Legge 194 la storia non si cancella
Liberazione del 21 maggio 2008, pag. 11
di Angela Azzaro
Trent'anni e li dimostra tutti. La legge 194 approvata il 22 maggio del 1978 è invecchiata precocemente per due motivi su cui vale la pena ragionare. Il primo sta nella sua debolezza dovuta sia all'impianto generale sia ad alcune norme che di fatto consentono alcuni degli attacchi a cui ci siamo purtroppo abituate. Come ricostruiamo in queste pagine il movimento femminista degli anni Settanta era diviso. La maggior parte delle donne si batteva non per una legge, ma per la depenalizzazione del reato di aborto. Il ragionamento era chiaro: una legge avrebbe significato che lo Stato metteva bocca sul corpo delle donne. Così è stato, anche perché alcuni degli articoli del testo aprono di fatto all'obiezione di coscienza da una parte e dall'altra alle varie interpretazioni su quando e come inizia la vita.
Il secondo motivo va ricercato nell'attacco che chiesa e politica portano avanti da anni contro la libera scelta delle donne. Lo abbiamo scritto tante volte. Il limite imposto alla possibilità per le donne di accedere all'interruzione di gravidanza è la conseguenza di una contesa ancora più ampia: quella intrapresa dal potere maschile per ristabilire l'ordine che lo vede vincente sulla libertà e sulla autonomia delle donne.
E' qui - esattamente nel conflitto tra i sessi - che si colloca l'approvazione della legge sulla fecondazione medicalmente assistita. Un passaggio chiaro, decisivo. Perché ha stabilito all'articolo 1 che l'embrione è persona e ha quindi di fatto legittimato la 194 e perché, al di là della legge, il dibattito che l'ha preceduta e seguita ha spostato il senso comune, creato cultura giuridica. Una cultura reazionaria. E' cioè passata l'idea che la vita è qualcosa di astratto, divino, che discende nel corpo di donna per farne quello che vuole. Il maschio incazzato dopo le conquiste fatte dal movimento femminista sta tentando di riprendersi una rivincita e manda in avanscoperta il suo avatar, l'embrione persona, l'embrione che parla ride canta. E ora fa anche le pubblicità.
Tante donne, pur giustamente stufe di vedersi schiacciate sempre nel solito dibattito, dicono che oggi non si può pensare a un miglioramento della legge 194. Metterci le mani significherebbe giocoforza renderla ancora peggiore e oggi va invece difesa così come è.
Ma c'è un altro terreno su cui si può riprendere il dibattito, contrastando l'idea della vita come dogma, principio astratto, come qualcosa che prescinde la relazione. E' questo il punto più debole. In tante che difendono la legge in fondo pensano che l'interruzione di gravidanza è un omicidio. Dovuto. Voluto. Ma pur sempre un omicidio. Un male necessario. Non è così. Ma bisogna avere il coraggio di dirlo, di comunicarlo, di uscire dalla gabbia che ci è stata costruita intorno.
In questa vigilia, il bilancio da fare ci riporta direttamente agli anni Settanta. Quando le donne non chiedevano diritti concessi da parte degli uomini, ma libertà. Su questo non c'è cambiamento. Anche quelli che appoggiano la legge, hanno capito poco e male. La difendono, rispondono alle accuse. Ma non hanno fatto la cosa più importante mettere in discussione se stessi (sessualità, relazione) e la propria cultura politica. La legge 194 non c'entra niente con tutto questo? Invece c'entra molto. Su questo il ritardo è cronico. Ristabilire oggi che cosa è vita e cosa non lo è, ristabilire il confine tra lo Stato e la libera scelta significa capire quanto nella politica contino non solo le questioni astratte, ma i corpi, le storie, le relazioni. Tutto ciò che attiene la sfera personale e che è stato espunto dallo spazio pubblico. Oggi la sfera personale ritorna con prepotenza sotto i riflettori: la destra la vuole piegare al volere di dio (cioè al proprio interesse) e la sinistra la riduce a una questione di diritti. Forse, finalmente, oggi è chiaro che non è così.
