex parroco di Laglio, oggi a Colico, si limita a riferire tramite i suoi avvocati di essere estremamente demoralizzato e amareggiato.
Dopo molti minuti, provati, escono dal tribunale anche i genitori del ragazzo, in aula per tutto il dibattimento a pochi passi dall’uomo accusato da loro figlio di violenza sessuale. «Non pensavo di mettermi a piangere - dice la madre - È stata fatta giustizia. È una vittoria molto amara, però, perché il danno ormai è stato fatto. È stato dato credito a quanto detto da mio figlio. Questo dimostra che non sempre i deboli devono soccombere». Toccando i tasti pigiati con forza dal pubblico ministero nel giorno della requisitoria quando, dopo aver sottolineato che in questo processo una delle «situazioni anomale è che la parte offesa ha un deficit cognitivo» che portava ad una difficoltà oggettiva nel «capirlo, ascoltarlo, interrogarlo», aggiunse: «So che vi chiedo un lavoro estenuante, da certosino - disse Maria Vittoria Isella - ma non fermatevi alle contraddizioni del ragazzo. Significherebbe che i deboli, tutti coloro che subiscono una violenza e non sono in grado di riferirla, non sono degni di tutela. Esaminiamo tutto concluse con una frase tanto ad effetto quanto provocatoria - e assolviamo l’imputato perché il fatto non sussiste ma non per insufficienza di prove».
Una posizione che precedette le arringhe della difesa con la determinata richiesta degli avvocati Bomparola e Martinelli, dopo aver definito le indagini della Procura «scandalose e condotte con una lente deformante», di assoluzione del proprio assistito perché «il fatto non sussiste».
I fatti che hanno portato alla condanna di ieri risalgono all’estate del 2004. Il 21 ottobre dello stesso anno poi, i genitori del ragazzo presero la difficile decisione di denunciare don Mauro Stefanoni per abusi sessuali sul loro figlio minorenne. Indagini che partirono immediatamente ma che non arrivarono a monitorare l’incontro tra il sospettato e il ragazzo. E proprio in questo contesto si inserisce, il 16 novembre del 2004, l’intervento della Curia comasca - al proposito ci sono tre indagati per favoreggiamento, il vescovo emerito Alessandro Maggiolini, monsignor Oscar Cantoni (oggi vescovo di Crema) e monsignor Enrico Bedetti - che avvisò l’allora parroco di Laglio delle indagini a suo carico.
Nel maggio 2005 don Mauro venne arrestato e messo ai “domiciliari” nella sua casa di Cantù, poi revocati dal tribunale del Riesame in autunno.
Il processo al parroco si aprì il 31 ottobre 2006 e, dopo oltre un anno e mezzo di battaglie in udienza ecco la pesante sentenza.
L’attesa adesso è per il 27 di agosto quando verranno depositate le motivazioni. In ogni caso, è certo il ricorso in Appello da parte dell’imputato.
Quella di ieri, insomma, è stata solo la prima tappa di una dolorosa vicenda che si concluderà soltanto con il terzo grado, vale a dire con la parola definitiva della Cassazione.
Mauro Peverelli
Prima sentenza per don Mauro: otto anni
Il verdetto Il sacerdote è stato riconosciuto colpevole di violenza sessuale su un ragazzo
Il vescovo Coletti: «Piena fiducia nell’operato della magistratura»
Sono le 12.55 in punto quanto la voce del presidente del collegio, Alessandro Bianchi - a latere Luciano Storaci e Paola Braggion - taglia la tensione che attanaglia l’aula della Corte d’Assise. «In nome del popolo Italiano», segue il nome dell’imputato, don Mauro Stefanoni, e la parola “colpevole”, con la pena di otto anni.
In pratica tutto ciò che era stato chiesto dal pubblico ministero Maria Vittoria Isella, al termine di una requisitoria difficile da dimenticare.
Sono trascorse quasi tre ore e mezza da quando il giudice del processo per la violenza sessuale perpetrata ai danni di un ragazzo che, all’epoca dei fatti, era minorenne, è entrato in camera di consiglio.
