I nuovi evangelici pro Obama, la Jesus machine si divide
Il Riformista del 23 luglio 2008, pag. 5
di Paolo Rodari
Fu Ronald Reagan che, alla ricerca dell’appoggio dei conservatori religiosi, arrivò a dire: «You can’t endorse me but I can endorse you». È, più o meno, la medesima cosa che sta dicendo Barack Obama, forse il più reaganiano degli ultimi candidati alla Casa Bianca.
Un passo significativo, in questo senso, è quello che il leader dei democrats farà il prossimo 16 agosto nella Contea di Orange (California meridionale). In quella che è la casa di Rick Warren, fondatore della Saddleback Church (22 mila membri), egli parteciperà assieme a McCain a un forum religioso. Lo stile sarà quello sobrio proprio di Rick Warren: si parla nel tentativo di creare ponti e non fossati, unità e non divisione. Obama sa bene che la Saddleback Church non ha visioni e prospettive distanti dalle sue. E, per lui, riuscire a confermarsi davanti a quella parte di evangelici che già naturalmente sembra preferirlo a McCain, è un obiettivo da non mancare anche perché, chiesa dopo chiesa, è tutto l’elettorato evangelico che sarà determinate alle elezioni del prossimo novembre.
È sempre la solita regola: a seconda di chi votano gli evangelici - la Jesus Machine», come li ha definiti Dan Gilgoff -, si può conoscere chi sarà il vincitore delle elezioni negli Usa. E, infatti, non è per sport che Obama sta lavorando sodo con gli evangelici. Li vuole convincere, come un tempo ci riuscì Jimmy Carter, che di lui, loro, si possono fidare. Che potrebbe essere lui ciò che nel 2004 fu, per loro, George W Bush.
Obama, infatti, sa bene che, alle ultime elezioni, furono anche "le preghiere" e i voti degli evangelici, i faith voters, che consacrarono per la seconda volta Bush alla Casa Bianca. Loro, gli evangelici, l’avevano già votato in massa nel 2000 proprio per i suoi valori, per i suoi programmi incentrati sulla difesa della vita. Bush era l’uomo benedetto dalla destra religiosa americana. Era, in sostanza, quello che John Kerry non poteva e non voleva essere. Per questo, e non soltanto per la famosa sentenza della Corte Suprema, Bush vinse. E Kerry perse.
Può un simile elettorato abbandonare i repubblicani e votare per i democratici alla fine del 2008?
Sembrerebbe di no. Ma la sfida di Obama è proprio quella di riuscire laddove l’impresa pare impossibile. Della cosa, ne ha parlato recentemente anche Amy Sullivan in The Party Faithful How and Why Democrats Are Closing the God Gap (Scribner). Per avere il voto degli evangelici Obama deve saper puntare sulla necessità di dare al paese un welfare più equo, dove i protagonisti siano i gruppi intermedi, anche religiosi, un welfare che avvantaggi tutti e non soltanto alcuni e, insieme, deve essere in grado di non spaventare sulle cosiddette ethical questions. E John McCain, in questo senso, potrebbe aiutarlo perché, agli occhi degli evangelici, si presenta meno intransigente sui valori di quanto non lo sia Bush.
Quanto al welfare, Obama viaggia su binari dritti e sicuri. Il suo social activism è in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa. E fa niente se c’è chi, come James Dobson, il leader di Focus on the Family, lo accusa di predicare bene ma razzolare male. Obama, sostiene Dobson, si dice vicino alla destra religiosa sui temi sociali ma poi assume posizioni controverse su aborto e ethical questions.
Nonostante Dobson, Obama va avanti per la sua strada e il tentativo, dichiarato pubblicamente, di unire cattolici, protestanti, musulmani ed ebrei puntando sul lavoro delle rispettive organizzazioni non profit nel sociale, piace e trova consenso in questi stessi movimenti. Ed è questo consenso, più che le non confermate voci di una sua possibile conversione al cattolicesimo in stile Tony Blair, che nel prossimo novembre potrebbe fare la differenza.
A inizio giugno il senatore dell’Illinois si è recato in Ohio per presentare una proposta per aumentare i fondi federali destinati alle iniziative contro la povertà organizzate dai gruppi religiosi. Per gli analisti, un chiaro messaggio. «I gruppi religiosi sono in grado di influenzare le elezioni», ha detto John C. Green, professore universitario, animatore del Pew Forum on Religion & Pubblic Life.
