Corriere della Sera 29.6.08
Un saggio di Jonathan Baron contesta le certezze del «mondo latino» e riapre il dibattito
Bioetica, quando l'utile è morale
La lezione degli scienziati anglosassoni: empirici e possibilisti
di Edoardo Boncinelli
Il conflitto
In questa «guerra di religione» si fronteggiano pragmatismo e utilitarismo da una parte, essenzialismo e normativismo dall'altra
Una guerra di religione o, se preferite, di mentalità, è in atto da un certo numero di anni qui, al centro dell'Europa; una guerra culturale che vede da una parte principalmente l'Italia, e alcune frange di altri Paesi latini, e dall'altra il mondo anglosassone. Certamente meno devastanti del razzismo, ma più sornione, pervasive e forse perniciose, le guerre di religione offrono a chi le combatte il vantaggio di potersi sentire buono, se non santo: si lotta per i propri valori e la propria identità. E ci si sente moralmente superiori. «Gli altri» al contrario non hanno sensibilità, sono barbari, mentre è inutile far notare che, come in ogni guerra, esistono persone degnissime da una parte e dall'altra e loschi figuri sull'una e sull'altra sponda. Nel caso specifico si fronteggiano pragmatismo e utilitarismo da una parte ed essenzialismo e normativismo dall'altra, per non parlare degli opposti atteggiamenti dei due mondi verso il materialismo e l'empirismo. Nel campo morale gli uni amano quasi sempre veder adottare norme universali imposte una volta per tutte, gli altri preferiscono un atteggiamento possibilista e maggiore disponibilità a decidere caso per caso.
La divergenza, nata probabilmente con lo sviluppo della filosofia inglese del Sei-Settecento, nelle sue articolazioni conoscitive e morali, ha raggiunto una nuova notorietà e grande popolarità con il diffondersi delle questioni bioetiche e più in generale con l'imporsi del dibattito pubblico sugli interrogativi sollevati dalla biomedicina. Nelle questioni bioetiche la mentalità angloamericana è avversata apertamente dalle gerarchie della Chiesa cattolica, ma anche da esponenti della cultura laica italiana che affermano con un sospiro che gli anglosassoni hanno una cultura e una sensibilità differenti, ovvero una cultura e una sensibilità sbagliate. Qualcuno in passato si è appellato addirittura a Kant, che sarebbe debitamente preso in considerazione dalle nostre parti, ma non da «quelli», e qualcuno è arrivato a demonizzare tutto ciò che si fa o si dice in campo bioetico soprattutto in Inghilterra, ma anche negli Stati Uniti e in Canada.
Come succede quasi sempre in questi casi, molte affermazioni nascono dall'ignoranza, per esempio a proposito della natura dell'utilitarismo, una dottrina filosofica considerata con grande sufficienza nel nostro Paese — al punto che nel linguaggio quotidiano l'aggettivo «utilitaristico » ha una connotazione assai negativa — ma che possiede invece un grande valore morale e politico se letto e studiato nella sua formulazione più autentica. Si tratta spesso di un vero e proprio abbaglio filosofico, alimentato da interessi culturali non sempre trasparenti.
Queste considerazioni mi sono venute prepotentemente alla mente leggendo Contro la bioetica di Jonathan Baron (Raffaello Cortina, a cura di Luca Guzzardi), un libro molto ponderato, aggiornato e coraggioso, centrato su alcuni aspetti particolari del ragionamento bioetico di oggi. Il titolo non deve ingannare; non si tratta di un libro contro la bioetica, ma di un tentativo sistematico di riconsiderarne alcuni lati sotto varie angolature. «Questo libro — dice infatti l'autore proprio all'inizio dell'opera — mette in relazione tre aree di ricerca che coltivo da anni: la teoria della decisione, l'utilitarismo e la bioetica applicata». Non insisterò sull'utilitarismo, una posizione che «ritiene che la scelta migliore sia quella che comporta il maggior bene atteso», perché ciò richiederebbe un discorso troppo lungo, ma vale la pena spendere due parole sulla moderna teoria della decisione, una disciplina che sta divenendo sempre più importante.
