La Repubblica 31.5.08
La famiglia. Storia di un legame complicato
di Piergiorgio Odifreddi
Per gli Inuit dell´Alaska i rapporti sessuali tra partner istituiscono legami permanenti e permettono unioni intrecciate
Diversamente dalla poliginia la poliandria, diffusa in Congo, Kerala e Tibet, crea problemi per riconoscere la paternità
È stato il Concilio di Trento ad imporre l´indissolubilità del matrimonio ai cattolici: il Vangelo non è così categorico Un pamphlet dell´antropologo Francesco Remotti
Nel 1859 il re Vittorio Emanuele II concesse con Regio Decreto alla sua amante, la Bela Rosin, il casato di Mirafiori e Fontanafredda, il cui motto era ironicamente «Dio, Patria e Famiglia». Nel 1945 il duce Benito Mussolini fu fucilato dai partigiani insieme alla sua amante, Claretta Petacci, dopo che il fascismo aveva proclamato lo stesso motto per un ventennio. E ancora nel 2007 i leader della destra Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, tutti regolarmente divorziati e risposati, hanno partecipato a un Family Day ispirato ancora una volta ai valori dell´imperituro motto.
Passando dai comportamenti individuali ai pronunciamenti ufficiali, l´articolo 29 della Costituzione recita: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», con una formulazione di compromesso raggiunta il 22 dicembre 1947 dall´Assemblea Costituente fra le opposte formulazioni della destra («la famiglia è una società naturale») e della sinistra («la famiglia è un´istituzione morale»).
Dal canto suo, l´articolo 338 del Compendio del Catechismo afferma che «l´unione matrimoniale dell´uomo e della donna, fondata e strutturata con leggi proprie dal Creatore, per sua natura è ordinata alla generazione dei figli ed è indissolubile, secondo l´originario disegno divino». E l´articolo 502 enumera tra le offese alla dignità del matrimonio «l´adulterio, il divorzio, la poligamia, l´incesto, la libera unione (convivenza, concubinato) e l´atto sessuale prima o al di fuori del matrimonio».
Naturalmente, se il matrimonio eterosessuale, monogamico, procreativo e indissolubile fosse veramente espressione di una volontà divina, anche solo nel senso debole di essere stata enunciata esplicitamente da un testo ritenuto sacro, ci sarebbe poco da discutere, almeno per i fedeli. Il fatto è che questa supposta volontà divina non sembra invece essere altro che l´espressione dei desideri delle gerarchie ecclesiastiche: almeno per quanto riguarda la monogamia e l´indissolubilità tutto si può dire, infatti, meno che la Bibbia ebraica impedisse la poligamia e il divorzio, come testimoniano le storie di patriarchi come Abramo o Giacobbe, o di re come Davide o Salomone. E i l comandamento «non desiderare la donna d´altri» intendeva semplicemente preservare i beni del prossimo, in un ordine d´importanza in cui la moglie veniva prima degli schiavi e delle bestie, ma dopo la casa!
Coerentemente, gli Ebrei rimasero poligami a lungo. Verso l´anno 1000 un decreto del rabbino Gershom di Magonza proibì la poliginia agli Aschenaziti (gli Ebrei europei, che vivevano in ambienti cristiani), ma ancora nel 1578 il vescovo di Feltre rilasciava a un ebreo della sua diocesi il permesso di avere una seconda moglie, «secondo la legge del sacrosanto Antico Testamento». I Sefarditi (gli Ebrei della penisola iberica e del Mediterraneo meridionale, che vivevano in ambienti islamici) rimasero invece poligami in teoria, e in molte comunità anche in pratica, fino a che nel 1950 il rabbinato di Israele estese la proibizione a tutti gli Ebrei.
Se anche Dio ha parlato, è chiaro dunque che è stato inteso diversamente da chi l´ha udito. E non solo dagli Ebrei e dagli Islamici, ai quali com´è noto il Corano (IV, 3) permette fino a quattro mogli, ma anche dai Cristiani: ad esempio, nel 1534 gli Anabattisti fondarono a Munster una comunità protosocialista e poliginica, benché di breve durata, e dal 1830 al 1980 la Chiesa dei Santi dell´Ultimo Giorno, cioè la comunità dei Mormoni dello Utah, ha ammesso ufficialmente la poliginia.
Quanto all´indissolubilità del matrimonio, nemmeno il Vangelo è così categorico come il Catechismo», visto che Gesù ammette esplicitamente il concubinato come motivo di divorzio nel Discorso della Montagna, e nel suo commento ad esso Agostino fa lo stesso con l´adulterio. In realtà è stato il Concilio di Trento a imporre nel 1563 l´indissolubilità ai Cattolici, costringendoli a fare i salti mortali nella rimozione di quel passo evangelico: i Protestanti e gli Ortodossi, che leggono invece il testo com´è scritto, accettano il divorzio, ed è proprio su questa questione che si consumò nel 1533 lo scisma tra Anglicani e Cattolici.
