Le interferenze della Chiesa e le debolezze dello Stato
Il Gazzettino del 30 maggio 2008, pag. 14
di Massimo Fini
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, cioè dei vescovi italiani, all’apertura dell’assemblea annuale di questo consesso, ha indicato, sia pur nel linguaggio curiale che gli si conviene, la priorità dell’agenda politica del governo Berlusconi, l’emergenza rifiuti, "l’aiuto a chi ha perso potere d’acquisto", le questioni della sicurezza e degli immigrati, ha attaccato - qui senza troppe perifrasi - le linee-guida della legge 140 che consente l’indagine pre-impianto sugli embrioni nella fecondazione assistita e ha infine auspicato "un’operosa stabilità politica alla quale contribuiscono maggioranza e opposizione".
"Ma di Gesù Cristo ha parlato?" ha commentato sarcasticamente il filosofo Massimo Cacciari, che pur non è un laico trinariciuto, ma anzi molto attento alle tematiche religiose (sono noti i suoi studi sull’angelismo). Ed Emma Bonino ha constatato: "Non conosco Paese al mondo in cui si alza un vescovo e dà indicazioni su qualsiasi cosa, neanche fosse un altro governo ombra". Difficile darle torto. Stiamo diventando una repubblica teocratica o quantomeno un Paese dove le autorità religiose si affiancano a quelle di governo non solo sulle questioni etiche ma anche su quelle politiche. Non è detto che ciò sia di per sé un male. In fondo tutto il medioevo europeo si è basato sui precetti della Chiesa, sia in campo etico che sociale, economico e politico, che poi venivano recepiti dagli statuti civili. E si deve alla generosa, e per molti secoli vittoriosa, battaglia degli scolastici, di Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, Nicola Oresme, Giovanni Buridano, Gabriel Biel, Molina, De Lugo, contro non solo l’usura (come oggi si fa credere) ma contro l’interesse in quanto tale (con un’argomentazione sottile: il tempo è di Dio, e quindi di tutti, e non può essere oggetto di mercato) e per "il giusto prezzo", se quel mondo rimase meno sperequato di quello attuale governato, dopo l’esplosione della Rivoluzione industriale, dal dominio dell’economia, del mercato, della "libera intrapresa".
Ma l’Italia di oggi non è più una semiteocrazia come ai tempi del medioevo. È una democrazia liberale. E uno dei fondamenti della liberaldemocrazia è la rigida separazione dei poteri fra Stato e Chiesa ("Libera Chiesa in libero Stato" aveva sintetizzato Cavour). Come sarebbe inammissibile che un ministro italiano mettesse in discussione il dogma della verginità della Madonna, altrettanto inammissibile è che i rappresentanti della Chiesa indichino a quelli dello Stato ciò che devono o non devono fare. Oltretutto questa confusione di ruoli non giova né allo Stato né alla Chiesa. Non giova allo Stato perché deve operare in un contesto internazionale, cui è strettamente legato, che ha esigenze diverse da quelle della Chiesa, non giova alla Chiesa perché a furia di occuparsi delle cose del mondo ha finito per mettere in secondo piano (come notava Cacciari) le ragioni istituzionali, diciamo così, del suo esistere, perdendo in credibilità come è dimostrato dalla crisi verticale delle vocazioni e, più in generale, dal processo di desacralizzazione che colpisce l’intero mondo occidentale.
Infine assistiamo a un curioso paradosso. Mentre l’Occidente (perché il fenomeno non riguarda solo l’Italia, si pensi ai teodem americani) contraddicendo se stesso tende a diventare teocratico o semitecocratico per motivi politici che nulla hanno a che fare col sacro (nel medioevo avveniva esattamente il contrario), nello stesso tempo muove una battagli feroce quei Paesi (vedi l’Afghanistan talevano, vedi l’Iran) che sono coerentemente teocratici perché la legge del Corano è la legge dello Stato. Noi dobbiamo deciderci. O siamo laici, con tutti i prezzi - per esempio sull’istituto familiare che si devono pagare. 0 siamo teocratici, con altri e diversi prezzi che pur si devono pagare. Ma non possiamo essere tutte e due le cose insieme. E soprattutto dobbiamo smetterla di andare a bombardare, ideologicamente e materialmente, le Istituzioni altrui, quando, con tutta evidenza, non siamo più tanto convinti delle nostre.
