Ma l'alimentazione artificiale non è un accanimento?
Liberazione del 15 luglio 2008, pag. 1
di Carlo Flamigni
Ho sotto gli occhi l'articolo di Francesco D'Agostino, scritto per l' Avvenire (11 luglio "Una sentenza di morte dai giudici. Ma si può?"). In realtà ho sotto gli occhi una quantità notevole di articoli scritti da cattolici di varia cultura e di differente mediocrità, ma da molti anni tendo a leggere quasi esclusivamente quello che scrive D'Agostino, almeno è intelligente. Di questo articolo mi limito a citare un passo: «E' sottoposta, Eluana - si chiede - ad accanimento terapeutico da parte delle suore che l'accudiscono? La risposta è No. Perché, come tutte le persone in coma, non soffre. Viene semplicemente alimentata e dissetata, atti essenziali, minimali, umanissimi di prossimità umana, portatori di un valore simbolico altissimo». Non atti terapeutici - sottolinea. D'Agostino ha un alto concetto di sé (non ha tutti i torti), ma qualche volta esagera. Qui decide che l'opinione della società scientifica internazionale, che sostiene da molto tempo che l'idratazione e l'alimentazione artificiale costituiscono a tutti gli effetti un trattamento medico pari a quello di altri sostegni vitali, non gli interessa. Fesserie.
E sì che la comunità scientifica internazionale non affronta il problema da un punto di vista ideologico - come invece fa D'Agostino - ma si limita a ricordarci che in realtà non si tratta di acqua e cibo, ma di composti chimici, di soluzioni e di preparati che implicano procedure tecnologiche e saperi scientifici. Usare il linguaggio evocativo che i cattolici stanno utilizzando sull'argomento equivale a un infantile ricatto psicologico che consiste unicamente nel mettere in campo emozioni coinvolgenti: "se sei cattivo la mamma morirà di dolore", se ti tocchi Gesù piangerà.
Siamo seri: alimentare e idratare un corpo in stato vegetativo persistente non ha il minimo significato "simbolico e sociale di sollecitudine per l'altro", l'altro non abita più lì, quel corpo è vuoto. E comunque se valessero questi principi dovrebbero essere tenuti nello stesso conto altri trattamenti (ad esempio la respirazione artificiale), poiché se si accetta questa interpretazione dell'etica della cura non si può accettare come discriminante la natura più o meno tecnologica dei trattamenti.
E trovo aberrante e anche un po' ridicolo abbellire con parole poetiche atti medici niente affatto gradevoli, farli passare come inviti a cena sollecitati dal desiderio di compassione e di solidarietà: dimenticando di dire che poi il commensale viene nutrito con un clistere quotidiano, che gli si fa un bel buco nello stomaco per facilitare l'esecuzione dei nostri affettuosi atti simbolici. Né si può sorvolare sul fatto che l'idratazione e l'alimentazione artificiali non si trasformano mai in una forma di accanimento terapeutico, anche se in molti casi possono diventare forme di puro e semplice accanimento: questi corpi hanno una ridotta capacità di assimilazione, ma non è mai possibile indicare in astratto la soglia al di sotto della quale questa capacità diventa insufficiente e i nutrienti artificialmente somministrati non sono più in grado di modificare favorevolmente i parametri bio-umorali.
In realtà l'unico tema evocato dai cattolici che non abbia più o meno a che fare con la sacralità della vita è quello statistico, un po' miserabile ma per alcuni impressionante, relativo alle probabilità di risveglio. Proviamo a fare un inchiesta tra gli esperti e vediamo quanti di loro ritengano che per Eluana esista ancora un possibilità, una - diciamo - su un miliardo. O forse vogliamo chiamare in causa i miracoli? Non scherziamo. Per quanto mi sembra di capire, poi, neppure D'Agostino, campione cattolico di razionalismo, riesce a nascondere la vera ragione di questa incivile battaglia, la sacralità della vita, il principio della vita donata (prestata?) da Dio. Trovo veramente peculiare l'innocenza con la quale a partire da un postulato non dimostrabile - l'esistenza di Dio - le religioni ci ammanniscono una serie di conclusioni che vengono fatte passare come verità assolute e non discutibili e che tutti dovremmo accettare supinamente, indifferenti a quanto esse possano essere pregiudizievoli per la nostra libertà, i nostri principi, le nostre idee, la nostra dignità.