E anche se Green, rispetto al 2004, vede Obama in grado di accaparrarsi diversi voti tra i cattolici ma meno tra gli evangelici, non mancano gli analisti che pensano, invece, il contrario. Per Green, Obama faticherà a sfondare tra i gruppi vicini alla destra religiosa: «Anche se - ammette qualche voto, anche lì, lo prenderà». «Su questioni come aborto, o sesso extra-matrimonio, le distanze tra gli evangelici e il liberal Obama sono siderali. Ma su temi come l’economia, o la politica estera, i punti di incontro sono maggiori». Non a caso, infatti, Obama è riuscito a portare a casa un importante riconoscimento. E cioè l’endorsement del reverendo Kirbyjon Caldwell, leader della megachurch metodista di Huston il quale aveva sempre supportato Bush e, tra l’altro, ne aveva celebrato il matrimonio della figlia Jenna.
In favore di Obama gioca anche, come detto, McCain e, in particolare, la sua debolezza. Cresciuto nella Chiesa episcopale, passato poi a quella battista per seguire le orme della moglie Cindy, l’ex eroe del Vietnam non ha mai convinto i settori cristiani più conservatori. Anzi. Dopo aver, in passato, definito «promotori dell’intolleranza» figure storiche degli evangelici come Jerry Falwell e Pat Roberton, McCain ne ha cercato l’appoggio pubblico, ma ha ottenuto soltanto un timida dichiarazione di apprezzamento. «La grande incognita è proprio questa - ha affermato ancora Green : i leader religiosi mobiliteranno i loro fedeli per far vincere il candidato repubblicano? Io, penso di no». Anzi. In molti sostengono che tra i cattolici e gli evangelici, se qualcuno si muoverà in vista delle elezioni, lo farà per far vincere Obama. Esistono, tra l’altro, anche diversi gruppi religiosi - ad esempio il Catholics inAlliance for the Common Good, o i We believe in Ohio - conservatori nelle questioni "morali" ma progressisti in quelli sociali, che si dicono pronti a votare Obama come fecero, anni fa, gruppi simili in favore di Jimmy Carter.
In fondo Obama è rassicurante, anche per loro. E poi, come ha sostenuto recentemente il sociologo delle religioni statunitense Rodney Stark (un non cattolico), oggi, più che mai, la marginalizzazione della religione appare come un’ipotesi remota. Anzi, per vincere le elezioni la religione conta. Eccome.
Il Riformista del 23 luglio 2008, pag. 5
di Paolo Rodari
Fu Ronald Reagan che, alla ricerca dell’appoggio dei conservatori religiosi, arrivò a dire: «You can’t endorse me but I can endorse you». È, più o meno, la medesima cosa che sta dicendo Barack Obama, forse il più reaganiano degli ultimi candidati alla Casa Bianca.
Un passo significativo, in questo senso, è quello che il leader dei democrats farà il prossimo 16 agosto nella Contea di Orange (California meridionale). In quella che è la casa di Rick Warren, fondatore della Saddleback Church (22 mila membri), egli parteciperà assieme a McCain a un forum religioso. Lo stile sarà quello sobrio proprio di Rick Warren: si parla nel tentativo di creare ponti e non fossati, unità e non divisione. Obama sa bene che la Saddleback Church non ha visioni e prospettive distanti dalle sue. E, per lui, riuscire a confermarsi davanti a quella parte di evangelici che già naturalmente sembra preferirlo a McCain, è un obiettivo da non mancare anche perché, chiesa dopo chiesa, è tutto l’elettorato evangelico che sarà determinate alle elezioni del prossimo novembre.
È sempre la solita regola: a seconda di chi votano gli evangelici - la Jesus Machine», come li ha definiti Dan Gilgoff -, si può conoscere chi sarà il vincitore delle elezioni negli Usa. E, infatti, non è per sport che Obama sta lavorando sodo con gli evangelici. Li vuole convincere, come un tempo ci riuscì Jimmy Carter, che di lui, loro, si possono fidare. Che potrebbe essere lui ciò che nel 2004 fu, per loro, George W Bush.
Obama, infatti, sa bene che, alle ultime elezioni, furono anche "le preghiere" e i voti degli evangelici, i faith voters, che consacrarono per la seconda volta Bush alla Casa Bianca. Loro, gli evangelici, l’avevano già votato in massa nel 2000 proprio per i suoi valori, per i suoi programmi incentrati sulla difesa della vita. Bush era l’uomo benedetto dalla destra religiosa americana. Era, in sostanza, quello che John Kerry non poteva e non voleva essere. Per questo, e non soltanto per la famosa sentenza della Corte Suprema, Bush vinse. E Kerry perse.