Il Gazzettino del 30 maggio 2008, pag. 14
di Massimo Fini
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, cioè dei vescovi italiani, all’apertura dell’assemblea annuale di questo consesso, ha indicato, sia pur nel linguaggio curiale che gli si conviene, la priorità dell’agenda politica del governo Berlusconi, l’emergenza rifiuti, "l’aiuto a chi ha perso potere d’acquisto", le questioni della sicurezza e degli immigrati, ha attaccato - qui senza troppe perifrasi - le linee-guida della legge 140 che consente l’indagine pre-impianto sugli embrioni nella fecondazione assistita e ha infine auspicato "un’operosa stabilità politica alla quale contribuiscono maggioranza e opposizione".
"Ma di Gesù Cristo ha parlato?" ha commentato sarcasticamente il filosofo Massimo Cacciari, che pur non è un laico trinariciuto, ma anzi molto attento alle tematiche religiose (sono noti i suoi studi sull’angelismo). Ed Emma Bonino ha constatato: "Non conosco Paese al mondo in cui si alza un vescovo e dà indicazioni su qualsiasi cosa, neanche fosse un altro governo ombra". Difficile darle torto. Stiamo diventando una repubblica teocratica o quantomeno un Paese dove le autorità religiose si affiancano a quelle di governo non solo sulle questioni etiche ma anche su quelle politiche. Non è detto che ciò sia di per sé un male. In fondo tutto il medioevo europeo si è basato sui precetti della Chiesa, sia in campo etico che sociale, economico e politico, che poi venivano recepiti dagli statuti civili. E si deve alla generosa, e per molti secoli vittoriosa, battaglia degli scolastici, di Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, Nicola Oresme, Giovanni Buridano, Gabriel Biel, Molina, De Lugo, contro non solo l’usura (come oggi si fa credere) ma contro l’interesse in quanto tale (con un’argomentazione sottile: il tempo è di Dio, e quindi di tutti, e non può essere oggetto di mercato) e per "il giusto prezzo", se quel mondo rimase meno sperequato di quello attuale governato, dopo l’esplosione della Rivoluzione industriale, dal dominio dell’economia, del mercato, della "libera intrapresa".
Ma l’Italia di oggi non è più una semiteocrazia come ai tempi del medioevo. È una democrazia liberale. E uno dei fondamenti della liberaldemocrazia è la rigida separazione dei poteri fra Stato e Chiesa ("Libera Chiesa in libero Stato" aveva sintetizzato Cavour). Come sarebbe inammissibile che un ministro italiano mettesse in discussione il dogma della verginità della Madonna, altrettanto inammissibile è che i rappresentanti della Chiesa indichino a quelli dello Stato ciò che devono o non devono fare. Oltretutto questa confusione di ruoli non giova né allo Stato né alla Chiesa. Non giova allo Stato perché deve operare in un contesto internazionale, cui è strettamente legato, che ha esigenze diverse da quelle della Chiesa, non giova alla Chiesa perché a furia di occuparsi delle cose del mondo ha finito per mettere in secondo piano (come notava Cacciari) le ragioni istituzionali, diciamo così, del suo esistere, perdendo in credibilità come è dimostrato dalla crisi verticale delle vocazioni e, più in generale, dal processo di desacralizzazione che colpisce l’intero mondo occidentale.
Infine assistiamo a un curioso paradosso. Mentre l’Occidente (perché il fenomeno non riguarda solo l’Italia, si pensi ai teodem americani) contraddicendo se stesso tende a diventare teocratico o semitecocratico per motivi politici che nulla hanno a che fare col sacro (nel medioevo avveniva esattamente il contrario), nello stesso tempo muove una battagli feroce quei Paesi (vedi l’Afghanistan talevano, vedi l’Iran) che sono coerentemente teocratici perché la legge del Corano è la legge dello Stato. Noi dobbiamo deciderci. O siamo laici, con tutti i prezzi - per esempio sull’istituto familiare che si devono pagare. 0 siamo teocratici, con altri e diversi prezzi che pur si devono pagare. Ma non possiamo essere tutte e due le cose insieme. E soprattutto dobbiamo smetterla di andare a bombardare, ideologicamente e materialmente, le Istituzioni altrui, quando, con tutta evidenza, non siamo più tanto convinti delle nostre.