Vorrei essere molto esplicito, penso di essere giustificato da questa serie infinita di insopportabili provocazioni. Sono ateo, e non credo che la mia esistenza mi sia stata donata, prestata o venduta: se scoprissi che è così, sarei nei guai perché avrei ricevuto qualcosa che per me ha avuto valore - oggi ne ha molto di meno - da uno sconosciuto, e mia madre mi ha ripetuto ad libìtum, quando ero bambino, di non accettare regali dagli sconosciuti.
Sono ateo e sono convinto che il giorno della mia morte lascerò il mio corpo per sempre, e non per andare da qualche parte, la mia storia finisce lì. Ma se in quel corpo resterà un frammento di vita biologica, il mio desiderio è che venga lasciata spegnere naturalmente e, se possibile, nel più breve tempo possibile. E' in gioco la mia dignità, e per favore non mi spiegate cosa significa questa parola, ognuno ha il diritto di darle il significato che crede. Per me si tratta di una sorta di cenestesi dello spirito, e se mi invitate a cena vi spiegherò cosa voglio dire. In ogni caso la mia dignità esige che il mio corpo, pur vuotato di ogni contenuto importante, sia trattato con il rispetto che si deve a tutte le cose che hanno un valore simbolico: non posso immaginare che mia moglie debba assistere a queste forme di oscena violenza e che quando si ricordi di me veda sovrapposte al ricordo del compagno della sua vita le immagine tristi e sgradevoli di un corpo in sfacelo che è solo in grado di vegetare e che, se qualcuno non intervenisse, si decomporrebbe tristemente tra le sue feci e le sue urine. E' vero che, in base a qualche assurda credenza metafisica, potete impormi questa sgradevole fine; è anche vero che, se lo fate, io vi maledirò. Chissà. Potrebbe anche essere una minaccia reale, che ne sapete?
Liberazione del 15 luglio 2008, pag. 1
di Carlo Flamigni
Ho sotto gli occhi l'articolo di Francesco D'Agostino, scritto per l' Avvenire (11 luglio "Una sentenza di morte dai giudici. Ma si può?"). In realtà ho sotto gli occhi una quantità notevole di articoli scritti da cattolici di varia cultura e di differente mediocrità, ma da molti anni tendo a leggere quasi esclusivamente quello che scrive D'Agostino, almeno è intelligente. Di questo articolo mi limito a citare un passo: «E' sottoposta, Eluana - si chiede - ad accanimento terapeutico da parte delle suore che l'accudiscono? La risposta è No. Perché, come tutte le persone in coma, non soffre. Viene semplicemente alimentata e dissetata, atti essenziali, minimali, umanissimi di prossimità umana, portatori di un valore simbolico altissimo». Non atti terapeutici - sottolinea. D'Agostino ha un alto concetto di sé (non ha tutti i torti), ma qualche volta esagera. Qui decide che l'opinione della società scientifica internazionale, che sostiene da molto tempo che l'idratazione e l'alimentazione artificiale costituiscono a tutti gli effetti un trattamento medico pari a quello di altri sostegni vitali, non gli interessa. Fesserie.
E sì che la comunità scientifica internazionale non affronta il problema da un punto di vista ideologico - come invece fa D'Agostino - ma si limita a ricordarci che in realtà non si tratta di acqua e cibo, ma di composti chimici, di soluzioni e di preparati che implicano procedure tecnologiche e saperi scientifici. Usare il linguaggio evocativo che i cattolici stanno utilizzando sull'argomento equivale a un infantile ricatto psicologico che consiste unicamente nel mettere in campo emozioni coinvolgenti: "se sei cattivo la mamma morirà di dolore", se ti tocchi Gesù piangerà.
