Obiettori di coscienza e demonizzazione, così ne fanno carta straccia
Liberazione del 21 maggio 2008, pag. 12
di Eleonora Cirant
La più tormentata delle leggi italiane è di certo la 194 "per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza". Ciclicamente se ne invoca la piena applicazione, tanto da parte dello schieramento pro-scelta, quanto dagli avversari "pro-life". Gli uni sottolineano i punti della legge che garantiscono libertà di scelta, tutela della salute e della dignità della donna, tempi rapidi e metodiche efficaci; gli altri si appellano all'articolo 2, che prevede l'impegno per la rimozione delle cause che inducono la donna ad abortire, anche tramite convenzioni tra convenzioni tra i consultori e le associazioni di volontariato.
Tirata da una parte e dall'altra, la corda pende a sinistra o a destra a seconda delle stagioni politiche e dei rapporti di forza presenti nel paese.
Lo sgretolamento della legge dal suo interno è un processo che dura da anni, non appariscente, forte di procedure consolidate. Quali? La mancata applicazione della legge in alcune sue parti (art. 8, 9, 15), la negligenza rispetto ad altre leggi collegate (la 405 sui consultori, il Progetto obiettivo materno infantile) con il depauperamento dei consultori pubblici e il sostegno economico a consultori di matrice cattolica che sollevano "obiezione di coscienza di struttura", la criminalizzazione delle donne che scelgono di abortire, l'inserimento del concetto di vita sin dal concepimento in leggi e regolamenti regionali (fino ad obbligare alla sepoltura dei feti). La fuga di ginecologhe/i di recente formazione, che rifiutano in massa di praticare IVG prediligendo altri e più gratificanti percorsi; l'abbandono di politiche di prevenzione nelle scuole con la diffusione di una cultura della sessualità responsabile, rispettosa di sé e dell'altra/o.
I tempi di attesa tra la certificazione e l'intervento dimostrano il poco conto in cui sono tenuti gli articoli 8 e 9 della 194. Dopo una settimana dal suo rilascio, il documento che attesta la volontà della donna di abortire costituisce per legge «titolo per ottenere in via d'urgenza l'intervento». In pratica, una donna su 5 attende più di 3 settimane, mentre solo il 54.2% riesce ad abortire entro le due settimane. Questo grazie all'aumento del personale obiettore, rilevato anche nell'ultima relazione del ministero della Salute per tutte le professionalità, con i ginecologi al 69.2% (rispetto al 59.6% della precedente relazione), gli anestesisti al 50.4% (rispetto a 46.3%) e 42.6% per il personale non medico (39% nella precedente relazione). Questi valori raggiungono percentuali particolarmente elevate nel sud Italia, con una media del 71.5%. Al nord, Lombardia e Veneto si difendono bene, rispettivamente con un 68.6% e 79.1%. La situazione è variabile all'interno delle regioni, dove il monitoraggio dell'obiezione di coscienza è realizzato solo per iniziativa di associazioni e movimenti.
Poco conta che l'art. 9 della legge obblighi gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate ad «assicurare l'espletamento delle procedure previste», sottolineando che «la Regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale». Le liste d'attesa suggeriscono che la mobilità sia soprattutto quella delle donne, costrette a migrare da una città all'altra.
La legge è ignorata anche dal punto di vista dell'aggiornamento della tecnica e della formazione del personale (art. 15). Rimane infatti inaccessibile l'aborto medico, raccomandato dalla Commissione europea nel periodo tra la quinta e la settima settimana di gestazione. Il metodo Karman (con aspirazione) è il metodo più sicuro per l'interruzione del primo trimestre, ma il 35% delle Ivg è ancora effettuato con strumento metallico (raschiamento) e l'anestesia generale è praticata nell'85% dei casi, quando è dimostrato che aumenta i rischi.
Questi ed altri sono i punti su cui intervenire per una migliore applicazione della legge 194 secondo le linee guida pubblicate a marzo di quest'anno dall'ex Ministero della Salute.
Ma il governo Berlusconi sembra andare in tutt'altra direzione come hanno annunciato alcune sue esponenti: «informare le madri sulle strade alternative e sulla prevenzione all'aborto» per Giorgia Meloni; impedire la diffusione della RU486 per la sottosegretaria alla Salute Eugenia Roccella; promuovere «una normativa a favore della famiglia che incentivi le nascite» per la ministra alle Pari opportunità Mara Carfagna.