Può un simile elettorato abbandonare i repubblicani e votare per i democratici alla fine del 2008?
Sembrerebbe di no. Ma la sfida di Obama è proprio quella di riuscire laddove l’impresa pare impossibile. Della cosa, ne ha parlato recentemente anche Amy Sullivan in The Party Faithful How and Why Democrats Are Closing the God Gap (Scribner). Per avere il voto degli evangelici Obama deve saper puntare sulla necessità di dare al paese un welfare più equo, dove i protagonisti siano i gruppi intermedi, anche religiosi, un welfare che avvantaggi tutti e non soltanto alcuni e, insieme, deve essere in grado di non spaventare sulle cosiddette ethical questions. E John McCain, in questo senso, potrebbe aiutarlo perché, agli occhi degli evangelici, si presenta meno intransigente sui valori di quanto non lo sia Bush.
Quanto al welfare, Obama viaggia su binari dritti e sicuri. Il suo social activism è in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa. E fa niente se c’è chi, come James Dobson, il leader di Focus on the Family, lo accusa di predicare bene ma razzolare male. Obama, sostiene Dobson, si dice vicino alla destra religiosa sui temi sociali ma poi assume posizioni controverse su aborto e ethical questions.
Nonostante Dobson, Obama va avanti per la sua strada e il tentativo, dichiarato pubblicamente, di unire cattolici, protestanti, musulmani ed ebrei puntando sul lavoro delle rispettive organizzazioni non profit nel sociale, piace e trova consenso in questi stessi movimenti. Ed è questo consenso, più che le non confermate voci di una sua possibile conversione al cattolicesimo in stile Tony Blair, che nel prossimo novembre potrebbe fare la differenza.
A inizio giugno il senatore dell’Illinois si è recato in Ohio per presentare una proposta per aumentare i fondi federali destinati alle iniziative contro la povertà organizzate dai gruppi religiosi. Per gli analisti, un chiaro messaggio. «I gruppi religiosi sono in grado di influenzare le elezioni», ha detto John C. Green, professore universitario, animatore del Pew Forum on Religion & Pubblic Life.
E anche se Green, rispetto al 2004, vede Obama in grado di accaparrarsi diversi voti tra i cattolici ma meno tra gli evangelici, non mancano gli analisti che pensano, invece, il contrario. Per Green, Obama faticherà a sfondare tra i gruppi vicini alla destra religiosa: «Anche se - ammette qualche voto, anche lì, lo prenderà». «Su questioni come aborto, o sesso extra-matrimonio, le distanze tra gli evangelici e il liberal Obama sono siderali. Ma su temi come l’economia, o la politica estera, i punti di incontro sono maggiori». Non a caso, infatti, Obama è riuscito a portare a casa un importante riconoscimento. E cioè l’endorsement del reverendo Kirbyjon Caldwell, leader della megachurch metodista di Huston il quale aveva sempre supportato Bush e, tra l’altro, ne aveva celebrato il matrimonio della figlia Jenna.
In favore di Obama gioca anche, come detto, McCain e, in particolare, la sua debolezza. Cresciuto nella Chiesa episcopale, passato poi a quella battista per seguire le orme della moglie Cindy, l’ex eroe del Vietnam non ha mai convinto i settori cristiani più conservatori. Anzi. Dopo aver, in passato, definito «promotori dell’intolleranza» figure storiche degli evangelici come Jerry Falwell e Pat Roberton, McCain ne ha cercato l’appoggio pubblico, ma ha ottenuto soltanto un timida dichiarazione di apprezzamento. «La grande incognita è proprio questa - ha affermato ancora Green : i leader religiosi mobiliteranno i loro fedeli per far vincere il candidato repubblicano? Io, penso di no». Anzi. In molti sostengono che tra i cattolici e gli evangelici, se qualcuno si muoverà in vista delle elezioni, lo farà per far vincere Obama. Esistono, tra l’altro, anche diversi gruppi religiosi - ad esempio il Catholics inAlliance for the Common Good, o i We believe in Ohio - conservatori nelle questioni "morali" ma progressisti in quelli sociali, che si dicono pronti a votare Obama come fecero, anni fa, gruppi simili in favore di Jimmy Carter.
In fondo Obama è rassicurante, anche per loro. E poi, come ha sostenuto recentemente il sociologo delle religioni statunitense Rodney Stark (un non cattolico), oggi, più che mai, la marginalizzazione della religione appare come un’ipotesi remota. Anzi, per vincere le elezioni la religione conta. Eccome.