Siamo seri: alimentare e idratare un corpo in stato vegetativo persistente non ha il minimo significato "simbolico e sociale di sollecitudine per l'altro", l'altro non abita più lì, quel corpo è vuoto. E comunque se valessero questi principi dovrebbero essere tenuti nello stesso conto altri trattamenti (ad esempio la respirazione artificiale), poiché se si accetta questa interpretazione dell'etica della cura non si può accettare come discriminante la natura più o meno tecnologica dei trattamenti.
E trovo aberrante e anche un po' ridicolo abbellire con parole poetiche atti medici niente affatto gradevoli, farli passare come inviti a cena sollecitati dal desiderio di compassione e di solidarietà: dimenticando di dire che poi il commensale viene nutrito con un clistere quotidiano, che gli si fa un bel buco nello stomaco per facilitare l'esecuzione dei nostri affettuosi atti simbolici. Né si può sorvolare sul fatto che l'idratazione e l'alimentazione artificiali non si trasformano mai in una forma di accanimento terapeutico, anche se in molti casi possono diventare forme di puro e semplice accanimento: questi corpi hanno una ridotta capacità di assimilazione, ma non è mai possibile indicare in astratto la soglia al di sotto della quale questa capacità diventa insufficiente e i nutrienti artificialmente somministrati non sono più in grado di modificare favorevolmente i parametri bio-umorali.
In realtà l'unico tema evocato dai cattolici che non abbia più o meno a che fare con la sacralità della vita è quello statistico, un po' miserabile ma per alcuni impressionante, relativo alle probabilità di risveglio. Proviamo a fare un inchiesta tra gli esperti e vediamo quanti di loro ritengano che per Eluana esista ancora un possibilità, una - diciamo - su un miliardo. O forse vogliamo chiamare in causa i miracoli? Non scherziamo. Per quanto mi sembra di capire, poi, neppure D'Agostino, campione cattolico di razionalismo, riesce a nascondere la vera ragione di questa incivile battaglia, la sacralità della vita, il principio della vita donata (prestata?) da Dio. Trovo veramente peculiare l'innocenza con la quale a partire da un postulato non dimostrabile - l'esistenza di Dio - le religioni ci ammanniscono una serie di conclusioni che vengono fatte passare come verità assolute e non discutibili e che tutti dovremmo accettare supinamente, indifferenti a quanto esse possano essere pregiudizievoli per la nostra libertà, i nostri principi, le nostre idee, la nostra dignità.
Vorrei essere molto esplicito, penso di essere giustificato da questa serie infinita di insopportabili provocazioni. Sono ateo, e non credo che la mia esistenza mi sia stata donata, prestata o venduta: se scoprissi che è così, sarei nei guai perché avrei ricevuto qualcosa che per me ha avuto valore - oggi ne ha molto di meno - da uno sconosciuto, e mia madre mi ha ripetuto ad libìtum, quando ero bambino, di non accettare regali dagli sconosciuti.
Sono ateo e sono convinto che il giorno della mia morte lascerò il mio corpo per sempre, e non per andare da qualche parte, la mia storia finisce lì. Ma se in quel corpo resterà un frammento di vita biologica, il mio desiderio è che venga lasciata spegnere naturalmente e, se possibile, nel più breve tempo possibile. E' in gioco la mia dignità, e per favore non mi spiegate cosa significa questa parola, ognuno ha il diritto di darle il significato che crede. Per me si tratta di una sorta di cenestesi dello spirito, e se mi invitate a cena vi spiegherò cosa voglio dire. In ogni caso la mia dignità esige che il mio corpo, pur vuotato di ogni contenuto importante, sia trattato con il rispetto che si deve a tutte le cose che hanno un valore simbolico: non posso immaginare che mia moglie debba assistere a queste forme di oscena violenza e che quando si ricordi di me veda sovrapposte al ricordo del compagno della sua vita le immagine tristi e sgradevoli di un corpo in sfacelo che è solo in grado di vegetare e che, se qualcuno non intervenisse, si decomporrebbe tristemente tra le sue feci e le sue urine. E' vero che, in base a qualche assurda credenza metafisica, potete impormi questa sgradevole fine; è anche vero che, se lo fate, io vi maledirò. Chissà. Potrebbe anche essere una minaccia reale, che ne sapete?