«Il dovere alla vita non c'è a Modena seguita la legge»
Liberazione del 30 maggio 2008, pag. 6
di Davide Varì
Due notizie squarciano il silenzio che incombe sui temi etici in questo inizio di legislatura. La prima arriva da Modena dove il marito di una donna in coma - in qualità di "amministrazione di sostegno" - ha deciso di evitarle una vita imprigionata dentro un polmone d'acciaio facendo rispettare la sua volontà: la volontà di morire senza inutili sofferenze.
Non si tratta del primo caso di testamento biologico in Italia ma, in ogni caso, di un'importante successo sul piano del diritto alla vita inteso come diritto di disporre della propria esistenza.
L'altra notizia, di segno opposto, arriva dall'Ospedale Bambin Gesù di Roma dove un neonato è stato sottratto alla patria potestà dei genitori per garantirgli le «cure necessarie». Il neonato, affetto dalla sindrome di Potter, per stessa ammissione dei medici non ha alcuna possibilità di sopravvivere. Ciononostante ai genitori, indecisi se sottoporlo ad un «calvario di terapie in una vita d'inferno», il Tribunale ha tolto la patria potestà.
Chiara Lalli, bioeticista dell'Università di Roma, parla di «diritto alla vita, come diritto assoluto della persona di decidere del proprio destino». E nel caso del neonato, dove questo diritto è affidato ai genitori, la linea da seguire dovrebbe essere quella di «garantire al bambino inutili sofferenze, inutili torture».
Professoressa Lalli, per la prima volta in Italia è stato rispettato il diritto di una persona a interrompere la propria esistenza segnata da una malattia devastante. D'altra parte, il Tribunale di Roma ha tolto la patria potestà ad una coppia di genitori per garantire il diritto di cura ad un neonato che non ha alcuna possibilità di sopravvivere...
Sono due notizie molto diverse tra loro. Nel primo caso, nel caso della donna, è stato messo in crisi il valore assoluto dell'obbligo alla vita. E' stata rispettata la volontà del paziente sulla base di vari di codici normativi in cui c'è scritto a chiare lettere che non si può costringere nessuno a trattamenti sanitari. E' stata accertata la volontà della signora grazie alla figura dell'amministratore di sostegno, in questo caso il marito, che ha garantito il diritto della moglie.
E nel caso del bambino?
Nel caso del neonato, ovviamente, non c'è alcuna possibilità di consenso diretto. Sono i genitori che decidono per il figlio. Il fatto è che questo diritto è stato tolto loro. Su quale base? C'è una ragione medica oggettiva? A quanto pare no, sembra proprio che la malattia di quel bambino non dia alcuna speranza. Nel caso in cui la patologia sia fonte di sofferenze inutili è ragionevole e umano pensare che il dovere dei genitori e dei medici sia quello di assisterlo e accompagnarlo verso il suo ineluttabile destino. Voglio dire che è inutile torturare un bambino. E' inutile fargli passare mesi di inferno. Se fosse una malattia meno grave, che garantisse un'esistenza degna e serena il discorso, ovviamente, sarebbe diverso. Ma in questo caso par di capire che l'unica certezza è la sofferenza delle cure.
Forse il punto di contatto tra le due vicende sta proprio qui: garantire a entrambi un sostegno adeguato...
Certo, non c'è nessuna ragione di prolungare le sofferenze, sofferenze spesso terribili, senza il consenso dei diretti interessati. Il vero aiuto medico sta quindi nella gestione di questa sofferenza e non nell'accanimento. E in questo senso il segnale che arriva da Modena è una conquista molto importante. Una donna è stata sottratta a terapie dolorose e inutili grazie alla legittimazione dell'amministratore di sostegno, una persona indicata dal malato che ha il diritto dovere di far rispettare le sue volontà.
Eppure in Italia non c'è nessuna legge sul testamento biologico, come è stato possibile arrivare a questo risultato?
Come è noto la norma sul testamento biologico è ferma da anni. In questo caso è stata "sfruttata" una legge del 2004 la quale prevede che le scelte individuali possono essere rispettare attraverso l'individuazione di un amministratore di sostegno (art. 408 C.C.), che può essere designato dallo stesso interessato in previsione della propria futura incapacità.
Una vittoria?
Una vittoria nel senso che è stata evitata l'imposizione di una sopravvivenza dentro un polmone d'acciaio. Se una persona non vuole passare il resto dei suoi giorni dentro una macchina, lo Stato ha il dovere di rispettare la sua volontà, il suo progetto di vita. Imporre ad altri il valore assoluto della vita è un sopruso. Solo la persona, l'individuo proprietario della propria vita può stabilire se la sua esistenza è degna di essere vissuta oppure no.
