Corriere della Sera 21.5.08
Oltre 4 mila le feste dove i giovani «no sex» si impegnano all'astinenza fino alle nozze. Anche Harvard ha il suo club
Con papà al ballo della purezza. L'America delle nuove vergini
di Paolo Valentino
Il clou dell'incontro: il padre giura di proteggere la castità della ragazza I critici: residuo patriarcale da combattere
DES MOINES (Iowa) — All'inizio fu una festa fra amici, nella piccola comunità evangelica di Colorado Springs. Per celebrare la raggiunta pubertà della figlia più grande, Randy e Lisa Wilson si inventarono il Purity Ball, il ballo della purezza. Una serata di gala, nella quale si alternano danze e rituali, come il passaggio sotto due spade incrociate su un tappeto di rose bianche. E dove il clou è il giuramento del padre a proteggere la castità della ragazza, l'impegno pubblico a vegliare sulla sua astinenza sessuale fino al matrimonio.
Sono passati dieci anni e i «Purity Ball» sono diventati un fenomeno americano. Secondo l'Abstinence Clearinghouse, un gruppo che promuove il digiuno sessuale prima delle nozze, l'anno scorso ne sono stati organizzati 4400, soprattutto negli Stati conservatori del Sud e del Midwest degli Stati Uniti. Venerdì sera, a Colorado Springs, l'originale dei Wilson ha festeggiato la sua nona edizione, consacrata da una copertura mediatica quasi hollywoodiana e animata da padri e figlie venuti da ogni parte dell'America.
Non tutti i Purity Ball sono uguali. In molti di questi, anche alle ragazze è richiesto un «virginity pledge», un giuramento a rimanere vergini. I Wilson non condividono l'idea. Ma la sfida alla cosiddetta «hook up culture», la cultura permissiva dell'abbordaggio è la stessa: «Le nostre figlie si aspettano una mano da noi, per salvarsi da una mentalità dominante, che considera del tutto normale andare a letto con chiunque si desideri, una ricetta per il caos», dice Randy Wilson.
Criticati dagli osservatori femministi come «un residuo patriarcale, teso a perpetuare la sottomissione delle donne, quasi che la sessualità di una ragazza appartenga a suo padre o a suo marito», i balli della purezza sono però la parte più nazional- popolare e «kitsch» di un trend, che rivela aspetti molto più sofisticati e sorprendenti.
Veniva proprio da Colorado Springs, Janie Fredell, quando nel 2005 fu ammessa alla Harvard University. Le occorsero poche settimane per accorgersi che nel campus di Cambridge «fare sesso è assolutamente OK» e che «perfino l'Università ti spiega quali precauzioni usare ». Janie, forte del suo «virginity pledge», decise di reagire. Scrisse un articolo per il Crimson, il giornale di Harvard diretto, pensato e scritto dagli studenti, nel quale difese il «fascino misterioso della verginità, radicato non tanto nell'innocenza ma nella forza», che le costò lazzi e ironie nell'intero campus. Poi, nel 2006, incontrò il minuscolo drappello del True Love Revolution, un gruppo quasi catacombale che teorizza e pratica l'astinenza sessuale per ragazze e ragazzi, originato a Princeton già qualche anno prima e poi emerso anche in altre università della Ivy League, da Yale al Massachusetts Institute of Technology, tradizionali bastioni della cultura permissiva.
Due anni dopo, Fredell ne è co-presidente. Ad Harvard, il manipolo dei seguaci è cresciuto con parecchie centinaia di adesioni, acquistando soprattutto rispetto e influenza. E Janie ha lavorato molto per dare al gruppo basi meno religiose e più intellettuali, ricorrendo all'aiuto di pensatori cattolici come Elizabeth Anscombe e di filosofi come Ludwig Wittgenstein o John Stuart-Mill. Soprattutto, Janie rivendica la modernità del suo approccio: «Il femminismo convenzionale sostiene che controllare il proprio corpo significa la libertà di fare sesso senza conseguenze, come un uomo. Io sono una femminista anti-convenzionale, prendo possesso del mio corpo attraverso la scelta di non farlo, dicendo no agli uomini». Il massimo di popolarità, Janie lo ha raggiunto a ottobre, quando affrontò in una disputa pubblica la campionessa del sesso a go-go, Lena Chen, la provocante sex blogger del Crimson, che titolò a tutta pagina: «Belzebù contro la Vergine Maria».
Che i «virginity pledge» funzionino è tutto da discutere. Secondo lo studio di due sociologi della Columbia University, le statistiche mostrano che «chi ha preso l'impegno alla castità, conserva la sua verginità tecnica 18 mesi più a lungo delle adolescenti che non l'hanno fatto », ma «ha una probabilità sei volte più grande di praticare il sesso orale». Di più, quando ha la prima esperienza, «avviene di rado che usi un preservativo ».
Ma il punto è in fondo secondario. Pur contestata e discussa, l'astinenza sessuale diventa sempre più una scelta possibile per molti giovani americani, irrompendo anche nella cultura pop. Da Miley Cyrus, la quindicenne star di Disney criticata per sue foto troppo osé, a Adriana Lima, testimonial di una casa di biancheria intima, all'attrice Jessica Simpson, fino alla più celebre, la cantante Britney Spears, sono sempre più numerose le celebrità che hanno giurato di restare vergini.