Liberazione del 21 maggio 2008, pag. 11
di Angela Azzaro
Trent'anni e li dimostra tutti. La legge 194 approvata il 22 maggio del 1978 è invecchiata precocemente per due motivi su cui vale la pena ragionare. Il primo sta nella sua debolezza dovuta sia all'impianto generale sia ad alcune norme che di fatto consentono alcuni degli attacchi a cui ci siamo purtroppo abituate. Come ricostruiamo in queste pagine il movimento femminista degli anni Settanta era diviso. La maggior parte delle donne si batteva non per una legge, ma per la depenalizzazione del reato di aborto. Il ragionamento era chiaro: una legge avrebbe significato che lo Stato metteva bocca sul corpo delle donne. Così è stato, anche perché alcuni degli articoli del testo aprono di fatto all'obiezione di coscienza da una parte e dall'altra alle varie interpretazioni su quando e come inizia la vita.
Il secondo motivo va ricercato nell'attacco che chiesa e politica portano avanti da anni contro la libera scelta delle donne. Lo abbiamo scritto tante volte. Il limite imposto alla possibilità per le donne di accedere all'interruzione di gravidanza è la conseguenza di una contesa ancora più ampia: quella intrapresa dal potere maschile per ristabilire l'ordine che lo vede vincente sulla libertà e sulla autonomia delle donne.
E' qui - esattamente nel conflitto tra i sessi - che si colloca l'approvazione della legge sulla fecondazione medicalmente assistita. Un passaggio chiaro, decisivo. Perché ha stabilito all'articolo 1 che l'embrione è persona e ha quindi di fatto legittimato la 194 e perché, al di là della legge, il dibattito che l'ha preceduta e seguita ha spostato il senso comune, creato cultura giuridica. Una cultura reazionaria. E' cioè passata l'idea che la vita è qualcosa di astratto, divino, che discende nel corpo di donna per farne quello che vuole. Il maschio incazzato dopo le conquiste fatte dal movimento femminista sta tentando di riprendersi una rivincita e manda in avanscoperta il suo avatar, l'embrione persona, l'embrione che parla ride canta. E ora fa anche le pubblicità.
Tante donne, pur giustamente stufe di vedersi schiacciate sempre nel solito dibattito, dicono che oggi non si può pensare a un miglioramento della legge 194. Metterci le mani significherebbe giocoforza renderla ancora peggiore e oggi va invece difesa così come è.
Ma c'è un altro terreno su cui si può riprendere il dibattito, contrastando l'idea della vita come dogma, principio astratto, come qualcosa che prescinde la relazione. E' questo il punto più debole. In tante che difendono la legge in fondo pensano che l'interruzione di gravidanza è un omicidio. Dovuto. Voluto. Ma pur sempre un omicidio. Un male necessario. Non è così. Ma bisogna avere il coraggio di dirlo, di comunicarlo, di uscire dalla gabbia che ci è stata costruita intorno.
In questa vigilia, il bilancio da fare ci riporta direttamente agli anni Settanta. Quando le donne non chiedevano diritti concessi da parte degli uomini, ma libertà. Su questo non c'è cambiamento. Anche quelli che appoggiano la legge, hanno capito poco e male. La difendono, rispondono alle accuse. Ma non hanno fatto la cosa più importante mettere in discussione se stessi (sessualità, relazione) e la propria cultura politica. La legge 194 non c'entra niente con tutto questo? Invece c'entra molto. Su questo il ritardo è cronico. Ristabilire oggi che cosa è vita e cosa non lo è, ristabilire il confine tra lo Stato e la libera scelta significa capire quanto nella politica contino non solo le questioni astratte, ma i corpi, le storie, le relazioni. Tutto ciò che attiene la sfera personale e che è stato espunto dallo spazio pubblico. Oggi la sfera personale ritorna con prepotenza sotto i riflettori: la destra la vuole piegare al volere di dio (cioè al proprio interesse) e la sinistra la riduce a una questione di diritti. Forse, finalmente, oggi è chiaro che non è così.