giovedì 10 luglio 2008

La sentenza Englaro. Il diritto di scegliere

l’Unità 10-7.08
La sentenza Englaro. Il diritto di scegliere
di Maurizio Mori, Presidente della Consulta di Bioetica

Finalmente, dopo più di 16 anni è arrivata la decisione tanto attesa, che rende giustizia alle volontà di Eluana e alla estenuante lotta compiuta dai genitori. La puntualità con cui la Corte d’Appello ha precisato le ragioni sono ammirevoli e infondono fiducia nella Magistratura. L’idea di fondo è l’applicazione dell’eguaglianza di tutti i cittadini sancita nell’art. 3 della Costituzione non solo «nella finalità di assicurare sostegno materiale agli individui più deboli o in difficoltà, come gli incapaci, ma anche in quella di rendere possibile la libera espressione della loro personalità, della loro dignità e dei loro valori».
Poiché come osserva sempre la Corte, «la prosecuzione della vita non può essere imposta a nessun malato, mediante trattamenti artificiali, quando il malato stesso liberamente decida di rifiutarli», questo principio di uguaglianza va esteso anche ad Eluana che ora non può più esprimere la propria volontà.
Rimandando ad altra sede una più dettagliata analisi delle motivazioni della Corte, resta la giustizia sostanziale della sospensione della terapia nutrizionale per garantire ad Eluana di evitare uno stato di vita che mai e poi mai avrebbe voluto. La sentenza è un altro passo significativo compiuto per garantire alle persone la possibilità di autodeterminarsi, prevista dalla nostra Costituzione repubblicana e richiesta con forza dal processo di modernizzazione della società italiana. Nelle società premoderne, i valori e «significati sono presentati all’individuo come fatti scontati, generalmente sacri, sui quali egli può esercitare tanto poca scelta quanto sui fatti naturali: i valori che governano la vita famigliare, per esempio, esistono più o meno come esiste una roccia, un albero, e il colore dei propri capelli», mentre nelle società moderne un numero sempre maggiore di valori e di significati sono scelti dall’individuo, e questo modello si estende anche alla propria vita dal momento che ormai le tecnologie biomediche possono portarci a vivere in condizioni prive di dignità o infernali.
È la situazione di Eluana, che aveva un senso della libertà e dell’autonomia superiore e che la sorte ha voluto finisse in una situazione che per lei sarebbe stata intollerabile. Non vale dire che viene scardinato il «principio di non disponibilità della vita umana o il dovere fondamentale di prendersi cura dei pazienti che non sono in grado di intendere e volere», perché questa è solo una riformulazione del vecchio e obsoleto vitalismo che pone la mera vita biologica come valore supremo. Ciò che vale è la vita biografica, quella che presenta contenuti e scelte. E tra queste c’è anche la scelta delle scelte, ossia quella che riguarda la propria esistenza ove questa avesse cessato di essere significativa.
Per chi crede che i valori preesistano alle scelte personali come le montagne o le case, è impensabile (o abominevole) l’idea stessa che una persona possa decidere che la condizione di stato vegetativo permanente è invivibile e non merita di essere perpetrata. Ma chi ritiene che l’esistenza è fatta di scelte, non trova nulla di strano, anzi vede come un incubo la possibilità di essere privato della facoltà di scelta. Questa è la situazione di Eluana, cui ora la Corte di Milano ha reso giustizia. È superfluo ricordare che le due scelte non sono simmetriche, perché chi volesse permanere in stato vegetativo è libero di farlo, ma non può imporre la propria posizione a chi avesse una diversa concezione della vita. Ed è per questo che quest’ultima è superiore: perché non pretende di imporre i propri valori all’altra, e chiede solo la libertà per tutti.
La strada per giungere a questo risultato è stata tutta in salita ed estenuante. In oltre 16 anni la società italiana è cambiata anche dietro lo stimolo di centinaia di conferenze, svariati interventi televisivi e radiofonici, articoli e quant’altro: c’è stata un’ampia riflessione pubblica che ha sollecitato l’intervento della magistratura, che indirizza la nuova sensibilità civile alla luce delle norme costituzionali e vigenti. L’auspicio è che si continui in questa direzione, perché l’esigenza di modernizzazione è crescente. La gente, in Italia, vive ormai in base ai valori laici e secolari che, purtroppo, non trovano adeguata rappresentanza sul piano pubblico. La sentenza farà discutere e sicuramente ci saranno dure critiche. Speriamo che chi ha responsabilità pubbliche dia voce ai valori secolari e faccia valere i diritti civili di tutti, senza nascondersi dietro le solite frasi fatte a sostegno delle “tradizioni italiche”. È tempo di guardare avanti, non di continuare a elogiare il passato. I giudici di Milano hanno colto quest’aspetto e meritano un plauso: hanno dato un esempio, ed ora tocca a noi seguirli.