Essendo in gravi difficoltà teologiche a proposito della sua dottrina matrimoniale, oggi la Chiesa cerca di difenderla usando un argomento di tipo scientifico, tra l´altro più consono ai tempi moderni: sostenendo, cioè, che il matrimonio eterosessuale, monogamico, procreativo e indissolubile è «naturale», nel senso di essere la vera espressione della natura dell´uomo. Anzi, arrivando più generalmente a sostenere che il Cristianesimo è una religione naturale, il che giustificherebbe le pretese di universalità suggerite dal termine «cattolico».
Ma questa nuova strategia è ancora più fallimentare dell´appello ai testi sacri, perché richiede la rinuncia alla proclamazione delle opinioni e l´accettazione della discussione dei fatti. E ha facile gioco un antropologo come Francesco Remotti a snocciolare in Contro natura. Una lettera al Papa (Laterza, pagg. 281, euro 15) l´evidenza contraria di mezzo mondo, e a mostrare che la supposta «famiglia naturale» non è altro che l´espressione di un particolare relativismo culturale limitato nello spazio e nel tempo, che la Chiesa pretende di elevare ad assolutismo universale ed eterno.
L´aspetto forse più interessante di questa confutazione scientifica è la dimostrazione della mutua indipendenza delle varie caratteristiche del matrimonio cattolico, in genere presentate in un pacchetto ritenuto a sua volta indissolubile. E invece, anzitutto, per la maggioranza delle società al mondo il matrimonio non richiede la monogamia, benché la Chiesa aborrisca la poligamia sia sincronica, che diacronica: cioè, non solo proibisca di avere più coniugi in parallelo, ma scoraggi anche l´averli in serie (ad esempio, il rimatrimonio di vedovi), secondo la formula del «dato antropologico originario sic per cui l´uomo dev´essere unito in modo definitivo a una sola donna e viceversa» (Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, 13 marzo 2007)
Più interessante del fatto ovvio che il matrimonio è compatibile col divorzio, è quello meno ovvio che la poligamia è compatibile con l´indissolubilità: lo dimostrano ad esempio gli Inuit dell´Alaska, per i quali i rapporti sessuali tra partner istituiscono legami permanenti, benché temporaneamente disattivabili con una separazione, e permettono co-matrimoni intrecciati in cui più uomini sono sposati con una stessa donna, e più donne con uno stesso uomo (in Occidente queste situazioni si verificano informalmente negli scambi di coppia duraturi).
Diversamente dalla poliginia, la poliandria (diffusa in molte società, dal Congo al Kerala al Tibet) crea problemi per il riconoscimento della paternità, ed è anzi un mezzo di contenimento della popolazione: spesso essa si realizza quando una stessa donna è sposata da più fratelli, come la Draupadi andata in moglie ai cinque Pandava nel Mahabharata. A volte, addirittura, come nel caso dei Nayar del Malabar indiano o dei Na dello Yunnan cinese, la società è organizzata su famiglie consanguinee di fratelli e sorelle che convivono e cooperano non solo economicamente, ma anche nell´allevamento e nell´educazione dei figli che le donne concepiscono in rapporti sessuali occasionali: il che dimostra che la famiglia procreativa è compatibile con l´assenza sia di coniugi che di genitori (in Occidente l´analogo più vicino è forse quello dei bambini adottati da individui singoli, ma ci sono anche esempi di famiglie consanguinee che vanno dalla natolocalità galizia alla famiglia mezzadrile toscana).
Insomma, a chi tiene gli occhi aperti, o anche solo socchiusi, l´antropologia mostra che «paese che vai, famiglia che trovi». E´ solo chi tiene gli occhi ben chiusi che può illudersi che le proprie usanze siano «naturali», e quelle degli altri «contro natura». Soprattutto se non vede che il matrimonio non richiede la procreazione, come dimostrano gli sposalizi tra bambini, diffusi dalla Siberia alla Nuova Guinea all´America del Sud, o i matrimoni vicari in cui si affida la procreazione a qualcuno che non è il coniuge istituzionale, praticati dai Nuer del Sudan. O se non vede che l´omosessualità non è contro natura, come dimostrano non solo gli atteggiamenti di Greci e Romani, ma soprattutto il fatto che essa sia praticata in natura, appunto, da centinaia di specie animali in un´impressionante molteplicità di forme.
Ironicamente, volendo descrivere la sua memorabile osservazione che non c´è niente di comune fra i vari usi di una parola, il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche non trovò di meglio di notare che fra essi c´è solo una «somiglianza di famiglia», appunto.
