Liberazione, 05/07/2007
Dunia, il corpo e il piacere di scoprirsi
A colloquio con Jocelyne Saab, la cineasta libanese censurata in Egitto con l'accusa di pornografia e di attacco all'Islam
Nel suo ultimo lavoro affronta la questione delle mutilazioni genitali attraverso la storia di una giovane donna musulmana
Giuliano Battiston
Minacce, censure, accuse di pornografia e di attacco all'islam. La regista libanese Jocelyne Saab ha dovuto affrontare ogni tipo di pressione, economica, politica, privata, per realizzare un film. Si tratta di Dunia , una sfida poetica e coraggiosa alla cristallizzazione degli immaginari e al tentativo di sottrarre alle donne il loro destino.
Un atto di accusa contro ogni tipo di mutilazione, genitale e mentale, che impedisca la libera costruzione del corpo e della personalità di ogni donna. E, insieme, l'indicazione di una strada, quella percorsa dalla protagonista Dunia, che dopo un faticoso viaggio alla scoperta del suo corpo e dei suoi desideri conquista se stessa e, nello stesso tempo, il mondo. Abbiamo incontrato Jocelyne Saab a Roma, dove, nell'ambito dell'iniziativa Dòmina 07, organizzata dall'associazione d52, è stato proiettato il suo film.
In Europa si è parlato molto del suo film, soprattutto per quanto riguarda la denuncia della mutilazioni genitali. Non le sembra che in questo modo si eviti la questione principale, cioè la tendenza di molte culture, a ogni latitudine, a controllare e limitare i desideri e la sessualità delle donne?
Sono d'accordo. Direi, inoltre, che nel modo in cui è stato recepito in Europa vi sia il rischio di trasformare Dunia in un film esotico. Il mio obiettivo, invece, è quello di restituire un posto alla donna, in modo tale che possa decidere per se stessa, scegliendo ciò che vuole essere. Ho usato il tema del piacere, connesso alla sessualità, perché si tratta di qualcosa di molto intimo, e, attraverso la possibilità di disporre di questa dimensione intima, si può passare al desiderio di conquistare la propria personalità. La cosa importante, però, è che questo processo di riappropriazione di sé è ottenuto anche grazie agli uomini: Dunia, la protagonista del film, è guidata infatti da due maestri di vita, che le insegnano a non aver paura del desiderio e del suo corpo, sollecitandola a guardarsi dentro e a interrogarsi.
All'inizio del film la ventitreenne Dunia dice di non aver mai visto il suo corpo nudo, mentre uno dei due insegnanti, il professor Beshir, sostiene: «abbiamo paura del nostro corpo». Il suo film potrebbe essere inteso come un tentativo di combattere la paura del corpo?
Ho scritto il soggetto del film dopo aver condotto uno studio sulla sessualità in Egitto, ma ho voluto legare simbolicamente il corpo di Dunia al corpo delle società arabe. E' la società nel suo insieme, infatti, a essere ammalata e mutilata, come il corpo di Dunia. E, come la mutilazione di Dunia le impedisce di provare piacere, impedendole persino la possibilità di pensarlo, così le società sono mutilate mentalmente. Imparare a non aver paura del proprio corpo, riappropriarsene, significa dunque riappropriarsi anche della propria mente.
Adottando questo parallelismo tra il corpo di Dunia e il corpo sociale, secondo lei quali sono i fattori che hanno devitalizzato il corpo delle società arabe?
Si tratta di una storia molto lunga, e per comprenderla dobbiamo ricordare il fallimento del nazionalismo, la crescita della corruzione, così come l'influenza sempre più ampia del fondamentalismo, la nostra più grave malattia. Di fronte all'immobilismo delle stesse donne, che spesso accettano la riduzione dei loro spazi, occorre sforzarsi di comunicare un'altra immagine, quella di una donna come Dunia, la quale, dopo aver imparato a conoscere il suo corpo e a esprimere nella danza la sua sensualità, decide di tornare in città e di viverci. Questa è l'immagine che volevo comunicare: decidi per conto tuo, ciò che vuoi, non aver paura e vai.
Il cinema, la costruzione di immaginari, può essere uno strumento per combattere le mutilazioni mentali?
Non pretendo certo di cambiare le cose con i miei film, ma ritengo che sia arrivato il momento di affrontare la nostra mutilazione mentale. Bisogna costruire lentamente nel cinema una nuova rappresentazione della donna, che possa contribuire a modificare le idee delle persone. Il cambiamento degli immaginari è fondamentale, ed è stato proprio il tentativo di modificare le immagini classiche della donna la ragione per la quale ho dovuto subire in Egitto degli attacchi così forti.
La musica è un elemento fondamentale non solo nella vita della protagonista, ma anche nell'architettura complessiva del film. Che relazione c'è tra la dimensione delle immagini e quella musicale?
La musica riveste un ruolo così importante perché è la coscienza del film: tutto ciò che non si può dire e mostrare viene detto dalla musica. Sono stato obbligata a inventare di tutto per non cadere nella censura, e la musica ha compensato molte cose non dette. Nel film, dunque, la musica è una compensazione di significato, l'espressione di quelle cose, come la libertà, che non si possono dire, ma che si possono esprimere attraverso un suono sensuale.