Partendo dalla considerazione che i pareri in tema di bioetica «tendono a fondarsi sulla tradizione e su giudizi intuitivi», l'autore ci ricorda quanto fallaci possano essere proprio i giudizi basati sull'intuizione e sulla prima impressione. Esistono ormai molti lavori, più o meno estesi e articolati, che illustrano tale punto con grande dovizia di particolari. Messo alla prova della logica, il nostro cervello fornisce molto spesso giudizi infondati e lo fa quasi sempre se deve pronunciarsi in fretta. È anche per questo motivo che molte cose costano 19,99 euro invece di 20 o 699 invece di 700. Se è costretto poi a ripensarci e a considerare le cose con più calma, il cervello di ciascuno di noi può anche ricredersi e formulare giudizi più corretti, ma in prima battuta siamo tutti inclini a sbagliare. E sempre nella stessa, prevedibile direzione. Sarebbe assurdo, dice Baron, non tenere conto di queste nostre tendenze innate, soprattutto oggi che le conosciamo bene, e arriva a proporre una sua «analisi utilitarista delle decisioni », una forma di ragionamento e di valutazione che potrebbe portare i comitati di bioetica o il consulente bioetico singolo a sbagliare di meno. Qualcuno potrebbe ribattere, dice il nostro autore, che gli eventuali sbagli sono «semplicemente il prezzo della moralità, ma quale "moralità" ci autorizza a peggiorare la situazione di qualcun altro? ». Al di sopra e al di là delle guerre ideologiche personali, dovrebbe esserci un'attenta e sollecita considerazione per il disagio e il dolore del singolo interessato: gli ideologi disputano, ma è il singolo che soffre. Lui e la sua famiglia.
Il saggio di Jonathan Baron, «Contro la bioetica», è edito da Raffaello Cortina (pp. 322, e 28)
Un saggio di Jonathan Baron contesta le certezze del «mondo latino» e riapre il dibattito
Bioetica, quando l'utile è morale
La lezione degli scienziati anglosassoni: empirici e possibilisti
di Edoardo Boncinelli
Il conflitto
In questa «guerra di religione» si fronteggiano pragmatismo e utilitarismo da una parte, essenzialismo e normativismo dall'altra
Una guerra di religione o, se preferite, di mentalità, è in atto da un certo numero di anni qui, al centro dell'Europa; una guerra culturale che vede da una parte principalmente l'Italia, e alcune frange di altri Paesi latini, e dall'altra il mondo anglosassone. Certamente meno devastanti del razzismo, ma più sornione, pervasive e forse perniciose, le guerre di religione offrono a chi le combatte il vantaggio di potersi sentire buono, se non santo: si lotta per i propri valori e la propria identità. E ci si sente moralmente superiori. «Gli altri» al contrario non hanno sensibilità, sono barbari, mentre è inutile far notare che, come in ogni guerra, esistono persone degnissime da una parte e dall'altra e loschi figuri sull'una e sull'altra sponda. Nel caso specifico si fronteggiano pragmatismo e utilitarismo da una parte ed essenzialismo e normativismo dall'altra, per non parlare degli opposti atteggiamenti dei due mondi verso il materialismo e l'empirismo. Nel campo morale gli uni amano quasi sempre veder adottare norme universali imposte una volta per tutte, gli altri preferiscono un atteggiamento possibilista e maggiore disponibilità a decidere caso per caso.