La famiglia. Storia di un legame complicato
di Piergiorgio Odifreddi
Per gli Inuit dell´Alaska i rapporti sessuali tra partner istituiscono legami permanenti e permettono unioni intrecciate
Diversamente dalla poliginia la poliandria, diffusa in Congo, Kerala e Tibet, crea problemi per riconoscere la paternità
È stato il Concilio di Trento ad imporre l´indissolubilità del matrimonio ai cattolici: il Vangelo non è così categorico Un pamphlet dell´antropologo Francesco Remotti
Nel 1859 il re Vittorio Emanuele II concesse con Regio Decreto alla sua amante, la Bela Rosin, il casato di Mirafiori e Fontanafredda, il cui motto era ironicamente «Dio, Patria e Famiglia». Nel 1945 il duce Benito Mussolini fu fucilato dai partigiani insieme alla sua amante, Claretta Petacci, dopo che il fascismo aveva proclamato lo stesso motto per un ventennio. E ancora nel 2007 i leader della destra Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, tutti regolarmente divorziati e risposati, hanno partecipato a un Family Day ispirato ancora una volta ai valori dell´imperituro motto.
Passando dai comportamenti individuali ai pronunciamenti ufficiali, l´articolo 29 della Costituzione recita: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», con una formulazione di compromesso raggiunta il 22 dicembre 1947 dall´Assemblea Costituente fra le opposte formulazioni della destra («la famiglia è una società naturale») e della sinistra («la famiglia è un´istituzione morale»).
Dal canto suo, l´articolo 338 del Compendio del Catechismo afferma che «l´unione matrimoniale dell´uomo e della donna, fondata e strutturata con leggi proprie dal Creatore, per sua natura è ordinata alla generazione dei figli ed è indissolubile, secondo l´originario disegno divino». E l´articolo 502 enumera tra le offese alla dignità del matrimonio «l´adulterio, il divorzio, la poligamia, l´incesto, la libera unione (convivenza, concubinato) e l´atto sessuale prima o al di fuori del matrimonio».
Naturalmente, se il matrimonio eterosessuale, monogamico, procreativo e indissolubile fosse veramente espressione di una volontà divina, anche solo nel senso debole di essere stata enunciata esplicitamente da un testo ritenuto sacro, ci sarebbe poco da discutere, almeno per i fedeli. Il fatto è che questa supposta volontà divina non sembra invece essere altro che l´espressione dei desideri delle gerarchie ecclesiastiche: almeno per quanto riguarda la monogamia e l´indissolubilità tutto si può dire, infatti, meno che la Bibbia ebraica impedisse la poligamia e il divorzio, come testimoniano le storie di patriarchi come Abramo o Giacobbe, o di re come Davide o Salomone. E i l comandamento «non desiderare la donna d´altri» intendeva semplicemente preservare i beni del prossimo, in un ordine d´importanza in cui la moglie veniva prima degli schiavi e delle bestie, ma dopo la casa!
Coerentemente, gli Ebrei rimasero poligami a lungo. Verso l´anno 1000 un decreto del rabbino Gershom di Magonza proibì la poliginia agli Aschenaziti (gli Ebrei europei, che vivevano in ambienti cristiani), ma ancora nel 1578 il vescovo di Feltre rilasciava a un ebreo della sua diocesi il permesso di avere una seconda moglie, «secondo la legge del sacrosanto Antico Testamento». I Sefarditi (gli Ebrei della penisola iberica e del Mediterraneo meridionale, che vivevano in ambienti islamici) rimasero invece poligami in teoria, e in molte comunità anche in pratica, fino a che nel 1950 il rabbinato di Israele estese la proibizione a tutti gli Ebrei.
Se anche Dio ha parlato, è chiaro dunque che è stato inteso diversamente da chi l´ha udito. E non solo dagli Ebrei e dagli Islamici, ai quali com´è noto il Corano (IV, 3) permette fino a quattro mogli, ma anche dai Cristiani: ad esempio, nel 1534 gli Anabattisti fondarono a Munster una comunità protosocialista e poliginica, benché di breve durata, e dal 1830 al 1980 la Chiesa dei Santi dell´Ultimo Giorno, cioè la comunità dei Mormoni dello Utah, ha ammesso ufficialmente la poliginia.
Quanto all´indissolubilità del matrimonio, nemmeno il Vangelo è così categorico come il Catechismo», visto che Gesù ammette esplicitamente il concubinato come motivo di divorzio nel Discorso della Montagna, e nel suo commento ad esso Agostino fa lo stesso con l´adulterio. In realtà è stato il Concilio di Trento a imporre nel 1563 l´indissolubilità ai Cattolici, costringendoli a fare i salti mortali nella rimozione di quel passo evangelico: i Protestanti e gli Ortodossi, che leggono invece il testo com´è scritto, accettano il divorzio, ed è proprio su questa questione che si consumò nel 1533 lo scisma tra Anglicani e Cattolici.