Liberazione del 30 maggio 2008, pag. 6
di Davide Varì
Due notizie squarciano il silenzio che incombe sui temi etici in questo inizio di legislatura. La prima arriva da Modena dove il marito di una donna in coma - in qualità di "amministrazione di sostegno" - ha deciso di evitarle una vita imprigionata dentro un polmone d'acciaio facendo rispettare la sua volontà: la volontà di morire senza inutili sofferenze.
Non si tratta del primo caso di testamento biologico in Italia ma, in ogni caso, di un'importante successo sul piano del diritto alla vita inteso come diritto di disporre della propria esistenza.
L'altra notizia, di segno opposto, arriva dall'Ospedale Bambin Gesù di Roma dove un neonato è stato sottratto alla patria potestà dei genitori per garantirgli le «cure necessarie». Il neonato, affetto dalla sindrome di Potter, per stessa ammissione dei medici non ha alcuna possibilità di sopravvivere. Ciononostante ai genitori, indecisi se sottoporlo ad un «calvario di terapie in una vita d'inferno», il Tribunale ha tolto la patria potestà.
Chiara Lalli, bioeticista dell'Università di Roma, parla di «diritto alla vita, come diritto assoluto della persona di decidere del proprio destino». E nel caso del neonato, dove questo diritto è affidato ai genitori, la linea da seguire dovrebbe essere quella di «garantire al bambino inutili sofferenze, inutili torture».
Professoressa Lalli, per la prima volta in Italia è stato rispettato il diritto di una persona a interrompere la propria esistenza segnata da una malattia devastante. D'altra parte, il Tribunale di Roma ha tolto la patria potestà ad una coppia di genitori per garantire il diritto di cura ad un neonato che non ha alcuna possibilità di sopravvivere...
Sono due notizie molto diverse tra loro. Nel primo caso, nel caso della donna, è stato messo in crisi il valore assoluto dell'obbligo alla vita. E' stata rispettata la volontà del paziente sulla base di vari di codici normativi in cui c'è scritto a chiare lettere che non si può costringere nessuno a trattamenti sanitari. E' stata accertata la volontà della signora grazie alla figura dell'amministratore di sostegno, in questo caso il marito, che ha garantito il diritto della moglie.
E nel caso del bambino?
Nel caso del neonato, ovviamente, non c'è alcuna possibilità di consenso diretto. Sono i genitori che decidono per il figlio. Il fatto è che questo diritto è stato tolto loro. Su quale base? C'è una ragione medica oggettiva? A quanto pare no, sembra proprio che la malattia di quel bambino non dia alcuna speranza. Nel caso in cui la patologia sia fonte di sofferenze inutili è ragionevole e umano pensare che il dovere dei genitori e dei medici sia quello di assisterlo e accompagnarlo verso il suo ineluttabile destino. Voglio dire che è inutile torturare un bambino. E' inutile fargli passare mesi di inferno. Se fosse una malattia meno grave, che garantisse un'esistenza degna e serena il discorso, ovviamente, sarebbe diverso. Ma in questo caso par di capire che l'unica certezza è la sofferenza delle cure.
Forse il punto di contatto tra le due vicende sta proprio qui: garantire a entrambi un sostegno adeguato...
Certo, non c'è nessuna ragione di prolungare le sofferenze, sofferenze spesso terribili, senza il consenso dei diretti interessati. Il vero aiuto medico sta quindi nella gestione di questa sofferenza e non nell'accanimento. E in questo senso il segnale che arriva da Modena è una conquista molto importante. Una donna è stata sottratta a terapie dolorose e inutili grazie alla legittimazione dell'amministratore di sostegno, una persona indicata dal malato che ha il diritto dovere di far rispettare le sue volontà.
Eppure in Italia non c'è nessuna legge sul testamento biologico, come è stato possibile arrivare a questo risultato?
Come è noto la norma sul testamento biologico è ferma da anni. In questo caso è stata "sfruttata" una legge del 2004 la quale prevede che le scelte individuali possono essere rispettare attraverso l'individuazione di un amministratore di sostegno (art. 408 C.C.), che può essere designato dallo stesso interessato in previsione della propria futura incapacità.
Una vittoria?
Una vittoria nel senso che è stata evitata l'imposizione di una sopravvivenza dentro un polmone d'acciaio. Se una persona non vuole passare il resto dei suoi giorni dentro una macchina, lo Stato ha il dovere di rispettare la sua volontà, il suo progetto di vita. Imporre ad altri il valore assoluto della vita è un sopruso. Solo la persona, l'individuo proprietario della propria vita può stabilire se la sua esistenza è degna di essere vissuta oppure no.