05/07/2007
Dunia, il corpo e il piacere di scoprirsi
A colloquio con Jocelyne Saab, la cineasta libanese censurata in Egitto con l'accusa di pornografia e di attacco all'Islam
Nel suo ultimo lavoro affronta la questione delle mutilazioni genitali attraverso la storia di una giovane donna musulmana
Giuliano Battiston
Minacce, censure, accuse di pornografia e di attacco all'islam. La regista libanese Jocelyne Saab ha dovuto affrontare ogni tipo di pressione, economica, politica, privata, per realizzare un film. Si tratta di Dunia , una sfida poetica e coraggiosa alla cristallizzazione degli immaginari e al tentativo di sottrarre alle donne il loro destino.
Un atto di accusa contro ogni tipo di mutilazione, genitale e mentale, che impedisca la libera costruzione del corpo e della personalità di ogni donna. E, insieme, l'indicazione di una strada, quella percorsa dalla protagonista Dunia, che dopo un faticoso viaggio alla scoperta del suo corpo e dei suoi desideri conquista se stessa e, nello stesso tempo, il mondo. Abbiamo incontrato Jocelyne Saab a Roma, dove, nell'ambito dell'iniziativa Dòmina 07, organizzata dall'associazione d52, è stato proiettato il suo film.
In Europa si è parlato molto del suo film, soprattutto per quanto riguarda la denuncia della mutilazioni genitali. Non le sembra che in questo modo si eviti la questione principale, cioè la tendenza di molte culture, a ogni latitudine, a controllare e limitare i desideri e la sessualità delle donne?
Sono d'accordo. Direi, inoltre, che nel modo in cui è stato recepito in Europa vi sia il rischio di trasformare Dunia in un film esotico. Il mio obiettivo, invece, è quello di restituire un posto alla donna, in modo tale che possa decidere per se stessa, scegliendo ciò che vuole essere. Ho usato il tema del piacere, connesso alla sessualità, perché si tratta di qualcosa di molto intimo, e, attraverso la possibilità di disporre di questa dimensione intima, si può passare al desiderio di conquistare la propria personalità. La cosa importante, però, è che questo processo di riappropriazione di sé è ottenuto anche grazie agli uomini: Dunia, la protagonista del film, è guidata infatti da due maestri di vita, che le insegnano a non aver paura del desiderio e del suo corpo, sollecitandola a guardarsi dentro e a interrogarsi.
All'inizio del film la ventitreenne Dunia dice di non aver mai visto il suo corpo nudo, mentre uno dei due insegnanti, il professor Beshir, sostiene: «abbiamo paura del nostro corpo». Il suo film potrebbe essere inteso come un tentativo di combattere la paura del corpo?
Ho scritto il soggetto del film dopo aver condotto uno studio sulla sessualità in Egitto, ma ho voluto legare simbolicamente il corpo di Dunia al corpo delle società arabe. E' la società nel suo insieme, infatti, a essere ammalata e mutilata, come il corpo di Dunia. E, come la mutilazione di Dunia le impedisce di provare piacere, impedendole persino la possibilità di pensarlo, così le società sono mutilate mentalmente. Imparare a non aver paura del proprio corpo, riappropriarsene, significa dunque riappropriarsi anche della propria mente.
Adottando questo parallelismo tra il corpo di Dunia e il corpo sociale, secondo lei quali sono i fattori che hanno devitalizzato il corpo delle società arabe?
Si tratta di una storia molto lunga, e per comprenderla dobbiamo ricordare il fallimento del nazionalismo, la crescita della corruzione, così come l'influenza sempre più ampia del fondamentalismo, la nostra più grave malattia. Di fronte all'immobilismo delle stesse donne, che spesso accettano la riduzione dei loro spazi, occorre sforzarsi di comunicare un'altra immagine, quella di una donna come Dunia, la quale, dopo aver imparato a conoscere il suo corpo e a esprimere nella danza la sua sensualità, decide di tornare in città e di viverci. Questa è l'immagine che volevo comunicare: decidi per conto tuo, ciò che vuoi, non aver paura e vai.
Il cinema, la costruzione di immaginari, può essere uno strumento per combattere le mutilazioni mentali?
Non pretendo certo di cambiare le cose con i miei film, ma ritengo che sia arrivato il momento di affrontare la nostra mutilazione mentale. Bisogna costruire lentamente nel cinema una nuova rappresentazione della donna, che possa contribuire a modificare le idee delle persone. Il cambiamento degli immaginari è fondamentale, ed è stato proprio il tentativo di modificare le immagini classiche della donna la ragione per la quale ho dovuto subire in Egitto degli attacchi così forti.
La musica è un elemento fondamentale non solo nella vita della protagonista, ma anche nell'architettura complessiva del film. Che relazione c'è tra la dimensione delle immagini e quella musicale?
La musica riveste un ruolo così importante perché è la coscienza del film: tutto ciò che non si può dire e mostrare viene detto dalla musica. Sono stato obbligata a inventare di tutto per non cadere nella censura, e la musica ha compensato molte cose non dette. Nel film, dunque, la musica è una compensazione di significato, l'espressione di quelle cose, come la libertà, che non si possono dire, ma che si possono esprimere attraverso un suono sensuale.
05/07/2007