Essendo in gravi difficoltà teologiche a proposito della sua dottrina matrimoniale, oggi la Chiesa cerca di difenderla usando un argomento di tipo scientifico, tra l´altro più consono ai tempi moderni: sostenendo, cioè, che il matrimonio eterosessuale, monogamico, procreativo e indissolubile è «naturale», nel senso di essere la vera espressione della natura dell´uomo. Anzi, arrivando più generalmente a sostenere che il Cristianesimo è una religione naturale, il che giustificherebbe le pretese di universalità suggerite dal termine «cattolico».
Ma questa nuova strategia è ancora più fallimentare dell´appello ai testi sacri, perché richiede la rinuncia alla proclamazione delle opinioni e l´accettazione della discussione dei fatti. E ha facile gioco un antropologo come Francesco Remotti a snocciolare in Contro natura. Una lettera al Papa (Laterza, pagg. 281, euro 15) l´evidenza contraria di mezzo mondo, e a mostrare che la supposta «famiglia naturale» non è altro che l´espressione di un particolare relativismo culturale limitato nello spazio e nel tempo, che la Chiesa pretende di elevare ad assolutismo universale ed eterno.
L´aspetto forse più interessante di questa confutazione scientifica è la dimostrazione della mutua indipendenza delle varie caratteristiche del matrimonio cattolico, in genere presentate in un pacchetto ritenuto a sua volta indissolubile. E invece, anzitutto, per la maggioranza delle società al mondo il matrimonio non richiede la monogamia, benché la Chiesa aborrisca la poligamia sia sincronica, che diacronica: cioè, non solo proibisca di avere più coniugi in parallelo, ma scoraggi anche l´averli in serie (ad esempio, il rimatrimonio di vedovi), secondo la formula del «dato antropologico originario sic per cui l´uomo dev´essere unito in modo definitivo a una sola donna e viceversa» (Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, 13 marzo 2007)
Più interessante del fatto ovvio che il matrimonio è compatibile col divorzio, è quello meno ovvio che la poligamia è compatibile con l´indissolubilità: lo dimostrano ad esempio gli Inuit dell´Alaska, per i quali i rapporti sessuali tra partner istituiscono legami permanenti, benché temporaneamente disattivabili con una separazione, e permettono co-matrimoni intrecciati in cui più uomini sono sposati con una stessa donna, e più donne con uno stesso uomo (in Occidente queste situazioni si verificano informalmente negli scambi di coppia duraturi).
Diversamente dalla poliginia, la poliandria (diffusa in molte società, dal Congo al Kerala al Tibet) crea problemi per il riconoscimento della paternità, ed è anzi un mezzo di contenimento della popolazione: spesso essa si realizza quando una stessa donna è sposata da più fratelli, come la Draupadi andata in moglie ai cinque Pandava nel Mahabharata. A volte, addirittura, come nel caso dei Nayar del Malabar indiano o dei Na dello Yunnan cinese, la società è organizzata su famiglie consanguinee di fratelli e sorelle che convivono e cooperano non solo economicamente, ma anche nell´allevamento e nell´educazione dei figli che le donne concepiscono in rapporti sessuali occasionali: il che dimostra che la famiglia procreativa è compatibile con l´assenza sia di coniugi che di genitori (in Occidente l´analogo più vicino è forse quello dei bambini adottati da individui singoli, ma ci sono anche esempi di famiglie consanguinee che vanno dalla natolocalità galizia alla famiglia mezzadrile toscana).
Insomma, a chi tiene gli occhi aperti, o anche solo socchiusi, l´antropologia mostra che «paese che vai, famiglia che trovi». E´ solo chi tiene gli occhi ben chiusi che può illudersi che le proprie usanze siano «naturali», e quelle degli altri «contro natura». Soprattutto se non vede che il matrimonio non richiede la procreazione, come dimostrano gli sposalizi tra bambini, diffusi dalla Siberia alla Nuova Guinea all´America del Sud, o i matrimoni vicari in cui si affida la procreazione a qualcuno che non è il coniuge istituzionale, praticati dai Nuer del Sudan. O se non vede che l´omosessualità non è contro natura, come dimostrano non solo gli atteggiamenti di Greci e Romani, ma soprattutto il fatto che essa sia praticata in natura, appunto, da centinaia di specie animali in un´impressionante molteplicità di forme.
Ironicamente, volendo descrivere la sua memorabile osservazione che non c´è niente di comune fra i vari usi di una parola, il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche non trovò di meglio di notare che fra essi c´è solo una «somiglianza di famiglia», appunto.