Praticamente subito dopo che lo stesso pm e le parti civili - l’avvocato Nuccia Quattrone e Leonardo Ortelli - avevano rinunciato alle repliche dopo le arringhe della difesa che nell’ultima udienza avevano chiesto l’assoluzione dell’assistito «perché il fatto non sussiste».
Inizia la lunga attesa dell’accusa, con i genitori del ragazzo nei pressi dell’aula ad aspettare notizie, e don Mauro Stefanoni (che si è sempre dichiarato innocente), per la prima volta assente dal tribunale, ad attendere una telefonata dai propri legali, Guido Bomparola e Massimo Martinelli. Poi, quando suona la campanella e il collegio torna nell’aula della Corte d’Assise, il silenzio cala sui banchi. Bianchi legge la sentenza: otto anni a don Mauro, più 120mila euro come risarcimento danni al ragazzo e 30mila euro a testa ai due genitori.
La madre crolla in un pianto liberatorio, figlio della tensione accumulata in mesi di udienze.
Nessuno esulta, però, nell’aula. Non c’è gioia nemmeno in chi ha avuto riconosciuta la propria ragione.
Don Mauro non parla, neppure via telefono.
L’ex parroco di Laglio, oggi a Colico, si limita a riferire tramite i suoi avvocati di essere estremamente demoralizzato e amareggiato.
Dopo molti minuti, provati, escono dal tribunale anche i genitori del ragazzo, in aula per tutto il dibattimento a pochi passi dall’uomo accusato da loro figlio di violenza sessuale. «Non pensavo di mettermi a piangere - dice la madre - È stata fatta giustizia. È una vittoria molto amara, però, perché il danno ormai è stato fatto. È stato dato credito a quanto detto da mio figlio. Questo dimostra che non sempre i deboli devono soccombere». Toccando i tasti pigiati con forza dal pubblico ministero nel giorno della requisitoria quando, dopo aver sottolineato che in questo processo una delle «situazioni anomale è che la parte offesa ha un deficit cognitivo» che portava ad una difficoltà oggettiva nel «capirlo, ascoltarlo, interrogarlo», aggiunse: «So che vi chiedo un lavoro estenuante, da certosino - disse Maria Vittoria Isella - ma non fermatevi alle contraddizioni del ragazzo. Significherebbe che i deboli, tutti coloro che subiscono una violenza e non sono in grado di riferirla, non sono degni di tutela. Esaminiamo tutto concluse con una frase tanto ad effetto quanto provocatoria - e assolviamo l’imputato perché il fatto non sussiste ma non per insufficienza di prove».
Una posizione che precedette le arringhe della difesa con la determinata richiesta degli avvocati Bomparola e Martinelli, dopo aver definito le indagini della Procura «scandalose e condotte con una lente deformante», di assoluzione del proprio assistito perché «il fatto non sussiste».
I fatti che hanno portato alla condanna di ieri risalgono all’estate del 2004. Il 21 ottobre dello stesso anno poi, i genitori del ragazzo presero la difficile decisione di denunciare don Mauro Stefanoni per abusi sessuali sul loro figlio minorenne. Indagini che partirono immediatamente ma che non arrivarono a monitorare l’incontro tra il sospettato e il ragazzo. E proprio in questo contesto si inserisce, il 16 novembre del 2004, l’intervento della Curia comasca - al proposito ci sono tre indagati per favoreggiamento, il vescovo emerito Alessandro Maggiolini, monsignor Oscar Cantoni (oggi vescovo di Crema) e monsignor Enrico Bedetti - che avvisò l’allora parroco di Laglio delle indagini a suo carico.
Nel maggio 2005 don Mauro venne arrestato e messo ai “domiciliari” nella sua casa di Cantù, poi revocati dal tribunale del Riesame in autunno.
Il processo al parroco si aprì il 31 ottobre 2006 e, dopo oltre un anno e mezzo di battaglie in udienza ecco la pesante sentenza.
L’attesa adesso è per il 27 di agosto quando verranno depositate le motivazioni. In ogni caso, è certo il ricorso in Appello da parte dell’imputato.
Quella di ieri, insomma, è stata solo la prima tappa di una dolorosa vicenda che si concluderà soltanto con il terzo grado, vale a dire con la parola definitiva della Cassazione.
Mauro Peverelli