Il diritto di Eluana
Il Manifesto del 17 luglio 2008, pag. 1
di Gianni Ferrara
mpressiona non poco la notizia che il senato della Repubblica si appresti a sollevare conflitto di attribuzione innanzi alla Corte Costituzionale assumendo che, sul caso Eluana, la Corte di Cassazione abbia invaso il campo delle attribuzioni spettanti all’organo Parlamento di cui è un ramo. La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza. Si è espressa cioè con un atto tipico, il più tipico, della funzione giurisdizionale. Lo ha motivato. Rientrava esattamente nelle sue funzioni. Non poteva non esercitarle. Si sarebbe macchiata del più alto misfatto concepibile in uno Stato di diritto, quello di denegata giustizia. Dove è il conflitto? Nei confronti di chi? In base a quali prinicipi lo si può configurare? Sono domande alle quali una risposta in termini giuridici non può essere data.
Tanto non può essere data in quanto non si può immaginare che il senato possa intervenire con un suo atto sugli effetti che specificamente derivano dalla sentenza. Porrebbe in essere una legge-sentenza. E questa sì che, invadendo l’ambito della giurisdizione, si porrebbe in modo esemplare come violazione del principio e delle norme relative alla divisione dei poteri. Sia chiaro: si può certo immaginare che si approvi una legge che, ad esempio, sostituisca i dati normativi da cui la Cassazione ha tratto i presupposti della motivazione della sentenza che tanto sembra impressionare gli organi del senato che agiscono per sollevare il conflitto. Ma questa legge non potrebbe precludere gli effetti della sentenza configurando come reato gli atti che ne conseguono dei medici o dei familiari, stante e vigendo, per fortuna, l’irretroattività della legge penale. Dove è il conflitto se a fronte della sentenza e di ogni sentenza la funzione legislativa deve arrestarsi, appunto perché, ancora, il nostro è uno Stato di diritto?
Di che cosa mai si duole il senato, il parlamento, il legislatore italiano per il ritardo anzi per l’inerzia dimostrata in materia «eticamente sensi- » bile» come quella oggetto della sentenza in discussione? Nessuno ostacolo li derivava e li deriva a legiferare se non quello della subordinazione ad un potere altro da quello di tutti quelli che spettano ad uno Stato sovrano, nel suo ambito, «nel suo ordine» come recita l’art 7 della Costituzione. E che di abdicazione alla sovranità dello stato italiano si tratta quando si omette di legiferare in materie che attengono al «rispetto della persona umana» di cui all’art. 32 della Costituzione. E si omette per obbedire a visioni, a ideologie che in nome della persona umana la riducono ad entità inumana, a vegetale, a protesi di macchine.
Ma, questa volta, di fronte alla diserzione del potere legislativo il diritto al rispetto della persona umana ha trovato nella giurisdizione, nella Cassazione italiana, la sua garanzia.
Il Manifesto del 17 luglio 2008, pag. 1
di Gianni Ferrara
mpressiona non poco la notizia che il senato della Repubblica si appresti a sollevare conflitto di attribuzione innanzi alla Corte Costituzionale assumendo che, sul caso Eluana, la Corte di Cassazione abbia invaso il campo delle attribuzioni spettanti all’organo Parlamento di cui è un ramo. La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza. Si è espressa cioè con un atto tipico, il più tipico, della funzione giurisdizionale. Lo ha motivato. Rientrava esattamente nelle sue funzioni. Non poteva non esercitarle. Si sarebbe macchiata del più alto misfatto concepibile in uno Stato di diritto, quello di denegata giustizia. Dove è il conflitto? Nei confronti di chi? In base a quali prinicipi lo si può configurare? Sono domande alle quali una risposta in termini giuridici non può essere data.
Tanto non può essere data in quanto non si può immaginare che il senato possa intervenire con un suo atto sugli effetti che specificamente derivano dalla sentenza. Porrebbe in essere una legge-sentenza. E questa sì che, invadendo l’ambito della giurisdizione, si porrebbe in modo esemplare come violazione del principio e delle norme relative alla divisione dei poteri. Sia chiaro: si può certo immaginare che si approvi una legge che, ad esempio, sostituisca i dati normativi da cui la Cassazione ha tratto i presupposti della motivazione della sentenza che tanto sembra impressionare gli organi del senato che agiscono per sollevare il conflitto. Ma questa legge non potrebbe precludere gli effetti della sentenza configurando come reato gli atti che ne conseguono dei medici o dei familiari, stante e vigendo, per fortuna, l’irretroattività della legge penale. Dove è il conflitto se a fronte della sentenza e di ogni sentenza la funzione legislativa deve arrestarsi, appunto perché, ancora, il nostro è uno Stato di diritto?
Di che cosa mai si duole il senato, il parlamento, il legislatore italiano per il ritardo anzi per l’inerzia dimostrata in materia «eticamente sensi- » bile» come quella oggetto della sentenza in discussione? Nessuno ostacolo li derivava e li deriva a legiferare se non quello della subordinazione ad un potere altro da quello di tutti quelli che spettano ad uno Stato sovrano, nel suo ambito, «nel suo ordine» come recita l’art 7 della Costituzione. E che di abdicazione alla sovranità dello stato italiano si tratta quando si omette di legiferare in materie che attengono al «rispetto della persona umana» di cui all’art. 32 della Costituzione. E si omette per obbedire a visioni, a ideologie che in nome della persona umana la riducono ad entità inumana, a vegetale, a protesi di macchine.
Ma, questa volta, di fronte alla diserzione del potere legislativo il diritto al rispetto della persona umana ha trovato nella giurisdizione, nella Cassazione italiana, la sua garanzia.