La divergenza, nata probabilmente con lo sviluppo della filosofia inglese del Sei-Settecento, nelle sue articolazioni conoscitive e morali, ha raggiunto una nuova notorietà e grande popolarità con il diffondersi delle questioni bioetiche e più in generale con l'imporsi del dibattito pubblico sugli interrogativi sollevati dalla biomedicina. Nelle questioni bioetiche la mentalità angloamericana è avversata apertamente dalle gerarchie della Chiesa cattolica, ma anche da esponenti della cultura laica italiana che affermano con un sospiro che gli anglosassoni hanno una cultura e una sensibilità differenti, ovvero una cultura e una sensibilità sbagliate. Qualcuno in passato si è appellato addirittura a Kant, che sarebbe debitamente preso in considerazione dalle nostre parti, ma non da «quelli», e qualcuno è arrivato a demonizzare tutto ciò che si fa o si dice in campo bioetico soprattutto in Inghilterra, ma anche negli Stati Uniti e in Canada.
Come succede quasi sempre in questi casi, molte affermazioni nascono dall'ignoranza, per esempio a proposito della natura dell'utilitarismo, una dottrina filosofica considerata con grande sufficienza nel nostro Paese — al punto che nel linguaggio quotidiano l'aggettivo «utilitaristico » ha una connotazione assai negativa — ma che possiede invece un grande valore morale e politico se letto e studiato nella sua formulazione più autentica. Si tratta spesso di un vero e proprio abbaglio filosofico, alimentato da interessi culturali non sempre trasparenti.
Queste considerazioni mi sono venute prepotentemente alla mente leggendo Contro la bioetica di Jonathan Baron (Raffaello Cortina, a cura di Luca Guzzardi), un libro molto ponderato, aggiornato e coraggioso, centrato su alcuni aspetti particolari del ragionamento bioetico di oggi. Il titolo non deve ingannare; non si tratta di un libro contro la bioetica, ma di un tentativo sistematico di riconsiderarne alcuni lati sotto varie angolature. «Questo libro — dice infatti l'autore proprio all'inizio dell'opera — mette in relazione tre aree di ricerca che coltivo da anni: la teoria della decisione, l'utilitarismo e la bioetica applicata». Non insisterò sull'utilitarismo, una posizione che «ritiene che la scelta migliore sia quella che comporta il maggior bene atteso», perché ciò richiederebbe un discorso troppo lungo, ma vale la pena spendere due parole sulla moderna teoria della decisione, una disciplina che sta divenendo sempre più importante.
Partendo dalla considerazione che i pareri in tema di bioetica «tendono a fondarsi sulla tradizione e su giudizi intuitivi», l'autore ci ricorda quanto fallaci possano essere proprio i giudizi basati sull'intuizione e sulla prima impressione. Esistono ormai molti lavori, più o meno estesi e articolati, che illustrano tale punto con grande dovizia di particolari. Messo alla prova della logica, il nostro cervello fornisce molto spesso giudizi infondati e lo fa quasi sempre se deve pronunciarsi in fretta. È anche per questo motivo che molte cose costano 19,99 euro invece di 20 o 699 invece di 700. Se è costretto poi a ripensarci e a considerare le cose con più calma, il cervello di ciascuno di noi può anche ricredersi e formulare giudizi più corretti, ma in prima battuta siamo tutti inclini a sbagliare. E sempre nella stessa, prevedibile direzione. Sarebbe assurdo, dice Baron, non tenere conto di queste nostre tendenze innate, soprattutto oggi che le conosciamo bene, e arriva a proporre una sua «analisi utilitarista delle decisioni », una forma di ragionamento e di valutazione che potrebbe portare i comitati di bioetica o il consulente bioetico singolo a sbagliare di meno. Qualcuno potrebbe ribattere, dice il nostro autore, che gli eventuali sbagli sono «semplicemente il prezzo della moralità, ma quale "moralità" ci autorizza a peggiorare la situazione di qualcun altro? ». Al di sopra e al di là delle guerre ideologiche personali, dovrebbe esserci un'attenta e sollecita considerazione per il disagio e il dolore del singolo interessato: gli ideologi disputano, ma è il singolo che soffre. Lui e la sua famiglia.
Il saggio di Jonathan Baron, «Contro la bioetica», è edito da Raffaello Cortina (pp. 322, e 28)