Oltre 4 mila le feste dove i giovani «no sex» si impegnano all'astinenza fino alle nozze. Anche Harvard ha il suo club
Con papà al ballo della purezza. L'America delle nuove vergini
di Paolo Valentino
Il clou dell'incontro: il padre giura di proteggere la castità della ragazza I critici: residuo patriarcale da combattere
DES MOINES (Iowa) — All'inizio fu una festa fra amici, nella piccola comunità evangelica di Colorado Springs. Per celebrare la raggiunta pubertà della figlia più grande, Randy e Lisa Wilson si inventarono il Purity Ball, il ballo della purezza. Una serata di gala, nella quale si alternano danze e rituali, come il passaggio sotto due spade incrociate su un tappeto di rose bianche. E dove il clou è il giuramento del padre a proteggere la castità della ragazza, l'impegno pubblico a vegliare sulla sua astinenza sessuale fino al matrimonio.
Sono passati dieci anni e i «Purity Ball» sono diventati un fenomeno americano. Secondo l'Abstinence Clearinghouse, un gruppo che promuove il digiuno sessuale prima delle nozze, l'anno scorso ne sono stati organizzati 4400, soprattutto negli Stati conservatori del Sud e del Midwest degli Stati Uniti. Venerdì sera, a Colorado Springs, l'originale dei Wilson ha festeggiato la sua nona edizione, consacrata da una copertura mediatica quasi hollywoodiana e animata da padri e figlie venuti da ogni parte dell'America.
Non tutti i Purity Ball sono uguali. In molti di questi, anche alle ragazze è richiesto un «virginity pledge», un giuramento a rimanere vergini. I Wilson non condividono l'idea. Ma la sfida alla cosiddetta «hook up culture», la cultura permissiva dell'abbordaggio è la stessa: «Le nostre figlie si aspettano una mano da noi, per salvarsi da una mentalità dominante, che considera del tutto normale andare a letto con chiunque si desideri, una ricetta per il caos», dice Randy Wilson.
Criticati dagli osservatori femministi come «un residuo patriarcale, teso a perpetuare la sottomissione delle donne, quasi che la sessualità di una ragazza appartenga a suo padre o a suo marito», i balli della purezza sono però la parte più nazional- popolare e «kitsch» di un trend, che rivela aspetti molto più sofisticati e sorprendenti.
Veniva proprio da Colorado Springs, Janie Fredell, quando nel 2005 fu ammessa alla Harvard University. Le occorsero poche settimane per accorgersi che nel campus di Cambridge «fare sesso è assolutamente OK» e che «perfino l'Università ti spiega quali precauzioni usare ». Janie, forte del suo «virginity pledge», decise di reagire. Scrisse un articolo per il Crimson, il giornale di Harvard diretto, pensato e scritto dagli studenti, nel quale difese il «fascino misterioso della verginità, radicato non tanto nell'innocenza ma nella forza», che le costò lazzi e ironie nell'intero campus. Poi, nel 2006, incontrò il minuscolo drappello del True Love Revolution, un gruppo quasi catacombale che teorizza e pratica l'astinenza sessuale per ragazze e ragazzi, originato a Princeton già qualche anno prima e poi emerso anche in altre università della Ivy League, da Yale al Massachusetts Institute of Technology, tradizionali bastioni della cultura permissiva.
Due anni dopo, Fredell ne è co-presidente. Ad Harvard, il manipolo dei seguaci è cresciuto con parecchie centinaia di adesioni, acquistando soprattutto rispetto e influenza. E Janie ha lavorato molto per dare al gruppo basi meno religiose e più intellettuali, ricorrendo all'aiuto di pensatori cattolici come Elizabeth Anscombe e di filosofi come Ludwig Wittgenstein o John Stuart-Mill. Soprattutto, Janie rivendica la modernità del suo approccio: «Il femminismo convenzionale sostiene che controllare il proprio corpo significa la libertà di fare sesso senza conseguenze, come un uomo. Io sono una femminista anti-convenzionale, prendo possesso del mio corpo attraverso la scelta di non farlo, dicendo no agli uomini». Il massimo di popolarità, Janie lo ha raggiunto a ottobre, quando affrontò in una disputa pubblica la campionessa del sesso a go-go, Lena Chen, la provocante sex blogger del Crimson, che titolò a tutta pagina: «Belzebù contro la Vergine Maria».
Che i «virginity pledge» funzionino è tutto da discutere. Secondo lo studio di due sociologi della Columbia University, le statistiche mostrano che «chi ha preso l'impegno alla castità, conserva la sua verginità tecnica 18 mesi più a lungo delle adolescenti che non l'hanno fatto », ma «ha una probabilità sei volte più grande di praticare il sesso orale». Di più, quando ha la prima esperienza, «avviene di rado che usi un preservativo ».
Ma il punto è in fondo secondario. Pur contestata e discussa, l'astinenza sessuale diventa sempre più una scelta possibile per molti giovani americani, irrompendo anche nella cultura pop. Da Miley Cyrus, la quindicenne star di Disney criticata per sue foto troppo osé, a Adriana Lima, testimonial di una casa di biancheria intima, all'attrice Jessica Simpson, fino alla più celebre, la cantante Britney Spears, sono sempre più numerose le celebrità che hanno giurato di restare vergini.