Liberazione del 21 maggio 2008, pag. 12
di Eleonora Cirant
La più tormentata delle leggi italiane è di certo la 194 "per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza". Ciclicamente se ne invoca la piena applicazione, tanto da parte dello schieramento pro-scelta, quanto dagli avversari "pro-life". Gli uni sottolineano i punti della legge che garantiscono libertà di scelta, tutela della salute e della dignità della donna, tempi rapidi e metodiche efficaci; gli altri si appellano all'articolo 2, che prevede l'impegno per la rimozione delle cause che inducono la donna ad abortire, anche tramite convenzioni tra convenzioni tra i consultori e le associazioni di volontariato.
Tirata da una parte e dall'altra, la corda pende a sinistra o a destra a seconda delle stagioni politiche e dei rapporti di forza presenti nel paese.
Lo sgretolamento della legge dal suo interno è un processo che dura da anni, non appariscente, forte di procedure consolidate. Quali? La mancata applicazione della legge in alcune sue parti (art. 8, 9, 15), la negligenza rispetto ad altre leggi collegate (la 405 sui consultori, il Progetto obiettivo materno infantile) con il depauperamento dei consultori pubblici e il sostegno economico a consultori di matrice cattolica che sollevano "obiezione di coscienza di struttura", la criminalizzazione delle donne che scelgono di abortire, l'inserimento del concetto di vita sin dal concepimento in leggi e regolamenti regionali (fino ad obbligare alla sepoltura dei feti). La fuga di ginecologhe/i di recente formazione, che rifiutano in massa di praticare IVG prediligendo altri e più gratificanti percorsi; l'abbandono di politiche di prevenzione nelle scuole con la diffusione di una cultura della sessualità responsabile, rispettosa di sé e dell'altra/o.
I tempi di attesa tra la certificazione e l'intervento dimostrano il poco conto in cui sono tenuti gli articoli 8 e 9 della 194. Dopo una settimana dal suo rilascio, il documento che attesta la volontà della donna di abortire costituisce per legge «titolo per ottenere in via d'urgenza l'intervento». In pratica, una donna su 5 attende più di 3 settimane, mentre solo il 54.2% riesce ad abortire entro le due settimane. Questo grazie all'aumento del personale obiettore, rilevato anche nell'ultima relazione del ministero della Salute per tutte le professionalità, con i ginecologi al 69.2% (rispetto al 59.6% della precedente relazione), gli anestesisti al 50.4% (rispetto a 46.3%) e 42.6% per il personale non medico (39% nella precedente relazione). Questi valori raggiungono percentuali particolarmente elevate nel sud Italia, con una media del 71.5%. Al nord, Lombardia e Veneto si difendono bene, rispettivamente con un 68.6% e 79.1%. La situazione è variabile all'interno delle regioni, dove il monitoraggio dell'obiezione di coscienza è realizzato solo per iniziativa di associazioni e movimenti.
Poco conta che l'art. 9 della legge obblighi gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate ad «assicurare l'espletamento delle procedure previste», sottolineando che «la Regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale». Le liste d'attesa suggeriscono che la mobilità sia soprattutto quella delle donne, costrette a migrare da una città all'altra.
La legge è ignorata anche dal punto di vista dell'aggiornamento della tecnica e della formazione del personale (art. 15). Rimane infatti inaccessibile l'aborto medico, raccomandato dalla Commissione europea nel periodo tra la quinta e la settima settimana di gestazione. Il metodo Karman (con aspirazione) è il metodo più sicuro per l'interruzione del primo trimestre, ma il 35% delle Ivg è ancora effettuato con strumento metallico (raschiamento) e l'anestesia generale è praticata nell'85% dei casi, quando è dimostrato che aumenta i rischi.
Questi ed altri sono i punti su cui intervenire per una migliore applicazione della legge 194 secondo le linee guida pubblicate a marzo di quest'anno dall'ex Ministero della Salute.
Ma il governo Berlusconi sembra andare in tutt'altra direzione come hanno annunciato alcune sue esponenti: «informare le madri sulle strade alternative e sulla prevenzione all'aborto» per Giorgia Meloni; impedire la diffusione della RU486 per la sottosegretaria alla Salute Eugenia Roccella; promuovere «una normativa a favore della famiglia che incentivi le nascite» per la ministra alle Pari opportunità Mara Carfagna.